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Hai a che fare con un so-tutto-io? Ecco come affrontare saccenti e saputelli

Identikit di un saccente

puffo1Conoscono tutto, sanno fare meglio di voi qualsiasi cosa, hanno sempre ragione. Avete capito di chi sto parlando? Sì, le fastidiosissime persone so-tutto- io.

Che siano colleghi, familiari o conoscenti, sono individui che si compiacciono della loro conoscenza, trattando gli altri come stupidi, ignoranti o inferiori. Dunque, automaticamente, danno sui nervi e possono rappresentare un ostacolo nella vita quotidiana.

Stanco di essere deluso dagli altri? Prova a cambiare panni e punto di vista

O forse no. Abbiamo SEMPRE la capacità di reagire a ciò che accade intorno a noi.

 Potrebbe anche essere che quest’atteggiamento abbia ragion d’essere, ovvero che il saputello in questione possieda davvero più esperienza e capacità di voi. 

Ma questo non gli dá certo il diritto di agire come se conoscesse l'intero scibile umano o avesse sempre ragione.

Per questo motivo risulta importante conoscere le strategie adeguate per affrontare tale tipologia di persone.

Come comportarsi con i so-tutto-io?

Innanzitutto, partite da voi. Non cercate di cambiare l'altra persona, quanto il vostro atteggiamento nei suoi confronti.

 Cercate di essere comprensivi

empatia1Il so-tutto-io risulta irritante, ma ricordate che il suo comportamento può anche essere un cumulo di fumo, dovuto a una mancanza di fiducia o a un problema personale più profondo.

Inutile dunque cercare lo scontro: aumentate l’empatia per cercare di capire il suo approccio. Magari in passato è stato poco considerato o ascoltato. E adesso avverte questo bisogno di manifestare superiorità o rivalsa nei confronti del prossimo.

Può essere sconfortante ma a volte la persona so-tutto-io… va semplicemente ignorata. Fingete di ascoltare i loro consigli e popassate oltre.

Armatevi di argomenti

sorriso-ragazzaUna presentazione, un’idea, rivolgervi ad un’assemblea: siate convinti degli argomenti esposti, verificate le fonti e i fatti. Non lasciate che i so-tutto-io intacchino la vostra sicurezza. Quante più conoscenze avete, tanto più difficile sarà per il so-tutto-io prevaricare con la loro saccenza.

Il fattore positivo è che, se gli intralciate la strada due o tre volte, mettendolo a tacere, smetterà di comportarsi così con voi. Infatti le persone non sono solite ripetere i comportamenti che non hanno avuto esito.

Essere autoironici

Le persone so-tutto-io possono mettersi sulla difensiva e in alcuni casi diventare aggressive. L’ultima cosa da fare è affrontarle mettendole con le spalle al muro.

Quindi, anche se è molto invitante usare il sarcasmo, risulterebbe senza dubbio controproducente. Meglio sfruttare l’arma dell’autoironia, prendere alla leggera le affermazioni con cui il so-tutto-io cerca di colpirvi.

Leggi anche: Sei una persona autodistruttiva?

 Porre domande approfondite

Siate rispettosi, ma elaborate quesiti dettagliati per “cogliere in fallo” un so-tutto-io. Chiedete perché crede che qualcosa sia vero e quali sono fonti e argomentazioni per avvalorare le sue affermazioni. Fare domande dirette su dettagli specifici può insegnare a un so-tutto-io che deve informarsi prima di parlare.

Fornite critiche costruttive sul suo comportamento

critica-costruttivaLe persone so-tutto-io possono non avere la reale percezione dell'effetto del loro comportamento sugli altri

 Potete farglielo notare, ma l’importante è che la persona non si senta attaccata personalmente. Potrebbe rendere ancora più insopportabile il suo modo di relazionarsi.

Non dimenticate che i so-tutto-io sono anche molto insicuri, quindi risulterebbe un duro colpo al loro ego, peggiorando  la situazione.

Cercate di risolvere i vostri problemi senza intermediari

Se si tratta ad esempio di un collega, evitate di coinvolgere il capo nelle vostre discussioni. Concentratevi su voi stessi e su ciò che potete fare perché il lavoro venga svolto nel modo migliore.

Se proprio l’atteggiamento non dovesse coinvolgere solo voi ma tutto l’ambiente lavorativo, allora solo in quel caso informate chi di dovere.

Sappiate che, in ogni caso, sopportare i so-tutto-io è in primis una questione di pazienza. Vedetela come un incremento delle vostre capacità comunicative e una sfida alla vostra soglia di tolleranza.

 

irene-caltabiano

 

di Irene Caltabiano

 

 

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Se il cibo diventa il tappeto sotto cui nascondere la polvere dell’anima

Mangiare per vivere, o vivere per mangiare?

Chi, per sua fortuna, ha un rapporto sereno e risolto con l’alimentazione forse non si è mai posto il quesitoQuanti invece pur considerando il cibo un piacere, non riescono stabilmente ad approcciarlo in modo equilibrato e consapevole, sanno di cosa parlo.

Per quanto sia paradossale e crudele, non è così infrequente rovesciare un gesto naturale come mangiare, uno dei simboli più forti della vita, in strumento tramite cui punirsi.

Fame-nervosaIntendiamoci: non ho la pretesa di affrontare temi quali quello della bulimia e dell’anoressia. Non li ho vissuti sulla mia pelle, e quindi riesco a immaginarne solo pallidamente la gravità. D’altra parte, è pacifico che, se il rapporto con il cibo è condizionato dallansia e dalla spasmodica (o anche “semplicemente” periodica)  ricerca di una coperta di Linus, bisogna ammettere a sé stessi di avere un problema. Indipendentemente dal fatto che, magari, gli effetti esteriori siano meno appariscenti, o che la vita non sia materialmente pregiudicata.

Insomma, non sempre essere normopeso significa saper gestire nel tempo la propria alimentazione.

Quando il cibo diventa “bene rifugio”

Emblematico, in questo senso, l’episodio che ha visto protagonista Drew BarrymoreL’attrice e produttrice statunitense, avvicinata da una fan, alla domanda: “sei di nuovo incinta?”, ha risposto, senza troppi giri di parole: “no, semplicemente ho messo su qualche chilo”.

Ancora una volta Drew Barrymore ha puntato sul suo principale punto di forza. Ovvero, l’autenticità, che le consente di scatenare quasi istantaneamente una sorta di effetto identificazione in molte coetanee, e non solo.

Fame-nervosaCome ha spiegato l’attrice, l’aumento di peso è stato una delle conseguenze della separazione dall’ex marito Will KopelmanD’altra parte Drew non ha fatto mistero di essere una buona forchetta, dichiarando che, fosse per lei, passerebbe la giornata a mangiare fettuccine.

Questo dettaglio, per quanto possa apparire banale, credo che ponga l’accento su uno dei principali campanelli d’allarme che “suonano” quando il rapporto con il cibo si trasforma da fisiologico a patologico. Se mangiare è l’unica ragione di vita, il pensiero e l’attività intorno a cui ruota l’intera giornata, è probabile che pizza o biscotti abbiano assunto il ruolo (illusorio) di sfogo e conforto.

 

Come capire se il cibo si sta tramutando in ossessione?

Non ho intenzione di girarci intorno, perché è di questo che si tratta. Ogni giorno dobbiamo affrontare - e imparare a gestire – una pluralità di scompensi, emotivi, sociali e/o professionaliMangiare è un piacereun ingrediente che è il sale (o il pepe, a seconda dei gusti) della vita, ma talvolta la sua “metamorfosi” in chiodo fisso avviene in modo decisamente subdolo.

Può capitare che ad accendere la miccia sia un periodo di stress prolungato e/o sottovalutato, mentre l’inconscio, silenziosamente, scivola per conto proprio. Fino a quando l’ansia e l’angoscia represse raggiungono livelli tali, da esigere una qualche forma di concretizzazione. Così ci ritroviamo a mangiare ben oltre l’appetito da soddisfare, cercando qualcosa che sia in grado di placarci. Il meccanismo si ripete una, due, tre volte. Il gelato può essere sostituito da un secondo piatto di pasta o da un pacco di patatine da 300 gr, ma immutato resta il vuoto interiore che segue l’abbuffata.

Facciamoci caso: il cibo dovrebbe essere un’occasione di gioia. Non è questa, forse, la sensazione che ci accompagna durante un picnic o una grigliata con amici? Se invece dopo aver spazzolato un uovo di Pasqua ci sentiamo in colpa neanche avessimo  svaligiato una banca, quasi certamente l’origine della fame non è nello stomaco.

 

Francesca Garrisi     

Quando le cose non mi divertono, mi ammalo  (H.B.)

 

 

 

 

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Emozioni e pandemia: per tornare a vivere, smetti di sentirti in colpa

“Lasciami tutte le rughe, non me ne togliere nemmeno una. C’ho messo una vita a farmele”

Anna-MagnaniQuesta frase, pronunciata dall’attrice Anna Magnani ai suoi truccatori, mi è tornata in mente dopo l’inizio della pandemia. Un giorno, guardandomi allo specchio, ho intravisto il primo capello bianco, pervicacemente comparso, tra l’altro, in un punto che lo rende difficile da nascondere. Che fare, allora? Strapparlo nell’illusoria speranza di riavvolgere così il nastro della vita fino al mio 37esimo compleanno, a febbraio 2020? Ho deciso di arrendermi a questa nuova, inattesa, realtà tricologica: cedere alla tentazione di rimuovere ha un prezzo nettamente superiore al guadagno sperato. Perlomeno per me.

Così, l’indomito capello bianco è rimasto dov’era, e adesso quasi lo cerco con lo sguardo, mentre mi pettino: mi ricorda che non casca il mondo se qualche volta mi concedo il lusso di essere fragile, di accasciarmi. Anche perché non sono di certo io, con il mio microscopico raggio di azione, a portarne il peso sulle spalle.

Gratitudine-Formica-ArgentinaMalinconia, senso di precarietà, rimuginazioni e ansie anticipatorie, negli ultimi due anni sono diventate presenze consuete come vicini di casa. Al tempo stesso, le centellinate occasioni di condivisione, contatto fisico e bellezza, sono state fonti di gioia e calore moltiplicati all’ennesima potenza. Tra le pieghe, hanno fatto capolino sensazioni in passato poco familiari, se non addirittura esotiche. Gratitudine, consapevolezza, e il bisogno di rivolgere uno sguardo compassionevole, o quantomeno non più torvo e truce, alle persone che si muovono in direzione ostinata e contraria alla mia.

Qual è la sintesi di questo coacervo emozionale? È materialmente possibile raggiungerla? Ma soprattutto: è davvero necessario raccordare, uniformare (in pratica, omogeneizzare ed appiattire) il nostro paesaggio interiore?

Forse no. La pandemia ha tutta l’aria di essere un catalizzatore (psicologico in primis): un evento che ha accelerato ed accentuato l’emergere di dinamiche rimaste sommerse per tanto, troppo tempo, anche perché tentavamo in ogni modo di reprimerle e soffocarle. In una parola, di negarle. Per questo ancora qualcuno rincorre il ritorno alla normalità pre-Covid come farebbe l’assetato delirante in pieno deserto.

E chiamala normalità, una quotidianità caratterizzata da cacofonia di stimoli esterni, bulimia di cose da fare, e ghettizzazione delle persone sprovviste di un sorriso (meglio, ghigno) da paresi facciale…

Emozioni: cosa hanno in comune Anna Magnani, Albert Camus ed il Kintsugi

KintsugiPer spiegare di cosa si tratta bisogna fare un passo indietro, e definire il Kintsugi (letteralmente riparare con l’oro): si tratta di un’antica pratica radicata in Giappone e finalizzata al ripristino di oggetti in ceramica. Questi vengono rimessi insieme saldando i diversi frammenti con il metallo prezioso.

Riempiendo crepe e spaccature, il manufatto diventa unico e irripetibile. La rottura ha reso indispensabile che venisse sanato, e questo gli regala una nuova vita, che nessun altro prodotto simile potrà mai replicare.  Una concezione, questa, radicalmente in contrasto con il mito tutto occidentale dell’eterna giovinezza, della perfezione e dell’efficientismo per cui ci si sbarazza immediatamente di cose (e spesso, purtroppo anche persone) non più “funzionali” a scopi e aspettative che abbiamo appiccato loro addosso.

Il Kintsugi, focalizzandosi sulle asimmetrie a cui attribuisce un valore peculiare, abbraccia e valorizza l’intrinseca contraddittorietà della vita. Bellezza e autenticità si scoprono dove la vulgata comune non immagina neanche possano esistere. E qualcosa di simile, in altri luoghi ed epoche storiche, hanno fatto Anna Magnani, e lo scrittore Albert Camus. Invincibile estate, la poesia che trovate qui di seguito (pubblicata nella raccolta L’estate del 1954), non fotografa forse il caleidoscopio interiore che abbiamo imparato a sperimentare in tempi di Covid19?

Mia cara,

nel bel mezzo dell’odio
ho scoperto che vi era in me
un invincibile amore.
Nel bel mezzo delle lacrime
ho scoperto che vi era in me
un invincibile sorriso.
Nel bel mezzo del caos
ho scoperto che vi era in me
un’invincibile tranquillità.
Ho compreso, infine,
che nel bel mezzo dell’inverno
vi era in me
un’invincibile estate.
E che ciò mi rende felice.
Perché afferma che non importa
quanto duramente il mondo
vada contro di me,
in me c’è qualcosa di più forte,
qualcosa di migliore
che mi spinge subito indietro.

 

Francesca Garrisi     

Quando le cose non mi divertono, mi ammalo  (H.B.)

 

 

 

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