Philippe Petit, a passeggio tra le Torri Gemelle
22.10.2015 16:13
Cos’è un ostacolo?
Magari una palla al piede … o forse un fiore non ancora colto. Potrà sembrarvi psicologia fai da te, buonismo da supermercato, e invece qualcuno ha deciso di farne la propria filosofia di vita.
Anzi dedicargliela per intero. Qualcuno le cui esperienze potrebbero insegnarci più di centinaia di libri messi insieme.
Questo qualcuno è Philippe Petit, il pirata dell’aria, che, da quarant’anni, sfida il vuoto. Philippe Petit è, in poche parole, un funambolo. Probabilmente IL funambolo.
«Uomo dell'aria, tu colora col sangue le ore sontuose del tuo passaggio fra noi. I limiti esistono soltanto nell'anima di chi è a corto di sogni». Emblematiche le parole che sceglie Petit per parlare di sé.
I suoi occhi, vivacissimi, curiosi, allegri, comunicano l’ingrediente principale, per niente segreto, della sua vita. Una follia gentile, alimentata da un inesauribile (e insaziabile) stupore per il mondo. Funambolo sin dall’adolescenza, pensa – e agisce – da subito in grande.
Nel 1971 attraversa la distanza tra i campanili di Notre Dame di Parigi camminando su un cavo. Segue analoga passeggiata a Sidney, e quindi lungo le Cascate del Niagara. Ma non gli basta. Perché si sa, l’appetito vien mangiando.
«Pensavo che probabilmente sarebbe stata la fine della mia vita, camminare su quel filo. Però d’altra parte era qualcosa a cui non potevo resistere. E non feci alcuno sforzo per impedirmi di salire su quel filo. E la morte era molto vicina». Così Petit ripercorre l’impresa diventata il simbolo di tutta una vita, la traversata delle Torri Gemelle del World Trade Center di New York.
Era il 7 agosto 1974. «Sembrava che si muovesse su una nuvola», racconta la sua compagna di allora.
«Quando si cammina sul filo, si vede il mondo da un’altra ottica. Ma anche quella volta, così in alto nel cielo, riuscii a sentire le persone lì sotto, a migliaia. I miei amici più tardi mi hanno detto che sono rimasto a camminare sulla corda per qualcosa come 45 minuti. Fatto il primo tratto, arrivato dall'altra parte, ho controllato l'aggancio e appurato che fosse tutto a posto, mi sono seduto sulla corda. Essere su quella fune è come sentirsi un re seduto sul proprio trono». A quel punto Petit se l’era meritato, lo scrosciante e liberatorio applauso dei presenti.
Approda in sala oggi The Walk, il film del regista Robert Zemeckis ispirato a Toccare le nuvole, la biografia del funambolo che ripercorre proprio quell’impresa. In passato, l’avevano raccontata il corto High Wire (1984) e Man on Wire, premiato con l’Oscar nel 2009 quale miglior film documentario.
Philippe ha bisogno di una sola cosa, per sentirsi padrone del mondo. Non si tratta dei cavi, ma del filo. «Anche se in francese la parola cable è più bella, è fil, una parola bellissima che rimanda al filo della vita. La cordicella rossa che vedete nel film la porto realmente sempre con me, per stenderla di fronte ai miei occhi e vedere dove poter collegare una fune tra un punto e un altro. Prima che si tenda è stupenda, forma quasi un sorriso. E se ci pensate bene che cosa fa un funambolo? Collega le persone, come quando camminai tra due luoghi dove le persone erano nemiche al di qua e al di là del filo, poi unite in un unico applauso».
Una semplicità, una profondità di sguardo eccezionale. Straordinaria nel senso letterario del termine, perché proprio fuori dal comune. Che sia vero che osservare le cose dall’altro ci regali tutta un’altra prospettiva?
Franziska