Perché (e chi) perdonare per vivere in salute il presente
Il risentimento è come bere veleno e sperare che uccida i tuoi nemici (Nelson Mandela)
Uno dei pilastri (malfermi) su cui si fonda la società occidentale è l’identificazione tra reattività e cura del sé. Così, se qualcuno ci fa del male, è perfettamente lecito (indispensabile, quasi) porre in atto in tempi rapidi la vendetta, restituire pan per focaccia per riparare, ripristinare, puntellare l’autostima. Dimostrare, insomma, che non siamo stupidi.
Eppure, questa frase di Nelson Mandela rovescia la consueta percezione di torto e perdono. Coltivare rancore e desiderio di vendetta non sono affatto una forma di autoguarigione, bensì la via più rapida per acuire, cronicizzare e rendere profondo il nostro malessere, che si compone di molteplici – e spesso contraddittorie – emozioni (dolore, rabbia, mancanza, gelosia, rimpianto).
Per risanarci davvero, invece, il primo passo da fare è accettare i contrasti che albergano in noi. Perdonarci per il fatto di “ospitare” una sorta di cacofonia emotiva, e perdonare l’altro, lasciando andare il torto subito. Attenzione però: “mollare la presa” sul male che abbiamo ricevuto NON significa automaticamente permettere alla persona che ci ha ferito di continuare a far parte della nostra vita. Accogliere e ricomporre le nostre contraddizioni può infatti tradursi nella consapevolezza che l’altro ha agito involontariamente, senza per questo giustificarlo.
Cosa accomuna rabbia e vendetta a fumo ed alcool?
Gli effetti nocivi – potenzialmente letali, nel lungo periodo – su corpo e psiche. Diversi studi hanno evidenziato il nesso tra emozioni negative (odio, risentimento, invidia) e frequenza cardiaca/pressione sanguigna. Alimentare le prime fa lievitare le seconde, favorendo l’insorgere di problemi a carico del cuore.
Non solo: il persistere di questa situazione aumenta i livelli di cortisolo nel sangue; insorge così lo stress, che rosicchia fino a compromettere le nostre difese immunitarie.
Dal punto di vista psicologico, covare rabbia e fantasticare sulla futura vendetta ci rende più vulnerabili ed esposti a depressione e stress post-traumatico, patologie che si manifestano spesso a seguito della morte di una persona cara e della fine di una relazione importante e/o duratura.
Il perdono richiede pazienza
La sovversività e la radicalità di questa scelta risiedono nell’etimologia della parola. Per-dono significa letteralmente dare, regalare qualcosa di sé all’altro.
Lasciar andare il rancore, la rabbia ed il desiderio di rivalsa nei suoi confronti lo libera perché in primis CI libera dal giudizio sulle nostre azioni, dalla convinzione di aver sbagliato tutto. È infatti questo cumulo di severità ingiustificata/sproporzionata il fertilizzante più efficace delle emozioni negative/distruttive.
Sgombriamo però il campo da luoghi comuni ed esemplificazioni. Il perdono autentico NON può essere istantaneo. Possiamo costruirlo solo dopo esserci esposti al dolore, alla delusione, al rumore assordante del vuoto, ed averli elaborati. Aver compreso che NON possono essere eliminati/esclusi/ignorati, ma che, al contrario, fanno parte del “pacchetto emotivo” dei rapporti umani. Dobbiamo quindi essere consapevoli del fatto che possono presentarsi in qualunque momento, e che, se questo succede, non è per colpa nostra né perché siamo inadeguati/non meritiamo amore.
Perdonare è qualcosa che facciamo per noi, un atto di generosità, un modo per ripararci che DEVE prescindere dall’esterno. Serve a restituirci la libertà di vivere, la capacità di stare nel qui ed ora, sviluppando la nostra empatia e consolidando la nostra autostima.
Possiamo perdonare, e decidere contestualmente che quella persona non faccia più parte della nostra quotidianità, se riteniamo che i suoi comportamenti siano incompatibili con i nostri valori e priorità.
Il perdono, insomma, passa attraverso il nostro sforzo consapevole di decentrarci dal nostro punto di vista. Provare ad assumere quello dell’altro, metterci nei suoi panni e tentare di ricostruire i moventi che lo hanno spinto ad agire in un certo modo. La giusta distanza nasce spesso dalla compassione, per quanto possa apparire paradossale.
Quando le cose non mi divertono, mi ammalo (H.B.)
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