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«Modello? Guadagno dieci volte di più come blogger»

Da Sapri alle passerelle milanesi

gianmaria-sainatoSe si dice fashion blogger tutti pensano automaticamente alla moda femminile. Eppure, curiosando sul web, si scopre che esistono influencer quasi più seguiti di Chiara Ferragni. E senza portare gonne o tacchi.

Gian Maria Sainato, bellissimo ventiduenne di Sapri (che qualcuno, ahimè, ricorderà per la partecipazione al reality Riccanza), una carriera da modello alle spalle, nel 2015 decide che fosse il momento di sfruttare attivamente la sua passione per la moda.

Entra a far parte del mondo dell’haute couture quando ha appena dieci anni, per un’agenzia di baby model. Partecipa così ad alcune campagne pubblicitarie per alcuni dei migliori brand d’abbigliamento.

Ormai adolescente, capisce che per puntare in alto deve partire alla volta dell’ Olimpo italiano della moda, Milano. «È stata dura lasciare il Cilento ma sapevo che, per realizzare i miei sogni e raggiungere degli obiettivi, dovevo partire. 

La lontananza da casa non ha influenzato negativamente la mia crescita professionale, anzi, credo che abbia giovato a mio favore: sono stato costretto a prendere molte decisioni, a volte giuste, a volte sbagliate, ma con la mia testa, seguendo il mio istinto. Questo aspetto mi ha fatto maturare molto».

Lo zampino di Chiara Ferragni

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Ancora una volta la biondina più seguita del fashion c’entra qualcosa. Gian Maria qualche anno fa si trovava a Londra conun’amica che le parlò di The blonde salad, una ragazza che stava spopolando grazie al suo blog, dove pubblicava quotidianamente outfit. Nessun uomo aveva ancora pensato di proporsi come suo alter ego maschile. Detto, fatto.

Nasce così Gian Maria Sainato.com, che in due anni ha raggiunto 223.000 followers su Facebook, 573.000 su Instagram e 25.000 su Twitter. Il blogger è inoltre digital ambassador per Dolce & Gabbana, Prada, Givenchy, Bulgari, Salvatore Ferragamo e Ray Ban.

Meglio influencer che modello

Qualche mese fa l’affascinante partenopeo aveva fatto scalpore dichiarando di guadagnare molto di più lavorando sul web che come testimonial. «Sentivo che non era quello il mio ruolo nel mondo della moda. Una vita piena di ritmi frenetici e stressanti, preferisco molto di più fare l’influencer».

Il ragazzo è in gamba e dichiara di avere tanti progetti in mente, alcuni in parte già realizzati. «La campagna digital di Light Blue by Dolce & Gabbana a Capri, un’esperienza meravigliosa e incredibile, mi sono sentito come protagonista di un film. Vado fiero anche delle tante interviste che ho rilasciato per importantissimi magazine come Vogue, L’Officiel, Elle e GQ, e della premiazione ricevuta recentemente al Digital Influencer Day come Best Digital Influencer».

A breve vorrebbe lanciare persino un suo e-commerce di scarpe. Sicuramente è ferrato sull’argomento, dal momento che dichiara di possederne almeno 1000 paia.

Pochi pettorali, molti contenuti

gianmaria-sainato-3Un successo comprovato che fa ben sperare sul futuro dell’affascinante giovane. Il suo segreto? «Credo sia l’unicità, l’attenzione al dettaglio, lo stile, i contenuti che pubblico, la qualità delle fotografie, il design del mio blog e delle mie pagine social, i contenuti editoriali mai fuori luogo». 

In effetti è anche uno dei pochi abbastanza restii a mostrare il pettorale per incrementare il numero dei seguaci. «Non ho motivo di pubblicare foto di questo tipo, voglio che le persone mi seguano per prendere ispirazioni di stile».

Uomini, Gian Maria regala infine una dritta per l’estate: non rinunciate alla camicia di lino con maniche arrotolate. Assolutamente no allo slip da mare bianco.

di Irene Caltabiano

 

 
 
 
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Amazon vuole comprare Slack. Ma cos'è?

Lavoro di squadra

slack-1Se uno dei colossi della Silicon Valley vuole investirci certamente un motivo ci sarà. La startup che è arrivata a valere 3, 8 miliardi di dollari è un portale di messaggistica per team, che integra diversi canali di comunicazione. Stewart Butterfield, co-fondatore della celebre Flickr, l’ha lanciata sul mercato ad agosto 2013 per cercare di migliorare l’esperienza lavorativa di gruppo.

Le origini della piattaforma sono da rintracciare nel mondo videoludico. Sia l'app di photo editing che la nuova arrivata nascono come videogames online, il primo dal nome Game Neverending e il secondo Glitch.  Inizialmente Slack era un semplice tool utilizzato per coordinare lo sviluppo ; visto l' insuccesso come videogioco, il team ha deciso di trasformarlo in qualcosa di diverso.

Un po’ archivio un po’ chat di gruppo,  Slack può essere visto come un unico contenitore di informazioni accessibili dall’azienda. Molti marchi importanti  quali Autodesk, eBay, Airbnb, LinkedIn lo stanno già utilizzando. Iscriversi è semplicissimo. Basta andare su Slack.com, creare il proprio team e invitare i colleghi via mail. Vengono supportati tutti i sistemi operativi, da IOS ad Android, a Linux.

Il segreto di Slack? Rendersi indispensabile

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Se  la piattaforma diventa il mezzo con cui tutti possono comunicare in azienda allora sarà fondamentale seguirne l’andamento. Chi non legge Slack rimane fuori dalle notifiche aziendali, dalle dinamiche interne e anche da una possibile aspirazione a posizioni più alte nel caso si dovesse perdere qualche informazione importante.

L'app funziona infatti per lunghe conversazioni. Impossibile rispondere solo a un commento, si deve per forza leggere tutto ciò che è stato scritto precedentemente. Si inzia così a sentire la pressione di doversi informare e postare continuamente, 24 ore su 24.

Inoltre Slack non ha una memoria illimitata ma può contenere solo fino a 10.000 messaggi per l'opzione free. Dopo questa soglia non è consentito vedere i botta e risposta precedenti; ovvero, se non si è seguita la conversazione per intero, sarà impossibile recuperare le informazioni.

 E a quel punto scatta l’opzione a pagamento. La tariffa standard è  6.25 dollari mensili (7, 25  se si opta per l’abbonamento annuale, no limiti nei messaggi o nelle  integrazioni delle app, uno spazio di 10 Giga e ulteriori funzionalità come lo screensharing) . 

La funzionalità premium prevede infine non solo gli stessi vantaggi di free e standard, ma anche un servizio di assistenza h24 e  20 Gb per singolo utente. Il prezzo sale qui fino a 11, 75 annuale, 12, 75 mensile.

 

Una piattaforma addictive

slack-5 Satya Van Heummen, esperto di startup, ha addirittura definito l'app addictive, uno strumento molto simile a Facebook o Whatsapp.

«Brillante ma malefico» è il suo commento. «Nessun competitor, per esempio Skype o Hipchat, ha questo modello di business. Mancano tutti di quegli elementi che creano dipendenza: la pressione sociale, la necessità di controllare le conversazioni, il bisogno di essere parte della squadra»

«È lo stesso motivo per cui Twitter è in difficoltà e Facebook è una società miliardaria: se non metti “Mi piace” di continuo ai post dei tuoi amici, che amico sei?»

Il design è fondamentale, il team anche, come la tempistica e la praticità. Ma ciò che fa la differenza, appunto, è la psicologia.

 

di Irene Caltabiano

 

 

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McDonald’s & Co.: quando cambiamento non significa progresso

L’insostenibile pesantezza delle casse automatiche.

McDonald'sDa McDonald’s, dopo aver atteso il proprio turno in fila.
Cliente: «Salve, vorrei un Sundae al cioccolato.»
Operatore: «Un euro e settanta, grazie.»

Il cliente paga e verosimilmente riceve il resto.
Segue una ragionevole pausa per la preparazione dell’ordine.

Operatore: «Ecco a lei.»
Cliente: «Grazie, arrivederci.»
Operatore: «Arrivederci.»

Tempo trascorso dall’ordinazione al servizio: tre minuti circa.
No, questo non è uno stralcio della sceneggiatura di un film, ma la cronaca di quel che normalmente accadeva da McDonald’s fino a pochi mesi fa, quando si entrava per consumare una specialità del menu.

Accade poi che i geni del marketing a stelle e strisce concepiscano una nuova, rivoluzionaria idea: le casse automatiche. Stiamo parlando di touch screen presso i quali ciascun cliente può effettuare in piena autonomia la propria ordinazione, in barba alle minime norme igienico-sanitarie. Essere costretti a toccare uno schermo a dir poco sudicio, dove un oceano di persone ha digitato fino a un attimo prima, suona alquanto sgradevole, specie se si è in procinto di maneggiare il proprio cibo.

Ma vediamo in dettaglio cosa accade oggi, nell’era McDonald’s 2.0, dove non si interagisce più con un essere umano ma con una macchina (dopo aver atteso che ce ne sia una libera).
Schermata iniziale: via col cronometro…

TOCCA PER ORDINARE -> Tap (il “tap” è il tipico picchiettio del dito sul touch screen, ndr)
VASSOIO O SACCHETTO? -> Tap
SCEGLI LA TUA LINGUA -> Tap

Stop! Se sono un turista Kazako e non ho idea di cosa significhi “Tocca per ordinare”, come faccio ad arrivare alla schermata per selezionare il mio menu? Magari la scelta della lingua andava messa nella schermata iniziale…
Andiamo avanti.

IN CHE MODO VORRESTI PAGARE? PAGA ALLA CASSA oppure PAGA QUI, SUBITO? -> Tap
Ipotizziamo di aver scelto di pagare alla cassa. A questo punto servono due occhi buoni e tanta pazienza per trovare quello che si desidera mangiare, selezionare le varie opzioni e premere finalmente il pulsante FINITO.

Pensate sia davvero finita qui? Neanche per sogno, c’è ancora da pedalare. Ovviamente nella speranza di non aver commesso errori, nel qual caso bisogna ricominciare daccapo.
CONFERMI LA CORRETTEZZA DEL TUO ORDINE? SÌ - NO -> Tap
INVIO ORDINE…

Dopo qualche istante esce finalmente uno scontrino con il numero progressivo che corrisponde alla nostra ordinazione. Il passo successivo è attendere il proprio turno come all’ufficio postale, seguendo l’avanzamento della coda su un altro schermo.
Quando arriverà il momento occorrerà esibire lo scontrino all’operatore e pagare. Di lì a poco si riceverà il vassoio o il sacchetto contenente il cibo.

Tempo trascorso dall’ordinazione al servizio: indefinito (certamente superiore ai tre minuti dell’era McDonald’s 1.0).

 

Non succede solo da McDonald’s.

cassaIl colosso americano degli hamburger non è l’unico ad aver messo in esercizio le odiose casse automatiche. Molte catene di supermercati, infatti, sia in Italia che nel resto dell’Unione Europea stanno insistendo con questi dispositivi che allo stato attuale provocano più disagi che benefici.

In primis vanno considerati i malfunzionamenti piuttosto frequenti delle macchine, ma non meno rilevante è l’imperizia del cliente. Quest’ultimo, infatti, non facendo il cassiere di professione è soggetto a commettere una serie di errori che comportano notevoli ritardi nella chiusura del conto. Tra i più comuni il “litigio” col codice a barre, che a volte viene rilevato a sproposito e altre non riesce a essere letto.

Infine bisogna tener presente gli inconvenienti col pagamento. A men che non si paghi con bancomat o carta di credito, occorrerà stiracchiare bene le banconote per farle digerire all’accettatore (cosa non sempre facilissima).

A conti fatti…

MR_MECQuali vantaggi ha il consumatore, se utilizza le casse automatiche? Apparentemente nessuno.
Nelle stazioni di servizio il costo del carburante al self-service è inferiore anche di venti centesimi al litro rispetto al sistema tradizionale, proprio perché il cliente deve provvedere da solo al rifornimento. In questo caso l’innovazione comporta un beneficio e ha senso.

Da McDonald’s, Auchan e compagnia cantante, invece, non è così. Tutto quel che si ottiene sono tempi allungati e un principio di sindrome da colon irritabile. E senza risparmiare nemmeno un centesimo, il che suona come una beffa.

L’unica intenzione di questi giganti della ristorazione e della grande distribuzione organizzata è risparmiare sui costi del personale. Se questi nuovi (e inefficienti) sistemi attecchiranno, infatti, in futuro ci sarà sempre meno bisogno di assumere forza lavoro.

Henry Ford disse che “c’è vero progresso solo quando i vantaggi di una nuova tecnologia diventano per tutti”. Le conclusioni riguardo alle sperimentazioni di McDonald’s & Co. appaiono perciò scontate.

 

di Giovanni Antonucci

autore del romanzo "Veronica Fuori Tempo"

 

 

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