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PizzAut, la prima pizzeria gestita da ragazzi autistici

Ci sono esperienze e fasi della vita che molti di noi danno per scontate.

autismoScuola, università, inserimento nel mondo del lavoro. Ma, se già per la maggioranza di noi è difficile trovare un posto nel mondo, ci sono alcune categorie umane che avranno la vita ancor meno facile della nostra, necessitando di attenzioni particolari. Nulla però potrà togliere loro il diritto a una vita ricca di soddisfazioni professionali.

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PizzAut: nutrire l'inclusione

pizzaut

«I nostri figli non sono ancora in età lavorativa, ma ci siamo resi conto che si fa ancora poco per l’inserimento degli autistici nei luoghi di lavoro. Vogliamo allora giocare d’anticipo, nella speranza che con il nostro progetto si crei anche una consapevolezza più generale e si moltiplichino le occasioni d’impiego».

Così parla Nico Acampora, educatore e papà di un bambino autistico di otto anni. Insieme a un altro piccolo gruppo di genitori, ha lanciato una campagna di crowdfunding su Starteed, per raccogliere risorse da destinare ad una pizzeria in cui lavoreranno ragazzi affetti da tale disturbo.  Al momento si è arrivati a 14mila euro su sessanta e il team sta portando avanti diverse iniziative in giro per l’Italia con l’obiettivo di raccogliere fondi.

L’idea ha anche sostenitori rinomati quali Francesco Silvestre dei Modà ed è stata particolarmente sostenuta dall’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi.

 

Non solidarietà ma fatti concreti

pizzaut-5L’idea è nata proprio durante la Giornata Mondiale dell’autismo.«Era il 2 aprile e molti palazzi sono stati illuminati di blu» rivela il coraggioso papà Nico. «Io con un po’ di aggressività ho scritto: sono contento che abbiate illuminato il palazzo, ma noi cosa ce ne facciamo di questa roba qui?» Alla replica “Tu cosa proponi? "io scherzando ho scritto: «Se trovo 6mila persone che mettono dieci euro  propongo di aprire un locale.

Così è nato PizzAut, una piccola oasi in cui i ragazzi autistici possono sviluppare le loro competenze professionali.  Con l’aiuto della psicologa Simona Ravera e di un amico pizzaiolo Acampora e soci hanno studiato quali mansioni potrebbe svolgere in una pizzeria un giovane autistico ( e non sono poche) : preparare l’impasto, condire le pizze, infornare

«Sarà una pizzeria che punterà anche su prodotti di qualità , quali pizze senza glutine». Una cosa è certa: sarà un luogo all’insegna della tranquillità,  in cui si rispetteranno i tempi di chi mangia e di chi prepara la pizza. Questo non vuol dire che si dovrà aspettare due ore per una pizza ma si svolgerà tutto con calma.

Non si è ancora certi della location in cui verrà aperta la pizzeria, ma si pensa nella provincia di Monza-Brianza. Nel frattempo il 29 giugno è stata organizzata una serata intitolata “Un assaggio di PizzAut”, in provincia di Milano, in una birreria artigianale che ha messo a disposizione i locali.

Erano previste 120 prenotazioni. Risultato? Ne sono arrivate 500.

di Irene Caltabiano

 

 

 

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Quello che non vi hanno detto sul declino dei centri commerciali

La fredda cronaca.

Sono spuntati come funghi su tutto il territorio italiano fin dagli anni Ottanta, registrando un vero e proprio boom con l’avvento del nuovo millennio. Oggi, salvo rare eccezioni, si stanno inesorabilmente svuotando di negozi e clienti

I centri commerciali delle principali città del Belpaese somigliano sempre più a quei villaggi desolati del Far West in cui si udivano soltanto il sibilo del vento e il cigolio delle porte dei saloon.

Neanche a farlo apposta, sono nati negli Stati Uniti d’America. Era il 1953 quando a Detroit sorse Northland, il primo centro commerciale della storia. Un progetto pionieristico nato dieci anni prima, dalla mente creativa di una dozzina di architetti ai quali fu chiesto di immaginare le città del futuro. Un modello sostenibile che fosse in grado di affermarsi anche nel dopoguerra.

Dagli anni Settanta in poi si sono diffusi nel resto del mondo, in particolare in Europa. Visti inizialmente come simboli di crescita economica e progresso, sono ora la fotografia dello stato di profonda recessione in cui versa l’Occidente.
 

Le cause del declino.

È proprio la crisi della classe media, secondo gli esperti, la causa principale del fallimento dei centri commerciali. Quest’ultimi, infatti, sono stati creati per quella categoria sociale che non può permettersi di fare acquisti nei negozi di lusso ma al tempo stesso non compra al discount.

Negli ultimi anni, buona parte del ceto medio è retrocesso allo status di classe povera e ha cominciato a rivolgersi all’e-commerce per i propri acquisti. Complici gli sconti e le spese di spedizione incluse nel prezzo, abbigliamento e accessori, così come tanti altri prodotti, sono ormai acquistati principalmente online.

La società è cambiata anche in termini di abitudini dei consumatori. La gente, oggi, preferisce spendere nei ristoranti, oppure per viaggi e tecnologia. L’offerta dei centri commerciali, pertanto, supera l’effettiva domanda e costringe sempre più negozi alla chiusura.

Quali soluzioni all’orizzonte?

Le imprese immobiliari che hanno costruito questi moderni empori, di concerto con le società che li gestiscono, stanno disperatamente cercando di correre ai ripari. Tanto negli Stati Uniti quanto in Europa, sono al vaglio soluzioni per reinventare gli spazi e farli diventare delle proprietà a cielo aperto.

Gli americani li chiamano “centri di lifestyle” e comprendono teatri, cinema, uffici medici, ristoranti, centri di aggregazione sociale e addirittura scuole. La ristrutturazione prevede l’abbattimento delle coperture dei corridoi nonché il restyling delle entrate e delle aree circostanti.

Siamo proprio sicuri che queste idee siano originali e innovative? A rileggere un po’ di storia, si direbbe di no…

Chi la fa, l’aspetti.

In realtà i cosiddetti shopping mall sono stati progettati nel lontano 1943 con lo scopo di servire intere aree residenziali povere di buone strutture commerciali. Il principio ispiratore era quello di dare ai residenti un posto per incontrarsi, passeggiare e riposare in ampi spazi verdi, lontani dal traffico della città.

All’interno del sopracitato Northland c’erano botteghe e negozi, grandi aree per attività culturali e feste, un centro comunitario dotato di auditorium, un ufficio postale, ambulatori medici e dentistici, e anche un teatro.

Due anni più tardi, a Southdale, vicino Minneapolis, su progetto di Victor Gruen aprì il primo centro commerciale coperto e ad aria condizionata. Le strutture erano raggruppate attorno a un enorme cortile a giardino alto tre piani, che divenne non solo il punto d’incontro per gli abitanti della cittadina, ma anche il posto dove avevano luogo alcuni dei più importanti eventi pubblici di Minneapolis.

La sera si tenevano concerti sinfonici, feste e balli. Oltre all’auditorium, a un ufficio postale e altri servizi urbani, c’erano anche un asilo nido e un piccolo zoo. Un progetto rivoluzionario che ebbe enorme successo.

Tuttavia, negli anni a seguire, le idee ambientaliste e umanistiche che stavano alla base dei centri commerciali originali sono cadute nel dimenticatoio. Sono state copiate solo le caratteristiche rivelatesi fonte di profitto.

Gli speculatori immobiliari hanno abbandonato la mission di servire i bisogni di un quartiere in modo serio e responsabile, limitandosi a costruire macchine commerciali da collocare ovunque. Hanno cominciato ad acquistare terreni a prezzi stracciati, situati perlopiù in aree disabitate, spostando i consumi al di fuori dei centri urbani.

L'operazione ha avuto un impatto devastante sull’economia delle aree centrali, specie in Europa, dove le città erano cresciute in modo organico e offrivano già da secoli opportunità di comunicazione e interazione fra gli individui. È proprio lì, del resto, che sono nati i principali movimenti artistici e culturali tuttora patrimonio dell’umanità.

Per via di questa sciagurata speculazione, migliaia di piccoli negozi hanno dovuto abbassare per sempre la saracinesca e la tradizione della spesa all’angolo sotto casa è diventata un ricordo.

Oggi l’e-commerce sta ripagando con la stessa moneta gli squali del mercato immobiliare e le soluzioni che quest’ultimi stanno proponendo per uscire dall’impasse non sono altro che un plagio del progetto originale di Victor Gruen e dei suoi colleghi.

Mode e tendenze possono cambiare e spesso riproporsi, per carità, ma alla luce dei cambiamenti sociali susseguitisi nel corso degli anni, l’insuccesso sembra garantito. Non a caso il fallimento dei centri commerciali pare inarrestabile.

 

di Giovanni Antonucci

autore del romanzo "Veronica Fuori Tempo"

 

 

 
 
 
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In Cina la prima laurea da web star

Si chiamano wang-hong.

wang-hongO forse, in maniera più universalmente comprensibile, influencer. Se il vostro obiettivo è diventare una stella di Internet, non vi rimane che trasferirvi in Cina, precisamente a Shangai.

Un percorso ribattezzato  Modelling and Etiquette allo Yiwu Industrial and Commercial College che mette insieme una serie di qualità e caratteristiche tipiche delle celebrità online. Outfit ad hoc, parlantina, video con una buon grafica, fotografia e montaggio video e conoscenza del visual marketing.

Io sono il prodotto

Il social business è ormai un impero da milioni di dollari. Alcuni nomi di VIP orientali? Zhang Linchao, Ling Ling, Zhang Dayi.  Che siano sppassionati di un settore o tuttologi, stringono accordi con piattaforme online, agganciando follower e vendendo le proprie linee di prodotti su Amazon o Alibaba, oppure promuovuendo le collezioni altrui. Un circolo virtuoso per le aziende, intenzionate a rendere questi personaggi brand viventi. 

Influencer? Chiedi chi erano i critici

Tra le materie insegnate  alla facoltà anche make up, danza, abilità estetica. Insomma, una costruzione di tutto punto, l’apoteosi dell’immagine e dell’apparenza. Stando alla consulenza di Analysis international, il giro d’affari dei wang-hong si aggira sui 10 miliardi e raddoppierà entro il 2018.

La mia vita in streaming

wang-hong-4I Paesi del Sol Levante hanno anche le loro piattaforme specifiche come Weibo, Momo e Youku Tudou, portali di microblogging molto simili a Twitter.  La particolarità è la documentazione continua e incessante della propria vita attraverso lo streaming. Un meccanismo perfetto, in cui i fan possono regalare  omaggi alle star e riutilizzarli come credito per acquisti online.

Idea bislacca o semplice riconoscimento di un “mestiere” che ormai va per la maggiore? Sicuramente miliardi di followers non sono un caso e giovani che a noi sembrano semplicemente baciati dalla fortuna, potrebbero nascondere una preparazione professionale più ampia di ciò che pensiamo.

Forse lo youtuber è diventata la nuova anticamera verso il mondo dello spettacolo, il banco di prova per essere dati in pasto, senza filtri, ad hater e opinioni della massa. Se sopravvivi e l’arena ti acclama, sei pronto per diventare il brand di te stesso. 

Irene-Caltabiano

di Irene Caltabiano

 

 
 
 
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