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“Dream:ON”: l’app che fa fare bei sogni e… ti frigge il cervello

Ninna nanna, ninna oh…

Dream:ONIn una società in cui siamo tutti mediamente stressati e isterici, la qualità del sonno diventa fondamentale per non finire nel notiziario dell’ora di pranzo con l’etichetta di “serial killer”. Un tempo le ore di riposo erano necessarie per recuperare le energie fisiche bruciate durante l’attività lavorativa, oggi invece hanno più una funzione di recupero della sanità mentale.

Per svegliarsi di buonumore e ben riposati, si racconta che la massima ambizione fosse avere un buon materasso su cui coricarsi, anziché un giaciglio di paglia. Per i più piccoli, poi, bastava e avanzava la cara vecchia ninna nanna. Nel nuovo millennio, invece, per tenersi al riparo da incubi e notti insonni c’è bisogno di un’app.

Un team di scienziati inglesi dell’Università di Hertfordshire, capitanata dal professor Richard Wiseman, si è messo al lavoro e ha creato Dream:ON, un software capace di far fare bei sogni. Producendo un personale paesaggio sonoro, quest’innovativa diavoleria tecnologica riesce a evocare uno scenario piacevole, influenzando positivamente l’attività onirica della persona che dorme. Qualora si scelgano suoni relativi a paesaggi naturali si avrà maggiore probabilità di sognare verdi distese ricoperte di fiori, mentre selezionando la modalità “spiaggia” sarà più facile visualizzare scenari marittimi.

E la luna bussò.

Dream:ONFrutto di due anni di studio e numerosi test, l’app è distribuita gratuitamente, ma nella versione standard offre poche possibilità di scelta per controllare i sogni. Per sperimentare qualcosa di più interessante e coinvolgente, tuttavia, è disponibile una serie di opzioni in-app a pagamento.


Gli sviluppatori tengono a precisare che il software di per sé non funziona come un interruttore, ossia la risposta è diversa da individuo a individuo: alcuni impiegheranno un solo giorno per visualizzare nel sonno ciò che desiderano, mentre per altri potrebbe essere necessaria una settimana. Inoltre, come scoperto nel 2013 da alcuni neuroscienziati dell’Università di Basilea, il tipo e l’intensità dei sogni possono cambiare a seconda dei giorni del mese, poiché la luna piena influenza significativamente il sonno.

Disattiva per: inglese

Ora viene il bello.

Dream:ONPer il corretto funzionamento dell’applicazione è necessario posizionare lo smartphone all’altezza della testa in modo da sentire perfettamente i suoni. Come se non bastasse, occorre ricordarsi di collegarlo alla presa elettrica, poiché dovendo funzionare ininterrottamente per diverse ore, la batteria finirebbe con lo scaricarsi prima del risveglio.


Quello che fa sorridere è che Dream:ON è catalogata nell’App Store sotto la voce “Salute e benessere”. Forse gli eminenti psicologi che hanno concepito questo prodotto ignorano che nel 2011 il gruppo di esperti dell’International Agency for Research on Cancer dell’Organizzazione mondiale della sanità ha classificato i campi elettromagnetici a radiofrequenza quali “possibili cancerogeni” per l’uomo (gruppo 2B).

Altrettanto probabilmente, poi, devono essere all’oscuro del fatto che un telefono cellulare in fase di ricarica emette un campo elettromagnetico ancor più invasivo del normale per via del passaggio di corrente dalla rete elettrica al dispositivo.
Pensare di friggere il cervello degli utenti con l’obiettivo di fargli fare bei sogni suona quantomeno paradossale e le persone dovrebbero essere opportunamente informate sui rischi che corrono nel fare un simile utilizzo del proprio smartphone.

Specie dopo la sentenza di primo grado emessa il 30 marzo 2017 dal Tribunale di Ivrea, in cui per la prima volta al mondo è riconosciuto un nesso causale tra l’uso prolungato del cellulare e il tumore al cervello. Forse allora è meglio continuare a farsi cullare dalle braccia di Morfeo e rischiare di svegliarsi con la luna storta, di quando in quando, piuttosto che affidarsi a certe mirabolanti invenzioni.

 

di Giovanni Antonucci

autore del romanzo "Veronica Fuori Tempo"

 

 

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Edizione straordinaria: il bidet è sbarcato negli USA!

Nemo profeta in patria.

bidetSembra sia stato introdotto in Francia dalla regina Maria de’ Medici nella prima metà del XVII secolo e che il suo inventore sia tale Christophe Des Rosiers. Stiamo parlando del bidet, l’apparecchio sanitario considerato indispensabile per la cura dell’igiene intima, benché in molti paesi del mondo sia ancora un tabù.

Poco dopo la sua diffusione su larga scala in terra transalpina, se ne fece un utilizzo via via più ridotto, al punto che in una decina d’anni tutti gli esemplari furono dismessi e trasferiti nelle case d’appuntamento. Ritornò in auge proprio in Italia, nella seconda metà del Settecento, grazie alla regina Maria Carolina d’Asburgo-Lorena. Nel 1975, in seguito al Decreto Ministeriale Sanità 5 luglio 1975 - art. 7, la sua installazione divenne addirittura obbligatoria nelle case degli italiani.

A tutt’oggi, il nostro è il paese in cui il bidet è più diffuso, seguito rispettivamente da Portogallo, Argentina, Uruguay, Brasile, Paraguay, Cile e diversi stati del Medio Oriente. In Francia, così come in Spagna, sta scomparendo per via di rinnovate modalità d’utilizzo degli spazi abitativi. In Gran Bretagna e negli Stati Uniti d’America, invece, questo oggetto è assente da sempre in oltre il 97% delle toilette.

Come mai per inglesi e americani il bidet è un “perfect stranger”?

bidetSecondo quanto ricostruito da storici e sociologi, il bidet non è mai stato visto di buon occhio nei paesi anglosassoni per motivi politici e morali. Nell’Ottocento, a renderlo impopolare fu il fatto che si trattava di un’invenzione francese, per di più lanciata dall’odiatissima aristocrazia. Durante la Prima e la Seconda guerra mondiale, poi, i soldati americani e inglesi avevano visto questo oggetto per la prima volta proprio nei bordelli francesi e nell’immaginario collettivo esso è tuttora collegato all’idea che a servirsene siano solo le prostitute. È pertanto considerato come qualcosa di poco igienico da cui tenersi alla larga, ragion per cui i turisti abituati a questo genere di comfort hanno avuto l’amara sorpresa di non trovarlo neanche negli alberghi di lusso durante i loro viaggi negli States e nel Regno Unito.

 

Meglio tardi che mai.

bidetFortunatamente negli ultimi anni si sta verificando un’inversione di tendenza, nella patria degli Yankee. Dal 2010 in poi, infatti, le vendite sono aumentate del 10% ogni anno e nel 2016 c’è stata un’impennata del 30% rispetto all’anno precedente. Gli analisti (ebbene sì, ne esistono anche in questo settore) sono sicuri che il 2017 sarà l’anno del vero e proprio boom, per cui gli USA entreranno presto a far parte dell’élite dei paesi in cui il bidet è più diffuso.

Pare che l’approccio stia cambiando per questioni sia igieniche che ambientali. Un americano consuma annualmente almeno quaranta rotoli di carta igienica e spesso deve ricorrere alla doccia per più di una volta al giorno. Ciò comporta un notevole spreco di risorse che con l’introduzione del bidet potrebbero invece essere risparmiate. Tale rivoluzione culturale sta inoltre riscuotendo il favore dei medici, da sempre impegnati nel combattere malattie come la prostatite batterica e le infezioni alle vie urinarie.

Houston abbiamo un problema.

bidetI bagni delle case americane, soprattutto nelle grandi città, sono spesso molto piccoli e rendono difficoltosa l’installazione del bidet. Tuttavia in uno dei paesi più tecnologici del pianeta era impensabile che i produttori non si rimboccassero le mani per trovare una soluzione. È così che è nato il water-bidet (alias washlet), ossia una tazza del water con funzione di bidet incorporata.
La tavoletta del wc contiene un sistema per erogare acqua, miscelata alla giusta temperatura, per poi dirigere il getto sulle parti intime, accompagnando il tutto con soffi d’aria calda per asciugarle.

Ne esistono versioni economiche e di lusso (da poche centinaia fino a migliaia di dollari): il prodotto più high-tech della gamma permette addirittura di gestirne il funzionamento via Wi-Fi. Insomma, saranno anche arrivati per ultimi ma come al solito mirano a diventare i leader del settore.

 

 

 

di Giovanni Antonucci

autore del romanzo "Veronica Fuori Tempo"

 

 

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Sweetie, la bambina robot che stana i pedofili in rete

Sarebbe stato bello se l’esperimento si fosse rivelato un buco nell’acqua.

sweetie-1Ma quando Sweetie, dieci anni sulla carta, ha fatto la sua apparizione online, ecco spuntare da subito cinque, dieci, quindici finestre pop-up. «Hi Lucy, io pazzo per bikini piccoli». Oppure «Lucy bella, Lucy anche nuda?». La solita sfilza di nickname che non lasciano spazio all’immaginazione: Charly pacco-grosso e via dicendo. La maggior parte di loro, quando si inizia la chat, ha già le telecamere puntate sulle parti intime.

Lucy, ma anche Manila, Vanida, Ratana. Tanti i nomi di Sweetie. Gli orchi credono ciecamente alla sua identità, in fondo è solo una bambina. Potrebbero mai immaginare che sia la vera cacciatrice? Lei, con quegli occhi grandi e la pelle ambrata, così simile alle sue coetanee povere che gli uomini ricchi adescano online. Lei che altro non è che un avatar, un robot. Che fa quello che le viene richiesto, si spoglia, si offre. Ma nel frattempo raccoglie tracce, crea profili, incastra chi crede di avere il coltello dalla parte del manico.

Attenti all'orco

Terre des hommes, associazione contro la violenza infantile attiva in 69 Paesi,  ha trovato la chiave giusta per sweetie-2mettere spalle al muro i cyber pedofili. Sweetie infatti, nel momento di massima libidine dell’orco, si spinge sempre più in là, fino a chiedere un contatto Skype, Facebook, Messenger con la scusa della connessione lenta. L’indirizzo permetterà di rintracciare il colpevole  e inserirlo nell’archivio degli imputati.

Qualcuno ha avuto persino l’ardire di contestare il reato perché, in fondo, non si tratta di una bambina reale. Ma il giudice che a Brisbane, Australia, ha condannato Scott Robert Hansen, il primo che Sweetie è riuscita ad incastrare, non ha dubbi. «È irrilevante. Se credi che sia una bambina vera è abbastanza».

«L’obiettivo è cercare di identificare più predatori possibili, e inviare loro una raffica di minacciosi avvertimenti per spaventarli e scoraggiarli» spiega Hans Guyt, responsabile del progetto. «Chi nonostante i moniti continuerà a razziare sul web verrà segnalato a Europol e Interpol» Il sistema è utilizzato non tanto per gli habituè, quanto per i neofiti curiosi, per scoraggiarli ad intraprendere una strada pericolosa. Quei curiosi che si illudono di essere protetti da uno schermo e dall’anonimato. «Impaurire i debuttanti è importante perché uno su quattro passa poi ad abusi fisici. Se il progetto si rivelerà efficace cominceremo le collaborazioni con le forze dell’ordine».

I dati

sweetie-3L’Fbi ha rivelato che ci sono almeno 750mila persone al mondo, in qualsiasi momento del giorno, che setacciano il web in cerca di vittime sempre più giovani, con show sempre più spinti. Addirittura con minori torturati o costretti a fare sesso con animali.

Purtroppo gli incontri online non sono casuali. Mai volontari. Il fenomeno è infatti diffuso in zone molto povere come la Thailandia. Sacrificarsi per il bene della famiglia, per guadagnare qualche dollaro, è un dovere collettivo e i minori sono spesse volte immolati dai genitori  o sfruttati da bande criminali. Vengono allestiti una sorta di Internet point in baracche fatiscenti dove si svoglono gli show-show per gli sugar daddies, i paparini. Il fattore grave è che tale forma di prostituzione viene considerata un lavoro legittimo, qualcosa di blando rispetto alle performance sessuali reali.

E cosa ancora peggiore, tranne che in Inghilterra, non ci sono leggi specifiche per incastrare un cyber pedofilo. Ci deve scappare la vittima in carne e ossa.

 

di Irene Caltabiano

 

 

 

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