Sfigurata dall’ex compagno, oggi riparte dalla figlia e da una proposta di legge contro l’omicidio di identità

Per chi affronta un dolore, un lutto (reale o metaforico) o una qualunque esperienza traumatica, la solitudine è benzina sul fuoco.

Sapere di non essere soli, poter condividere con altre persone il proprio fardello, aiuta invece a percepire come meno insormontabile il processo di guarigione da intraprendere. Avere accanto parenti, amici, un compagno,  significa infatti essere meno fragili e vulnerabili nel gestire e metabolizzare il contraccolpo psicologico subito.

Violenza_sulle_donnePurtroppo però, in alcuni casi le vittime di gravi esperienze rischiano di essere abbandonate a loro stesse, o comunque non opportunamente supportate dalla comunità e dalle istituzioni. L’esempio “classico” è quello delle donne che subiscono violenza da ex mariti, compagni o conoscenti. Così, le cronache ci hanno abituato alle cosiddette “tragedie annunciate”: episodi in cui malessere e sopruso erano sotto gli occhi di tutti, ma nessuno è intervenuto in tempo.

E il fatto che la donna sopravviva fisicamente alla violenza non garantisce, in automatico, che la qualità della sua esistenza migliori, in seguito. Perché il silenzio e l’indifferenza da parte di chi avrebbe dovuto sostenerla, uccidono in modo subdolo e implacabile.  Anche Carla Caiazzo, la donna bruciata viva dal compagno a Pozzuoli il 1 febbraio dello scorso anno, ha rischiato una sorte analoga. Fortunatamente però, dal mondo dell’associazionismo è arrivato un segnale d’aiuto chiaro e forte.

Così, nei giorni scorsi Carla Caiazzo ha ricevuto un assegno di 4mila euro, frutto del crowdfunding (raccolta fondi dal basso) organizzato dal Sindacato Unitario dei Giornalisti della Campania, da Meridionare e dall’associazione Feminin Pluriel. La somma verrà utilizzata dalla donna per sottoporsi ad alcuni interventi finalizzati a completare il suo recupero fisico.

“Sono grata a coloro i quali hanno promosso questa raccolta fondi, in quanto si sono dimostrati concretamente vicini a me, al mio compagno e alla mia famiglia. D’altra parte, con amarezza, ho dovuto constatare il totale disinteresse dello Stato. Qualcuno ha detto che per me sono stati stanziati 50mila euro: la notizia è assolutamente falsa. Probabilmente, se le istituzioni mi fossero state vicine, sarebbe stato meno difficile, fisicamente e psicologicamente, rimettermi in piedi. La sensazione è che dobbiamo rassegnarci a questo stato di cose, in Italia”. Così Carla Caiazzo.

Un recupero all’insegna del “mai più”

Carla_CaiazzoDopo la terribile vicenda di cui è stata protagonista, e che ha rischiato di farle perdere la bambina che portava in grembo, la donna ha deciso di mettersi al servizio di quante hanno vissuto un’esperienza simile. Ha infatti fondato un’associazione finalizzata al contrasto e alla prevenzione della violenza di genere, e si è fatta portavoce di una campagna per l’istituzione di una legge sul reato di omicidio di identità.

Quanto accaduto il 1 febbraio 2016 ha trasformato per sempre il corpo di Carla Caiazzo, ma fortunatamente non l’ha privata della gioia della maternità. Oggi, occuparsi della piccola Giulia è uno degli aspetti della quotidianità che sta contribuendo a rendere più serena e “normale” la sua esistenza.

L’omicidio di identità provoca profondissime ferite in chi lo subisce, in quanto mette duramente alla prova l’autostima costringendo a modificare la percezione di sé. Una “ristrutturazione” psicologica inevitabile, per continuare a vivere, ma ovviamente faticosa da costruire: per riuscirci il prezzo da pagare è infatti altissimo, in quanto bisogna scendere a patti con una realtà che non si è voluta né cercata.

Approdare a una legge in materia è quindi un passaggio importante. Un traguardo intermedio lungo la strada che porta a un’effettiva tutela delle donne. Un modo concreto per riconoscere che, a dispetto di auspici e dichiarazioni d’intenti, sono ancora molti (troppi) i retaggi culturali e sociali che penalizzano la piena realizzazione, affettiva e professionale, dell’universo femminile. 

 Francesca Garrisi
 

 

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