Quella catena chiamata passione
08.10.2015 16:10
C’è un ‘tipo’ che sostiene che l’unico modo per superare una passione è cedervi. Perciò mi chiedo: una volta che si è assecondato tale desiderio, la passione svanisce?
Prendiamo il caso di un goloso, magari anche a dieta, che si ritrova davanti un pezzo di cioccolata. Dopo aver dato “ascolto” al suo desiderio di deliziare il palato con quella goduria, averla sentita sciogliersi in bocca, e assaporata fino all’ultima scaglia … avrà appagato il suo impulso in modo totale? O trovatosi nella stessa situazione, dopo qualche giorno, proverà la stessa smania nel volere ripercorrere quel circuito di piacere?
O ancora, qualcuno tra i lettori è certamente un amante della velocità.
Pensate forse che la scarica adrenalinica di un giro su una moto da corsa possa appagare il desiderio di sentire il vento sul corpo, lo stomaco in gola, il cuore che palpita, la voluttà derivante dalla musicalità rock del rombo del motore?
Non è lo stesso, forse, tra due corpi che si attraggono l’un l’altro come due magneti? Se esiste un desiderio forte, seppur questo venga assecondato, non ci sarà sempre una forza che lega quei due corpi? Ovviamente faccio riferimento alla sola passione e non al coinvolgimento emotivo, perché, in questo caso, la faccenda è molto più delicata.
Parliamo in questa accezione della famigerata alchimia cui non riusciamo a sottrarci (che poi ne parliamo perché suona bene … ma in fondo non sappiamo esattamente di cosa si tratti. Tuttavia spesso ci tira fuori dai guai).
Possiamo esemplificare dicendo che l’essere umano è programmato in modalità “premi e/o punizioni e che possiede, a differenza degli altri mammiferi, la capacità di riflettere su queste sue stesse modalità e percezioni.
C’è chi decide di usare i sensi come una sorta di farmaco che cura delusioni e dolori; taluni vivono di sola passione facendola arrivare a sostituire la propria volontà o rafforzando così il proprio ego; c’è perfino chi ignora completamente la sua parte istintuale accogliendo una prospettiva religiosa fatta di rinunce e frustrazioni in virtù di un’espiazione d’origine.
In qualche modo obbedire alle leggi degli istinti e del piacere (così come paradossalmente soffocarli del tutto) non fa altro che sviluppare la parte più egoistica del proprio io.
In quest’ottica non si può parlare di condivisione reale, quella presuppone un sentimento nobile, il più nobile: l’amore. Quest’ultimo è improntato al dare e allo scambio; la passione istintuale si sviluppa sul principio del prendere!
Forse la giusta ricetta starebbe nei principi di aristotelica memoria di equilibrio e moderazione. Il compromesso entro dare senza misura o prendere e/o rinunciare senza altrettanta misura potrebbe condurci su quel sentiero sconosciuto ai più. La serenità emotiva.