«Potremmo costruirci un’identità senza le nostre gioie ma non senza le nostre sofferenze»
Una voce calma e rassicurante e due occhi azzurri penetranti.
Andrew Solomon comincia a parlare e la platea si zittisce ipnotizzata, confermando quanto le parole creino realtà e infondano coraggio e speranza.
Quest’uomo dall’aspetto mite è uno dei maggiori scrittori del nostro secolo, finalista del premio Pulitzer nel 2002, professore di Psicologia clinica alla Columbia University, giornalista per il New York Times e il New Yorker su temi politici, culturali e mentali.
Ma nel TedTalk Come i momenti peggiori della nostra vita ci rendono chi siamo Andrew è uno di noi. Perché, come tutti, ha dovuto affrontare i suoi mostri. Alcuni li ha sconfitti, altri solo indeboliti, per altri ancora si è reso conto che possono esisterne di più grossi e spaventosi.
Bisogna prendere i traumi e renderli parte di sé stessi
Ma è stato proprio attraversando queste difficoltà che Solomon ha gettato il seme dell’uomo che è adesso. Potrà sembrare una banalità ma al tempo stesso non lo è perché il dolore è un modo per forgiare l’identità. Bisogna prendere i traumi e renderli parte di sé stessi.
Ed è qui che lo scrittore americano parla dell' infanzia e dell' ancora più difficile adolescenza da omosessuale, spesso schernito o unico escluso dalle feste.
Tuttavia non è l’unica storia che racconta. Solomon ci rende partecipi di testimonianze forti, percorsi di accettazione, focus su persone che hanno trovato nella sofferenza occasione di crescita.
«Ho conosciuto una donna che da adolescente era stata stuprata e il frutto di quella violenza era una figlia che ha rovinato i suoi progetti di carriera, danneggiando i suoi rapporti affettivi. Quando l’ho incontata aveva 50 anni. Le ho chiesto se pensava spesso a quell’uomo. Mi ha risposto che prima lo ricordava con rabbia ma ora provava solo pietà. Ho pensato che intendesse pietà perché era stato capace di fare una cosa del genere. Ma invece lei ha aggiunto: «Pietà perché ha una bellissima figlia e due splendidi nipoti e non lo sa, io sì. Sono io la fortunata».
O ancora ci parla di Ma Thida, nota attivista per i diritti civili, che ha rivelato che quando è stata in un carcere in isolamento in Birmania era grata ai suoi carcerieri per aver avuto tempo per pensare, riflettere e migliorare le sue tecniche di meditazione.
Forgiare un senso e costruirsi un’identità
Alcune persone poi devono affrontare delle problematiche già da quando nascono, che siano legate alla sessualità, alla razza, al genere. Ma l’imbarazzo spesso non ci consente di raccontare le nostre storie e le storie sono la base della definizione di noi stessi.
Forgiare un senso e costruirsi un’identità. «Cosa significa? Rendere giusto ciò che sembrava sbagliato. C’è sempre qualcuno che vuole confiscare la nostra umanità e ci sono sempre storie che ce la restituiscono» dice Solomon. Confermando che il racconto è un atto salvifico, grazie al quale sfidiamo il mondo e al tempo stesso lo accogliamo.
Godetevi questo bell’intervento.
Seguici anche su Google Edicola »