È mia complice la notte. Quando cala la sua oscurità, mi ispira come una musa, riflessioni tradotte in parole, che amo mettere su un foglio chiaro, come una sorta di intrinseche rivelazioni. Vedo la notte con un’accezione differente. Non la solita associazione alle tenebre o alla paura. Piuttosto, mi piace vedere il lato intimistico di queste ore, a volte tanto lunghe eppure tanto brevi.
La notte col suo silenzio, rotto di tanto in tanto dal rumore di un’auto che passa, dalla voce di chi ancora vaga in cerca di divertimento, o di un’alternativa alla propria insonnia. Un arcano non svelato. Poi, per alcuni istanti il silenzio assoluto. Un silenzio così eccessivo da far divenire chiassosi i pensieri che si infrangono nella mente di chi è ancora sveglio perché …
Già perché?
La mente vaga indipendente dalla staticità del corpo, troppo impregnata di riflessioni, considerazioni, bilanci di giornate che si inseguono troppo in fretta per poterne cogliere l’essenza. Ma quel buio, rende fertile l’immaginazione, e un barlume di luce che attraversa per un attimo la stanza scura, e si frantuma sul soffitto, prima di scomparire, cattura i pensieri portandoli via con sè, cavalcando al galoppo sulla città.
Ma dove?
Adesso quel raggio di luce si è spostato altrove, a illuminare per un frangente un uomo seduto sulla sedia. Il capo tra le mani, in una postura che tradisce la profonda stanchezza , lasciata da una grande sofferenza. A un tratto, a vedere quella luce, alza il suo sguardo, lo posa sul piccolo che si trova supino sul letto al suo fianco, e si sincera di ciò che gli accade intorno. E’ una stanza di ospedale, e quello che l’uomo vive, è lo stesso dramma che vivono tanti altri pazienti come suo figlio. La luce, andando via, fa ripiombare nell’oscurità la stanza, oltre a quell’uomo, che ha perso le speranza di vedere fuori di li figlio.
Quel raggio si sposta ancora, e arriva a illuminare un’altra stanza, questa volta sulle pareti si intravedono scritte e immagini di ogni tipo, e diverse tacche incise, lasciate da quanti si sono avvicendati li, ma lo squallore di quel luogo, non è dato dalla povertà dell’arredo, né dal suo malcelato lerciume o dal maleodorante tanfo che esala dal pavimento e dal wc. No, il vero squallore è dato dallo stato psico-fisico di chi vive in quello scenario. Un essere umano ridotto da altri esseri umani, a vivere allo stato brado come una bestia in gabbia, e che urla senza essere ascoltato, da dietro a quelle sbarre, la sua estraneità al reato ascrittogli. La sua innocenza non è appurata da alcuno, forse per mera assenza di volontà, forse per comodità. Un uomo privato del suo bene più prezioso, la libertà, un uomo costretto a una nauseabonda cattività, per un reato mai commesso. Guarda anch’egli quel raggio di luce che ha per un attimo catturato la sua attenzione e infiammato la sua fantasia, e al quale ha immaginato di attaccarsi per fuggire via, come se fosse un mezzo inviatogli chissà da chi, una sorta di ali per ridargli la libertà.
Il raggio di luce si sposta ancora, e ancora, e ancora. Per tutta la notte ha vagato di luogo in luogo, illuminando per qualche istante la vita di qualcuno, potendo saggiare tante angolazioni della vita. A volte quel raggio di luce ha propagato alla gente l’energia di cui è fatta la sua sostanza, a volte ha donato speranze, illusioni e sogni, ma anche questi ultimi, come il raggio di luce, sono sfumati fino a dissolversi del tutto, al comparire del giorno.
di Marielena De Carne
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