Chi sorride troppo, troppo presto e a troppe persone, ha qualcosa da nascondere
Mi rendo conto che, in una stagione come la nostra in cui essere social è un imperativo categorico, quest’affermazione possa suonare stonata, ma tant’è. Autenticità, valore umano e concretezza credo abbiano poco a che spartire con il bisogno coatto di essere (o meglio, di apparire) sempre e comunque alla moda, spiritosi e ricercati. Se la mamma degli influencer è sempre incinta, datemi pure della misantopa, non mi offenderò.
Chi credeva che il passaggio dall’analogico al digitale avrebbe comportato uno strappo netto, una metamorfosi comunicativa e relazionale, si sbagliava. Facebook, Instagram, Whatsapp & Co hanno attinto a piene mani dai media tradizionali, per costruire i loro palinsesti.
I video cruenti rimandano infatti abbastanza chiaramente a certe – discutibili – trasmissioni di tv verità che hanno spopolato a partire dagli anni Novanta.
Specularmente, i quintali di foto quotidianamente riversate sui social da vip, nip e aspiranti influencer non sono altro che il tentativo di rendere appetibili anche per i millenials gli scenari edulcorati, ovattati e pettinati, che han fatto la fortuna del Mulino Bianco e delle fiction trasmesse da Rai Uno in prima serata.
Un capitolo a parte meritano i sedicenti guru
Si tratta infatti, nella maggior parte dei casi, di individui che si sono autodesignati maestri di vita unicamente dopo aver letto un libro sulla PNL (Programmazione Neuro Linguistica), aver condiviso una manciata di aforismi di Osho su Facebook, e aver fatto un viaggio in Asia grazie alla generosa mastercard di papà.
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Quando mi imbatto in castronerie del genere, provo un misto di rabbia e imbarazzo per chi le ha scritte, magari semplicemente scopiazzandole.
Chi ha vissuto sulla propria pelle l’urgenza di una trasformazione, sa bene quanta fatica, dolore e dedizione questa comporti, e si guarda bene dal banalizzare, perché ha sperimentato la potenza - e la carica distruttiva - delle mille e una sfaccettature della vita.
Chi ha sofferto – e fatto tesoro della propria esperienza – sviluppa una sorta di pudore, nel parlarne. Chi per (soprav) vivere è dovuto cambiare, impara a dosare (e pesare) i sorrisi come le parole d’entusiasmo.
Visti i miei trascorsi da ipocondriaca (fortunatamente conclusisi ben prima della pandemia), ho avuto spesso a che fare con la famigerata categoria degli opinionisti esistenziali.
“È fissazione, se ti distrai vedi che passa tutto”.
“Beate te che non hai di meglio da fare che pensare a queste stupidaggini”.
“Devi convincerti che non hai niente, e vedrai che starai bene”.
Queste sono solo alcune delle tante amenità con cui conoscenti, amici (e talvolta anche parenti), mi deliziavano.
Il disagio psicologico nasconde sempre una richiesta d’aiuto
Un’urgenza affettiva inappagata, una ferita dell’infanzia non cicatrizzata.
Nessuno, tra quanti sono dotati di capacità d’intendere e volere, sceglie con gioia di esporsi a continuate situazioni di malessere, anche perché queste hanno inevitabilmente ripercussioni perfino sui propri cari.
Trinciare giudizi senza avere la minima idea di cosa si parla, dovrebbe essere un reato penalmente perseguibile.
Nel mio caso, a distanza di anni e imparando a gestire l’ipocondria contando solo su me stessa, ho acquisito la sicurezza necessaria a relativizzare e contestualizzare la faciloneria di chi mi circondava.
Qualche settimana fa mi è capitato sotto gli occhi il post di un ragazzo affetto da un DOC (Disturbo Ossessivo Compulsivo) particolarmente invalidante.
Da qualche tempo, raccontava, gli era sorto il dubbio di essere zoofilo, e questo aveva irrimediabilmente condizionato il suo rapporto con gli animali.
Quando accarezzava la sua gattina - confidava comprensibilmente sgomento - aveva riscontrato su di se reazioni fisiche che confermavano i suoi timori.
Ovviamente, da esterna, posso immaginare solo vagamente quanto possa essere angosciante, ritrovarsi prigioniero di un tale abisso. Tuttavia, sono abbastanza sicura che una frase del tipo: “devi accettare che possa essere così, perché nel caso non puoi farci nulla”, molto gettonata tra gli opinionisti esistenziali, non sarebbe di alcun aiuto, anzi.
Diffidiamo sempre e comunque di chi sembra possedere il rimedio per ogni male.
Rimaniamo scettici davanti a chi si sente autorizzato ad avere un’opinione su qualunque cosa.
Per affrontare i nostri problemi abbiano bisogno di due cose: l’esperienza (diretta), e il dubbio (purchè non sovrastimato).
Non è un caso che entrambi abbiano a che fare solo con noi.
Quando le cose non mi divertono, mi ammalo (H.B.)
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