Stasera si mangia InGalera
20.12.2017 09:09
L’ironia è una dichiarazione di superiorità dell’uomo nei confronti di ciò che gli capita.
E il registro più utilizzato dentro questo bizzarro ristorante è proprio l’umorismo. Ce lo dicono i poster alle pareti, con locandine di film a tema ( In fuga da Alcatraz, Il miglio verde, Le ali della libertà), lo scambio di battute fra ospiti e camerieri, l’atmosfera accogliente.
Per entrare InGalera, ristorante nelle vicinanze del carcere di Bollate, non ci sono da superare lunghe file. Piuttosto, molti pregiudizi.
Si cerca così di esorcizzare, lato detenuto e cliente, una consapevolezza comune: lavorare lì dentro per aver commesso un reato. Ma, attraverso il cibo, è possibile ritrovare anche la dignità.
Una seconda possibilità
L’idea ha origine lontane, un progetto decennale portato avanti all’amministrazione del carcere assieme alla cooperativa sociale ABC, la sapienza in tavola e trasformatosi in un catering di alto livello per cerimonie e eventi. Iniziativa diventata poi un percorso scolastico, che ha portato all’interno della struttura docenti dell’Istituto alberghiero Paolo Frisi. Risultato? Oggi sedici detenuti sono vicini al diploma e, finito di scontare la pena, avranno "un mestiere in mano".
Solo alcuni di loro appartengono allo staff del ristorante, quelli ammessi alla misura alternativa dell’articolo 21, cioè lavoro all’esterno e rientro in carcere la notte. I prescelti sono infatti coloro che devono scontare la pena più lunga, per garantire continuità sul lavoro e dare un senso all’investimento. «Vogliamo che la gente comune venga, veda e se vuole parli con chi ha commesso dei reati per riflettere su come questo possa essere un modo di superare il reato stesso» ha spiegato il direttore del carcere Massimo Parisi, che ha ricevuto molti complimenti riguardo all'iniziativa.
Smontare i pregiudizi tra i fornelli
Gli unici non reclusi sono lo chef Ivan Manzo e il mâitre Massimo Sestiti, affiancati da sette assunti dalla cooperativa più alcuni stagisti dell'Istituto alberghiero. Nessuno parla direttamente del crimine commesso. C’è chi lo rimuove completamente come
Azidin, che racconta di una precedente esperienza da cuoco e sembra fiducioso sul futuro. « Qui lavo i piatti, ma quando uscirò, tra otto anni, avrò un bel curriculum ».
Marco, milanese, quarant’anni, allude non senza una certa vergogna alle sue colpe.«In gioventù ho fatto l' alberghiero, ho anche avuto un bar e lavorato come receptionist in albergo, poi mi è capitato il danno...» spiega ad occhi bassi.
«Qui però ho ricominciato a lavorare in cucina, prima per i detenuti, ora per il ristorante, lo chef è bravo e ho imparato piatti nuovi; ho ancora sette anni da scontare e poi spero di avere il coraggio di aprire qualcosa di mio perché so che, comunque, sarò bollato a vita».
Un menu gourmet
Il menu è stagionale e ghiotto: dall’antipasto ai tentacoli croccanti su tagliatelle di verdure, ai ravioloni di fontina profumati al tartufo, al tortino di cioccolato su salsa di vaniglia. Per non parlare della carta dei vini, che non ha niente da invidiare ai ristoranti gourmet.
Le reazioni esterne sono state svariate. Chi ha accolto l’iniziativa con entusiasmo e chi sostiene che non verrà mai a mangiare servito da "pezzi di galera". Silvia Polleri, presidente della cooperativa ABC, accoglie la diffidenza come una sfida, un impegno a liberare i detenuti da uno stigma sociale.
« Per noi il progetto è come un figlio, coccolato e curato in ogni dettaglio. Puntiamo e siamo di alto profilo nel campo della ristorazione. Una vera e propria scommessa insomma, vogliamo il meglio, in tutti i sensi: perché più lo standard è alto più il percorso riabilitativo è qualificato».
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