Into the wild: perchè non sempre la fuga è la soluzione
Avete presente la parabola del figliol prodigo?
Il passo del Vangelo racconta di un ricco padre con due figli. Il primogenito pretende dal genitore la sua parte di eredità, che non tarda a sperperare in giro. Il secondo gli rimane accanto, continuando a sobbarcarsi le incombenze quotidiane. Quando il figlio perduto ritorna a casa, povero in canna e pregando il genitore di perdonarlo, viene accolto con una grande festa.
Chiaramente è una parabola sul perdono. Ma sarà la mia attrazione per i personaggi secondari che mi ha sempre portato ad identificarmi con il secondo figlio, con il punto di vista di chi resta. Di chi, costretto dalle circostanze, sceglie la via apparentemente più facile.
Chi è Alexander Supertramp
Recentemente mi è capitato di rileggere la storia di Christopher McCandless, l’Alexander Supertramp, come lui stesso si è ribattezzato, del libro Nelle Terre Selvagge. Lo stesso da cui successivamente è stato tratto il film Into the wild, diretto da Sean Penn. La storia riguarda il vero itinerario di Chris, giovane proveniente dalla Virginia Occidentale che, subito dopo la laurea, abbandona famiglia e ricchezze e intraprende un grande viaggio attraverso gli Stati Uniti. Destinazione finale? Alaska. Lì, purtroppo, incontra la morte, a causa della natura inospitale che tanto lo aveva affascinato fino a quel momento.
Il giovane è diventato una sorta di icona, un esempio da seguire, un’incarnazione di spirito d’avventura e wilderness americana che porta molti a seguire o a desiderare di ricalcarne le orme. Ma siamo sicuri che la fuga sia sempre la soluzione?
La "selvaggia verità"
Infatti il punto di vista del “secondo figlio”, di chi è rimasto, non è tardato ad arrivare. Anche se, purtroppo, in questo caso, non c’è stato un figliol prodigo. E forse nemmeno un perdono.
Carine McCandless, sorella di Chris, ci ha messo un po’ per rivelare il non detto. Forse per paura, per una ferita ancora troppo esposta o una rabbia poco velata. Quando Jon Krakauer, il reporter statunitense che per primo ha ricostruito la vicenda di Alex Supertramp, ha chiesto di utilizzare le lettere scritte dal ragazzo prima di partire, Carine lo ha pregato di non farne uso. La sua volontà è stata esaudita.
Ma finalmente, lei stessa ha raccolto le emozioni e le ha trascritte in un libro, Into the Wild Truth ( Nella verità selvaggia, edito in Italia da Corbaccio). Non c’è lettore né spettatore che non si sia domandato il perché Chris abbia fatto una scelta tanto radicale. E non si tratta solo di spirito di indipendenza, voglia di cambiare vita, amore per la natura. Carine racconta i veri motivi per cui Chris si è spinto ai confini del mondo: un padre ossessivo, violento, incline ai continui tradimenti. Una madre troppo debole per prendere posizione, complice, inconsapevole carnefice. Un’ incompletezza e un senso di colpa che non hanno trovato il tempo di essere sanati.
«A distanza di tempo, mi sono resa conto che senza la conoscenza di quei retroscena la vicenda di mio fratello rischiava di essere fraintesa. Chris cercava la libertà, di questo sono sicura anche se, per abitudine, evito di parlare al posto suo. Non ritengo, come è stato ripetuto, che fosse partito per trovare se stesso. Lui, al contrario, sapeva benissimo chi era, quello di cui aveva bisogno era un posto nel mondo nel quale vivere in compiutezza. Non desiderava la morte, ma dalla sua ultima fotografia, scatta poco prima di morire, traspare finalmente la serenità che tanto gli era mancata. Mi piace pensare che cercasse quello che anch’io ho sempre cercato, e cioè l’amore incondizionato di un padre».
La versione di Carine
La storia di Chris ha diviso il mondo tra chi lo ha considerato un eroe e chi uno sciocco incosciente. Ma certamente Alex Supertramp ha dimostrato che la ricerca della pace passa solo simbolicamente attraverso un viaggio fisico. Carine, che gira nelle scuole per testimoniare la vita e l’esperienza del fratello, ha un desiderio. «Guardo quei ragazzi e mi rendo conto di avere davanti agli occhi gli adulti di domani, gli uomini e le donne che dovranno prendere decisioni cruciali. Il mio desiderio è che i lettori possano considerare mio fratello non più come un personaggio quasi leggendario, ma come un essere umano, del tutto simile a loro»
Chissà chi sarebbe oggi Christopher McCandless se fosse tornato in Virginia. Se avesse risolto i suoi conflitti interiori. Se avesse parlato con il padre. Forse non sarebbe diventato un mito. Ma avrebbe potuto mettere in atto la lezione imparata, che forse non è solo la frase più famosa del film, “La felicità va condivisa”. Ma il fare tesoro dell’esperienza per affrontare i propri fantasmi con spirito nuovo.