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A volte ritornano: la seconda vita di Commodore 64 e Nokia 3310

Sua maestà il Commodore 64.

Chiunque sia nato tra la seconda metà degli anni Sessanta e la fine dei Settanta ha un tonfo al cuore nel momento in cui sente parlare del Commodore 64. Sicuramente ne ha posseduto uno o, nella peggiore delle ipotesi, ha avuto l’occasione di smanettare su quello di un amico. Del resto, come resistere al fascino di videogiochi del calibro di Ghostbuster e Calcio Replay?

Il Commodore 64 è stato il computer più venduto nella storia dell’informatica. Si calcola che tra il 1982 e il 1993 ne siano stati prodotti più di venti milioni di esemplari. I fattori che ne hanno determinato il successo sono stati il prezzo contenuto e la possibilità di usarlo collegandolo a un normale televisore.

I ragazzi lo usavano essenzialmente per giocare ma diversi programmatori che avevano un budget limitato se ne sono serviti per realizzare software all’epoca molto utili. Il sistema, infatti, era piuttosto espandibile e permetteva l’utilizzo di periferiche come modem, lettori di floppy disk, stampanti e plotter.

Purtroppo, nonostante lo strepitoso successo registrato fino al 1993, la Commodore Business Machines Inc. fallì per via di clamorosi errori di gestione e marketing. Autentici epic fail ebbero il potere di far cadere nell’oblio una delle più belle storie imprenditoriali del dopoguerra, lasciando un vuoto incolmabile nel settore dell’home computer.

Un gruppo di ragazzi britannici, ciononostante, sta cercando di raccogliere fondi sulla piattaforma di crowdfunding IndieGoGo per finanziare la produzione di un nuovo Commodore 64. Il progetto, per decollare, necessita di un budget di almeno 150.000,00$ (che, al momento, non è stato ancora raggiunto).

È bene sottolineare come questa iniziativa non coinvolga lo storico marchio Commodore. Ciò significa che non sarà rilasciata alcuna licenza ufficiale. Per tale motivo, il prodotto si chiamerà The64 e non C64. Per quanto riguarda le specifiche tecniche, la nuova console disporrà di una porta HDMI, un lettore SD, tre porte USB e uno slot per le cartucce. Di fatto, dunque, l’unica caratteristica comune tra presente e passato sarà il design.

Quello su cui punta la combriccola anglosassone, fondamentalmente, è l’effetto nostalgia. A sentire i fondatori della società, il solo vedere lo storico case denominato biscottone (per via della forma e del colore) dovrebbe muovere i clienti all’acquisto.
 

Nokia 3310: Connecting People.

Il gioiellino della casa finlandese è stato prodotto a partire dall’ottobre del 2000 fino al 2005 e ne sono stati venduti ben centoventisei milioni di esemplari. Un numero enorme, che acquisisce ancor più significato se si considera che nel primo triennio la Apple ha venduto “solo” settanta milioni di iPhone.

Il Nokia 3310 è stato uno dei telefoni cellulari di maggior successo della storia. I caratteri distintivi rispetto ai concorrenti di allora erano sicuramente la qualità della plastica, le forme smussate e arrotondate, la compattezza garantita dall’antenna integrata e la maneggiabilità.

Lanciato con lo slogan “Connecting People”, questo modello di cellulare ha senza dubbio segnato un’epoca, rappresentando una novità assoluta nel settore. La durata della batteria, l’incredibile stabilità del sistema operativo, la capacità di raggiungere la rete cellulare anche nelle zone più ostiche, l’ottima visibilità dello schermo nonché la sveglia in grado di suonare anche a telefono spento, hanno fatto sì che questo telefono diventasse un vero e proprio status symbol, all’epoca.

Moltissime altre qualità lo hanno reso popolare e rivoluzionario, tuttavia una delle caratteristiche che lo ha fatto entrare nel cuore di milioni di persone è stata l’ampia disponibilità di videogiochi. Su tutti spicca il celebre Snake, che nonostante la sua semplicità ha avuto il potere di diventare virale.

La peculiarità che però gli ha permesso di entrare nell’immaginario collettivo è stata l’eccezionale resistenza al danno (non a caso è stato soprannominato “l’indistruttibile”). È per via di questi punti di forza che il 3310 è diventato un fenomeno di Internet, negli anni successivi alla sua uscita dal mercato.

Anche chi era troppo giovane per possederne uno ha finito con l’innamorarsene ed è proprio grazie a questa impressionante popolarità (anche) postuma che nel febbraio del 2017 la HMD Global ha pensato di lanciare una sorta di modello revival al costo di 70€. Quest’ultimo richiama all’originale per design, autonomia e applicativi installati, tuttavia risulta modernizzato nella linea ed è dotato di schermo a colori e fotocamera.

La mania del vintage.

Negli ultimi anni abbiamo assistito a diverse “riesumazioni” di prodotti che, pur avendo fatto epoca, erano inevitabilmente caduti nel dimenticatoio. L’effetto nostalgia sembra essere un movente piuttosto forte, tale da convincere gli imprenditori di oggi a reinvestire sugli status symbol del passato.

È stato così per gli album in vinile e i giradischi, ma anche per alcuni tipi di elettrodomestici tornati improvvisamente ad avere un design anni Cinquanta. Nel campo della moda tutto ciò è normalissimo e non suscita scalpore. Anzi, rispolverare tendenze retrò è considerato un valore aggiunto, più che un vezzo.

Riguardo ai prodotti di consumo di massa, invece, le critiche si sprecano. In ambito musicale, ad esempio, c’è chi si strappa i capelli pensando che qualcuno possa preferire il “rumoroso” suono analogico al più pulito e fedele segnale digitale.

Anche i remake del Commodore 64 e del Nokia 3310 non sono stati risparmiati. Relativamente allo storico computer, quel che stona è l’investimento di una cospicua somma di denaro per riproporre videogiochi stile anni Ottanta. In rete, infatti, è reperibile una vasta gamma di emulatori che girano su tutti i sistemi operativi e consentono di togliersi lo sfizio del gaming old style a costo zero.

E che dire del celebre telefono cellulare finlandese? Nell’era degli smartphone, di WhatsApp e dei social network, pensare di acquistare e utilizzare un device che permette soltanto di fare chiamate e inviare sms suona un po’ come un’eresia.

Eppure c’è chi vede ancora un potenziale commerciale in questi prodotti. Ai posteri l’ardua sentenza.

 

di Giovanni Antonucci

autore del romanzo "Veronica Fuori Tempo"

 

 

 
 
 
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Sfigurata dall’ex compagno, oggi riparte dalla figlia e da una proposta di legge contro l’omicidio di identità

Per chi affronta un dolore, un lutto (reale o metaforico) o una qualunque esperienza traumatica, la solitudine è benzina sul fuoco.

Sapere di non essere soli, poter condividere con altre persone il proprio fardello, aiuta invece a percepire come meno insormontabile il processo di guarigione da intraprendere. Avere accanto parenti, amici, un compagno,  significa infatti essere meno fragili e vulnerabili nel gestire e metabolizzare il contraccolpo psicologico subito.

Violenza_sulle_donnePurtroppo però, in alcuni casi le vittime di gravi esperienze rischiano di essere abbandonate a loro stesse, o comunque non opportunamente supportate dalla comunità e dalle istituzioni. L’esempio “classico” è quello delle donne che subiscono violenza da ex mariti, compagni o conoscenti. Così, le cronache ci hanno abituato alle cosiddette “tragedie annunciate”: episodi in cui malessere e sopruso erano sotto gli occhi di tutti, ma nessuno è intervenuto in tempo.

E il fatto che la donna sopravviva fisicamente alla violenza non garantisce, in automatico, che la qualità della sua esistenza migliori, in seguito. Perché il silenzio e l’indifferenza da parte di chi avrebbe dovuto sostenerla, uccidono in modo subdolo e implacabile.  Anche Carla Caiazzo, la donna bruciata viva dal compagno a Pozzuoli il 1 febbraio dello scorso anno, ha rischiato una sorte analoga. Fortunatamente però, dal mondo dell’associazionismo è arrivato un segnale d’aiuto chiaro e forte.

Così, nei giorni scorsi Carla Caiazzo ha ricevuto un assegno di 4mila euro, frutto del crowdfunding (raccolta fondi dal basso) organizzato dal Sindacato Unitario dei Giornalisti della Campania, da Meridionare e dall’associazione Feminin Pluriel. La somma verrà utilizzata dalla donna per sottoporsi ad alcuni interventi finalizzati a completare il suo recupero fisico.

“Sono grata a coloro i quali hanno promosso questa raccolta fondi, in quanto si sono dimostrati concretamente vicini a me, al mio compagno e alla mia famiglia. D’altra parte, con amarezza, ho dovuto constatare il totale disinteresse dello Stato. Qualcuno ha detto che per me sono stati stanziati 50mila euro: la notizia è assolutamente falsa. Probabilmente, se le istituzioni mi fossero state vicine, sarebbe stato meno difficile, fisicamente e psicologicamente, rimettermi in piedi. La sensazione è che dobbiamo rassegnarci a questo stato di cose, in Italia”. Così Carla Caiazzo.

Un recupero all’insegna del “mai più”

Carla_CaiazzoDopo la terribile vicenda di cui è stata protagonista, e che ha rischiato di farle perdere la bambina che portava in grembo, la donna ha deciso di mettersi al servizio di quante hanno vissuto un’esperienza simile. Ha infatti fondato un’associazione finalizzata al contrasto e alla prevenzione della violenza di genere, e si è fatta portavoce di una campagna per l’istituzione di una legge sul reato di omicidio di identità.

Quanto accaduto il 1 febbraio 2016 ha trasformato per sempre il corpo di Carla Caiazzo, ma fortunatamente non l’ha privata della gioia della maternità. Oggi, occuparsi della piccola Giulia è uno degli aspetti della quotidianità che sta contribuendo a rendere più serena e “normale” la sua esistenza.

L’omicidio di identità provoca profondissime ferite in chi lo subisce, in quanto mette duramente alla prova l’autostima costringendo a modificare la percezione di sé. Una “ristrutturazione” psicologica inevitabile, per continuare a vivere, ma ovviamente faticosa da costruire: per riuscirci il prezzo da pagare è infatti altissimo, in quanto bisogna scendere a patti con una realtà che non si è voluta né cercata.

Approdare a una legge in materia è quindi un passaggio importante. Un traguardo intermedio lungo la strada che porta a un’effettiva tutela delle donne. Un modo concreto per riconoscere che, a dispetto di auspici e dichiarazioni d’intenti, sono ancora molti (troppi) i retaggi culturali e sociali che penalizzano la piena realizzazione, affettiva e professionale, dell’universo femminile. 

 Francesca Garrisi
 

 

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Pagare o entrare in ufficio? Lo faremo con i microchip sotto pelle

Un tempo esistevano i prestigiatori.

prestigiatoreQuei personaggi che affermavano di essere capaci, con la sola forza della mente, di spostare oggetti. Oggi la magia, depurata dalle credenze popolari, ha un nuovo nome: tecnologia. Molte azioni che un secolo fa ci sarebbero sembrate impensabili oggi fanno parte del quotidiano.

E il progresso non accenna certo ad arrestarsi, sconfinando nella fusione tra uomo e macchina, trasformandoci sempre più in cyborg. L’ultima tendenza, in campo lavorativo e non solo, è l’utilizzo dei microchip sotto pelle.

Aprire le porte con un gesto della mano

Grandi come un chicco di riso, impiantati tra pollice e indice; un unico gesto della mano per aprire tutte le porte, senza rischiare di dimenticare badge o passare ore a cercare documenti in borsa. I nuovi dispositivi sono sempre più piccoli, funzionali e...pervasivi.

L’ultima novità viene da un’azienda del Wisconsin. La Three Square market ha infatti deciso di proporre ai suoi dipendenti un nuovo sistema di accesso alla sede di lavoro, un microchip che andrà a sostituire il cartellino e sarà attivo dal primo agosto.

chicco-di-riso

Il sistema consentirà ai vertici di tracciare continuamente i dipendenti all’interno dell’ufficio e, grazie a quel piccolo pezzo di metallo sottocutaneo, i lavoratori potranno fare qualsiasi cosa; dall’entrare in ufficio al pagare pranzo o snacks avvicinando la mano agli appositi dispositivi, diventeremo una sorta di carta di credito vivente. Risultato? Finora più di cinquanta degli ottantacinque dipendenti hanno accettato la novità.

La tecnologia alla base sarà la Rfid ( radio frequency identification), ovvero un meccanismo per l’identificazione e o memorizzazione automatica di informazioni inerenti oggetti, animali o persone. La registrazione dei dati avviene tramite particolari etichette elettroniche chiamate tag, capaci di rispondere a distanza all’interrogazione da parte di appositi apparati fissi o portatili chiamati reader.

Ecco come viene inserito un microchip sotto pelle

«I microchip sono il futuro nel campo dei pagamenti e noi vogliamo essere parte di questo fenomeno» spiega Todd Westby, CEO della startup che fornisce macchinette e software per la pausa pranzo di uffici e negozi. I dispositivi, realizzati dalla Bio Hax, sono abilitati per il near-field communications, cioè funzionano come una carta di credito contactless. Inoltre, per chi volesse rimuoverlo, è possibile farlo in pochi secondi. 

Non solo sul lavoro

microchip

I microchip sotto pelle non si stanno diffondendo solo in campo strettamente professionale. Alcune persone hanno già provveduto a un impianto privato. Un uomo olandese di 32 anni ad esempio ha deciso di inserire nel proprio corpo diversi tag. Così dimenticare le chiavi della macchina o di casa non sarà più un problema perché l’auto o la porta “riconosceranno” immediatamente il proprietario.

Quali controindicazioni?

Alcuni potrebbero pensare che il principale problema di avere impianti sottocutanei sia a livello fisico. Certo, avere un corpo esterno sotto pelle potrebbe non essere privo di controindicazioni, ma chi l’ha provato dichiara che il dispositivo è talmente piccolo da non dare assolutamente fastidio, nemmeno in fase di inserimento.

Tuttavia il prezzo più alto potrebbe essere legato alla nostra privacy, violando anche quel poco di riservatezza rimasto nelle nostre vite. Perché? Un microchip ci rende individuabili in qualsiasi momento, più di quanto lo siamo adesso con gli smartphone. Con la differenza che almeno un cellulare si scarica o possiamo spegnerlo. I vantaggi sono numerosi, ma l’altra faccia della medaglia riguarda l’essere costantemente monitorati.

Pensate che secondo Elon Musk, CEO di Tesla e cofondatore di Paypal, usare la tecnologia per potenziare i nostri sensi sarà l’unico modo per non esserne sopraffatti.

E questa visione non lascia per niente tranquilli.

irene-caltabiano

 

di Irene Caltabiano

 

 

 

 
 
 
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