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Le scarpe per atei non hanno senso ma vendono un sacco

La religione sotto i piedi

atheist-shoesPensate se chiunque dovesse indossare un’etichetta, un post-it o avesse tatuato sulla pelle il suo credo religioso. O, al contrario, un segno che esprimesse con chiarezza la diffidenza nell'esistenza di qualche entità superiore.

Può l’ateismo diventare forza motrice di un business remunerativo? La risposta è sì. Si chiamano Atheist shoes e sono recentemente tornate alla ribalta come progetto Gold di Kickstarter, sorta di revival delle idee che hanno avuto maggior successo sulla piattaforma di crowdfunding.

«Eravamo un gruppo di giovani calzolai e saltò fuori che fossimo tutti atei. All’improvviso abbiamo pensato che potesse risultare accattivante unire le due cose e creare una scarpa. Così l’abbiamo fatto; abbiamo realizzato calzature con uno stile minimalista, con suola a rilievo dove campeggiava la scritta in tedesco ICH BIN ATHEIST, io sono ateo». Una sottile dichiarazione da imprimere su terreni soffici o da mostrare ogni volta che si intravede la suola della scarpa.

Ciò che era partito come un guizzo di creatività, una piccola semplice follia, è sfuggita al suo creatore. Migliaia di persone, appena il giorno dopo, ne hanno ordinate a centinaia.

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Il mondo in una scarpa

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«Non avevamo soldi, né progetti né intenzione di produrre scarpe su larga scala e quindi era un po’ frustrante. Kickstarter ci ha tratti in salvo, dandoci i mezzi per gestire l'interesse e raccogliere fondi e realizzarne un primo lotto».

Quale può essere il potere di una scarpa? Molto maggiore di quello che pensate. Nei commenti si leggono storie surreali. Un paio di Atheist shoes ha aiutato un ragazzo del Kansas a fare “coming out” con i suoi genitori evangelisti, ha stimolato l’acceso dibattito di una timida coppia tedesca, ora marito e moglie; le scarpe dissacranti hanno addirittura aiutato l’FBI in una ricerca sulla discriminazione degli atei negli uffici postali degli Stati Uniti.

"Vengono per l’ateismo, restano per le scarpe"

bahuausAl di là dell'intento provocatorio, le Atheist shoes risultano davvero molto comode, con grande attenzione all’utilizzo di materiali di qualità

Il design è stato realizzato a Berlino (da qui la netta ispirazione alla corrente Bahuaus) mentre le scarpe in pelle e suola di gommavengono confezionate da un piccolo gruppo di calzolai in Portogallo.

 Disponibile anche una vasta gamma di colori e una nuova suola, ispirata ai record della navicella spaziale Voyager. Vegano? Puoi scegliere l’opzione in gomma naturale con suola in metallo.

Il tetto da raggiungere previsto era di tredicimila euro. Risultato? Ne sono state raccolte oltre sessantamila.

Grazie a Dio. 

irene-caltabiano

 

di Irene Caltabiano

 

 

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Atac..cati all'autobus! Cronache di un'attesa notturna

La prima domenica sera settembrina.

male-di-vivereFerie finite, tempo nuvoloso tendente alla pioggia, il morale assimilabile alla gioia di vivere di una raccolta gold di James Blunt. Devo fare qualcosa, qualsiasi cosa, affinchè la nube del pessimismo cosmico non mi inghiotta.

Così opto per il cineforum di un amico, relativamente vicino casa. “ Non dovrò nemmeno fare troppa strada al ritorno” penso, stoltamente.

Roma non ha tardato a darmi il suo speciale benvenuto. Terminata la proiezione del film (che peraltro ti regalava una visione molto rassicurante della vita notturna) mi accingo a tornare a casa. Google Maps mi informa che il percorso per ritrovare nuovamente la sicurezza delle quattro mura casalinghe sono previsti circa quaranta minuti, un tram e due autobus. "Bene" mi rincuoro "rispetto alla solita media di un’ora  e mezza..."

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Prima fermata, intravedo il 5 all’orizzonte.

Fino a qui tutto bene. Il Dio Atac mi ha preso a ben volere. Forse ha capito che, almeno dopo le vacanze, un po’ di clemenza è dovuta. 

Primo step superato egregiamente. Giunta alla seconda tappa, ecco arrivare anche il primo dei due autobus. Praticamente un miracolo. Secondo test superato a pieni voti, mentre già penso di accendere un cero a San Cristoforo, protettore degli autisti. 

Tuttavia, mai cantare vittoria prima di aver raggiunto l’obiettivo. La legge della sfiga universale è sempre dietro l’angolo, annusando l’arrivo di una gioia e neutralizzandolo sul nascere. Piena di ottimismo attendo il terzo mezzo, ormai certa che la fortuna stasera sia dalla mia parte. Tempo di attesa secondo l’app di Atac: cinque minuti. 

Realtà? Sessanta minuti

Attorno a me una densa oscurità, macchine che rallentano, nemmeno le cicale a farmi compagnia. Mezz’ora dopo comincio a valutare quale delle situazioni appena viste nel film possa accadermi per prima. Stupratore o ladro?(generalmente, non sono una persona ansiosa).

A un tratto eccolo: l’autobus che aspettavo. Peccato che stia andando nell’altra direzione. Il Dio del Mezzo Pubblico deve essere impegnato in un’altra conversazione. Secondo i miei calcoli, se il bus è passato dal lato opposto, non dovrei aspettare molto prima che arrivi a salvarmi. Povera stolta per la seconda volta. Passa un’altra mezz’ora e solo a quel punto decido che forse è meglio chiamare un taxi, dal momento che nel frattempo è scoccata la mezzanotte e mezza.

Una musichetta gioviale che, nella situazione attuale, suona come la colonna sonora di Profondo Rosso«Siete in linea col servizio Taxi Roma. Vi ricordiamo che sui nostri taxi è possibile pagare con carta di credito…» La tiritera continua per circa dieci minuti di attesa in linea. Vedo un autobus all’orizzonte. Non è il mio. Chiedo delucidazioni all’autista e fa spallucce. Non è un problema suo.

Richiamo il servizio taxi e mi risponde di nuovo l’irritante voce della signorina. Rido tantissimo fingendo di star parlando con una persona fidata. D’improvviso la luce in fondo al tunnel. Eccolo, il famigerato 309. Mi butto in mezzo alla strada nel tentativo di fermarlo e finalmente salto su.

Taxi_rosaVi chiederete perché questa lunga e e noiosa filippica. Perché poi ci si stupisce se accadono i fattacci. Perché le ragazze non si sentono sicure a uscire la sera non accompagnate. E non perché portino una minigonna o un trucco particolarmente vistoso. Perché il ritardo di un autobus si aggiunge a quello di un taxi, che costa sempre troppo. E, converrete con me, in una zona in cui non c’è un bar aperto e che sembra il set di un thriller non è esattamente il massimo.

Sarò utopica nel chiedere minori disservizi o iniziative di prevenzione? L’unico progetto presentato a riguardo è Taxi Rosa, corse dall’una alle cinque del mattino esclusivamente dedicate alle donne, al costo di cinque euro l’una. Le auto tutte al femminile hanno comunque ricevuto pochissima pubblicità e, nate per ridurre i tempi d’attesa, pare arrivino con le stesse tempistiche dei taxi normali. Per non parlare del fatto che dalle 23 a 00.30 sono ca…voli tuoi.

A questo punto, mi aspetto quantomeno corsi di autodifesa per tutte, pagati dalla Regione Lazio. O una dotazione annuale gratuita di spray al pepe.  

irene-caltabiano

 

di Irene Caltabiano

 

 

 

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L'estate sta finendo e Sarahah se ne va

Benvenuti pavidi!

 

sarahahL'estate sta finendo...e anche la fama di Sarahah sembra giunta al capolinea. Avete presente l'iconcina con la busta bianca su sfondo azzurro che sbucava dalle bacheche Facebook per tutta l'estate? Ebbene, con i suoi 18 milioni di download si può dire che la piattaforma sia a tutti gli effetti l'app dell'estate 2017.

 

Per chi ancora non lo sapesse, chiunque si iscriva a Sarahah dà il via libera agli altri utenti a rivolgere su apposita bacheca i migliori complimenti come i peggiori insulti, in forma assolutamente anonima. Una pubblica gogna in cui ciascuno può scagliare la propria pietra senza nemmeno metterci la faccia.

 

 

Sulla carta, sembrerebbe un'idea bislacca ma tant'è che anche stavolta vince la curiosità su cosa la gente possa o meno pensare sul nostro conto. Ma vi spieghiamo qui perchè probabilmente il boom di giugno-agosto è destinato a morire con la bella stagione e perchè era prevedibile che Sarahah si rivelasse più che un semplice sfogatoio.

 

Un po' di storia

 

sararah.-2Sebbene si sia diffusa negli ultimi mesi, Sarahah è stata creata nel 2016. L'idea è di  Zain al-Abidin Tawfiq , 29 anni, originario dell’Arabia Saudita, analista di sistemi aziendali presso una società petrolifera.

 

All'inizio si trattava di un semplice sito web e l'obiettivo era far sì che i dipendenti di qualunque azienda potessero inviare messaggi anonimi e senza possibilità di replica ai propri superiori. Una sorta di moderna cassetta dei suggerimenti insomma, in cui rivelare situazioni complicate senza troppe conseguenze.

 

I primi mesi la piattaforma stenta a decollare ma la svolta arriva grazie ad un amico influencer che, pubblicizzando il servizio sui social, riesce a far superare lo scoglio dei mille messaggi inviati. Nei primi mesi del 2017 Sarahah comincia a diffondersi in Egitto e nei Paesi arabi.

 

Del tutto anonimi?

 

sararah-3Dal sito all'app il passo è breve. La piattaforma comincia ad essere scaricata in tutto il mondo: Stati Uniti, Sudafrica, Irlanda e Australia, raggiungendo numeri impressionanti. Ma Sarahah, che in arabo significa onestà, non è certo così trasparente come recita il suo nome. L'inghippo sta nella privacy: secondo l'esperto di sicurezza informatica Zachary Julian l'app raccoglierebbe i dati presenti nella rubrica degli utenti, memorizzandoli sui propri server. La pratica, pur non essendo del tutto nascosta ( l'app, una volta scaricata, chiede il permesso di accedere ai contatti telefonici) gioca in ogni caso sulla scarsa chiarezza di intenti.

 

Il founder si è difeso spiegando che la raccolta dei contatti degli utenti era pensata per dotare l'app della funzione "trova i tuoi amici", comune a molte applicazioni, che alla fine non è stata introdotta per un problema tecnico. Il database attualmente non ospita contatti e la richiesta di accedere ai dati verrà rimossa sul prossimo aggiornamento dell'applicazione.

 

Una scusa per nascondere secondi fini? Probabilmente Sarahah non durerà ancora per molto, ma nel frattempo il rischio e la possibilità che i dati presenti sui server vengano violati e rivenduti al miglior offerente è reale.

 

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di Irene Caltabiano

 

 

 

 
 
 
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