Regista, attore o comparsa. Che ruolo hai nella tua vita?
13.07.2015 15:06
«Capitano tutte a me. Non me ne va bene una. Sono proprio sfortunato». Diciamolo: a volte proviamo quasi un sottile compiacimento, nel pronunciare frasi del genere. Quasi fosse un mantra, ripetendole con ostinata convinzione, finiamo per crederci. Il “bombardamento” produce persuasione, come insegna la pubblicità.
Ma quanto c’è di vero in pensieri come questi? Siamo solo vittime di quello che il caso decide di farci piovere addosso? A volte può essere difficile capire fino a che punto quel che ci succede, nel privato e nel lavoro, è “farina del nostro sacco”. E in un Paese come l’Italia, che raramente premia il merito, la convinzione che tutto dipenda dal “fattore C’è difficile da sradicare, non solo nell’uomo medio.
D’altra parte, il concetto di “fortuna” è quanto di più fumoso esista. Di cosa si tratta, in concreto? Il puro e semplice caso, il classico “essere al posto giusto al momento giusto”, le conoscenze, o un mix di tutte queste cose? Probabilmente sì. Pensare che basti un po’ di faccia tosta e qualche contatto ben piazzato a “svoltarci” la vita può essere anche un modo per deresponsabilizzarci. Non ci piace faticare, vorremmo tutto e subito. Eppure le cose importanti costano sudore, impegno, sforzo, cura ...e investimento. In tutti i sensi.
Definire il talento, comunque, non è meno difficile. Sicuramente si tratta di un “quid”, una scintilla creativa. Quell’attitudine speciale che rende unico ciascuno di noi, ma che, non basta per “vivere di rendita”. Bisogna infatti coltivarlo, accudirlo, “perderci” del tempo, perché dia i suoi frutti. Come il contadino che prepara il raccolto alla prossima semina. Il rischio che il proprio tesoro finisca invaso da erbacce è altissimo. Ma solo noi possiamo impedire che succeda.
Insomma, “la fortuna non esiste: esiste il momento in cui il talento incontra l'occasione”, avrebbe detto Seneca. O, parafrasando il più contemporaneo Titta De Girolamo de Le conseguenze dell’amore, “la sfortuna non esiste. È un’invenzione dei falliti... e dei poveri”.