Quelle isole che affondano sotto il peso del turismo
Non è facile dire basta alle entrate proficue che apporta il turismo.
Anzi, è talmente difficile che, a dirla tutta, non l’ho mai visto fare. Non l’ho visto fare nelle nostre belle “Maldive del Salento” a Pescoluse, dove gli ombrelloni diventano lance per guadagnarsi qualche centimetro libero di spiaggia per godersi il sole.
Non l’ho visto fare alle Canarie, luogo in cui il boom del turismo degli anni '80 ha completamente deturpato le coste. Non l’ho visto fare a fare a Bali, con le code di australiani ubriachi a piedi e in motorino che devastano le strade di Kuta.
E purtroppo credo che anche gli Uros del lago Titikaka non si distingueranno per la loro intransigenza verso noi curiosi. Nel loro caso però, continuare ad accoglierci potrebbe letteralmente farli sprofondare.
Una popolazione misteriosa
Le origini antropologiche degli Uros sono avvolte nel mistero. Pare si tratti di una popolazione di origini amazzoniche che, per qualche ragione, sia migrata sulle sponde del lago Titicaca nel periodo pre-colombiabno.
Oppressi dalle popolazioni locali e incapaci di trovare una terra in cui stabilirsi, iniziarono a costruire isole galleggianti con le canne di “totora”, pianta che cresce ancora naturalmente ai margini del lago. Su queste isole finalmente gli Uros trovarono la pace sviluppando un modo di vivere unico in completa simbiosi con la natura circostante.
Le loro isole, per galleggiare, devono essere costantemente ricoperte di canne e hanno dei buchi per pescare. Se non si va d’accordo coi vicini si sposta la propria zolla da un’altra parte.
Gli Uros, grazie al loro isolamento, sono riusciti a resistere per secoli alle invasioni Inca, Collas e anche a quelle spagnole. Eppure dal 1986, quando un forte tempesta li ha costretti a spostarsi dal centro del lago alla costa limitrofa (Puno) hanno aperto le porte a nuovi invasori armati di macchine fotografiche e portafogli gonfi.
Turismo INSOSTENIBILE
La piccola comunità galleggiante di circa 1200 abitanti oggi accoglie 200.000 turisti all’anno.
Ignara e curiosa come la maggior parte dei visitatori, anch’io ho preso parte alla vergognosa “disneyficazione” della loro cultura e mi sento in dovere di condividere quest’articolo sperando che, grazie alla sua lettura, qualcuno di voi deciderà di saltare questa tappa in un futuro viaggio in Sud America.
L’80% della popolazione delle isole galleggianti vive di turismo. Dunque se ci si aspetta una visita per vedere “come vivono” davvero dobbiamo essere pronti ad immedesimarci alla messa in scena.
Le barche che partono ad ogni ora dal porto di Puno, scaricano i turisti su un paio di isole che vengono cambiate giornalmente in modo che tutta la comunità possa guadagnarci.
Nel momento in cui si sbarca e si appoggiano i piedi sulle soffici canne di totoro ci si rende immediatamente conto di essere caduti in una trappola per turisti senza via d’uscita (a meno che non ci si voglia tuffare e far concorrenza alla Pellegrini).
Gli abitanti si mettono improvvisamente in moto facendo finta di fare qualcosa di vero, dal pettinarsi al costruire finte barche in totoro per coprire lo scheletro delle moderne barche a motore, mentre cercano di rifilarti orribili souvenir “made in china”.
Purtroppo l’impatto ambientale del turismo di massa sulle sponde del Titicaca e lo smaltimento delle fognature nelle sue acque sta modificando la resistenza e la lunghezza delle canne di totoro stesse che ogni anno si accorciano rendendo sempre più difficile il mantenimento delle isole.
Non credo di essere cinica nel dire che le tradizioni degli Uros siano ormai sprofondate sul fondo del lago e non credo nemmeno sia giusto che continuino a vivere così, se non ne hanno più la necessità.
La triste verità è che i turisti lasciano le isole sentendosi presi in giro , con il risultato di sembrare patetici.
Forse, a volte, se il passato non si riesce a convertire in presente, è meglio lasciarlo alle spalle.
Blogger, traveller e autrice di libri
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