The Hate Destroyer: combattere razzismo e omofobia con un sorriso…e una bomboletta spray
Le parole sono importanti: quotidianamente dobbiamo decidere se farne ponti o coltelli
Non sempre è facile usare questo potere in modo costruttivo, in primo luogo perché ci destreggiamo tra contesti e registri diversissimi tra loro. A questo si aggiunge il fatto che l’ambiente comunicativo costruito dai social è caratterizzato da toni di voce così alti, che scegliere cosa merita, e scartare il resto, può rivelarsi un’impresa.
La differenza tra creta e fango può essere molto sottile
Il linguaggio gioca un ruolo decisivo in ogni società, perché indica in che modo pensiamo e plasmiamo la realtà. Contestualmente, le parole sciatte e improprie, come pure quelle gratuitamente offensive, inquinano la mente e impoveriscono l’anima. Anche di chi, suo malgrado, le ascolta o legge.
I social hanno garantito al concetto di odio e alle sue innumerevoli declinazioni un posto d’onore. Fortunatamente, però, in tutto il mondo ci sono persone che combattono contro la violenza verbale, psicologica e sociale innescata da parole che trasudano insofferenza e disprezzo. Quotidianamente Irmela Mensah Schramm dimostra che anche gesti apparentemente semplici sono importanti per fare terra bruciata intorno a fenomeni quali il razzismo e l’omofobia.
Irmela, la “spazzina politica” che non ha paura della solitudine
Irmela Mensah Schramm è una 70enne tedesca che colpisce immediatamente con i suoi vivaci occhi azzurri. Una vita, la sua, caratterizzata da rifiuti e dolori che non sono comunque riusciti a indurirla. Anzi, quasi certamente i suoi trascorsi hanno amplificato la capacità di indignarsi davanti alle ingiustizie e alle discriminazioni.
A imprimere una svolta al corso dei suoi giorni, un episodio avvenuto una mattina del 1985. Mentre Irmela si reca al lavoro, nota un adesivo razzista che “celebra” Rudolf Hess, una delle figure più importanti del Terzo Reich. Continua a pensarci, con un mix di fastidio e malessere, per ore, finchè torna sul posto e lo stacca con le chiavi di casa. Da allora non ha più smesso di andare in giro per Berlino a rimuovere o modificare graffiti e manifesti neonazisti, razzisti e omofobi. Ad accompagnarla, fedeli, ci sono la sua borsa di tela su cui campeggia la scritta “Contro i nazisti”, una bomboletta spray, una bottiglietta di acetone e un rastrello.
Irmela Mensah Schramm si è dovuta confrontare, nel corso degli anni, con atteggiamenti contraddittori da parte delle istituzioni e della società tedesca. Infatti, anche se è stata insignita con la medaglia al merito civile, ha subito multe e richiami per essersi resa responsabile di atti lesivi del decoro e dei beni pubblici. Quando i passanti la vedono rimuovere un adesivo razzista o coprire una svastica con un cuore, la ignorano, e come se non bastasse, riceve minacce di morte da parte di gruppi di estrema destra.
La 70enne berlinese con gli occhi vivaci, però, non cede allo sconforto né, tantomeno si arrende. Al contrario, ha creato un archivio fotografico che comprende i circa 150mila simboli di odio finora rimossi e le lettere minatorie. All’estero la sua figura è considerata paradigmatica e degna di attenzione, spesso viene invitata a raccontare la sua esperienza, e il regista italiano Vincenzo Caruso le ha dedicato il documentario The Hate Destroyer.
“Non mi interessa essere più forte degli altri. Voglio solo avere la forza di guardarmi allo specchio”. Irmela Mensah Schramm sceglie queste parole per descriversi. Gli ultimi 30 anni della sua vita a testimoniare il fatto che la memoria del passato è condizione necessaria ma non sufficiente a evitare recidive. A fare la differenza è la capacità di impegnarsi in prima persona, traghettando il proprio idealismo attraverso gesti concretamente sovversivi.
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