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L’Alzheimer fa un po’ meno paura

Un fenomeno in continua crescita.

Se ne sente parlare praticamente ovunque, in tv come al mercato. Anche Hollywood, di recente, ha trattato il tema con il film Still Alice (adattamento cinematografico del romanzo Perdersi, di Lisa Genova). L’Alzheimer è una delle malattie che mette più angoscia forse proprio perché si porta via i nostri ricordi, compromettendo i rapporti umani e condannandoci a una terribile solitudine. Non perché amici e parenti ci voltino le spalle nel momento del bisogno, ma perché non riconoscendoli più come tali, di fatto, smettono di esistere.

Solo in Italia, le persone affette da questa patologia ammontano a circa seicentomila unità e nel mondo se ne contano addirittura quarantasette milioni. Le stime degli esperti, poi, indicano che entro il 2050 il numero di malati è destinato a triplicare (complice soprattutto l’invecchiamento della popolazione).
Quel che preoccupa maggiormente è il senso d’impotenza fin qui manifestato dagli scienziati nei confronti del morbo. A tutt’oggi non esistono trattamenti in grado di rallentarne la progressione e l’aspettativa di vita media, dall’insorgenza dei primi sintomi, è di otto anni.

Conoscere il nemico contro cui combattere.

Finora si riteneva che la causa dell’Alzheimer fosse da ricercare nell’ippocampo, la struttura del sistema nervoso centrale primariamente coinvolta nelle funzioni della memoria. Una sorprendente scoperta di un’équipe di ricercatori del Campus Bio-Medico di Roma, tuttavia, ha stabilito che all’origine della malattia c’è invece la morte dell’area tegmentale ventrale. Quest’ultimo è il settore del cervello in cui è prodotta la dopamina, un neurotrasmettitore che svolge un ruolo importantissimo a livello comportamentale, cognitivo, motorio, motivazionale e dell’umore.

Marcello D’Amelio, coordinatore del gruppo di scienziati, sostiene che questo lavoro getta nuova luce sui meccanismi all’origine della malattia e indica la strada che condurrà a un trattamento efficace per curare l’Alzheimer. Benché allo stato attuale non sia possibile stabilire quando ciò avverrà, l’entusiasmo dei ricercatori è comprensibile e invita all’ottimismo.

Un’accurata analisi morfologica del cervello ha permesso di scoprire che quando vengono a mancare i neuroni dell’area tegmentale ventrale, la produzione di dopamina diminuisce e ciò provoca il malfunzionamento dell’ippocampo (insorgono cioè i problemi di memoria). Nonostante le cellule di quest’ultimo restino intatte, dunque, il paziente manifesta i tipici sintomi dell’Alzheimer.

Somministrando in laboratorio, su modelli animali, due diverse terapie (una con L-Dopa, un amminoacido precursore della dopamina, e l'altra basata su un farmaco che ne inibisce la degradazione) si è registrato il recupero completo della memoria, in tempi relativamente rapidi. Nel corso dei test, gli scienziati hanno registrato anche il pieno ripristino della facoltà motivazionale e della vitalità. Perdita di memoria e depressione, perciò, sono due facce della stessa medaglia. Finora, invece, si riteneva che i cambiamenti nel tono dell’umore fossero solo una conseguenza della comparsa dell’Alzheimer.

Sviluppi futuri.

Il prossimo passo sarà la messa a punto di tecniche neuro-radiologiche più efficaci che permettano di scoprire i meccanismi di funzionamento e degenerazione dell’area tegmentale ventrale. Ciò sarà utile anche per la cura del Parkinson, anch’esso causato dalla morte dei neuroni che producono dopamina. Pertanto è lecito immaginare che in futuro le strategie terapeutiche per combattere entrambe le malattie saranno concentrate su un obiettivo comune: impedire in modo selettivo la morte di questi neuroni.

La somministrazione di farmaci inibitori della degradazione della dopamina, infatti, perde la sua efficacia nel momento in cui non ci sono più neuroni da stimolare e quindi non può essere considerata la soluzione al problema. Inoltre tali farmaci provocano fenomeni di particolare tossicità che possono aggravare le già precarie condizioni dei pazienti.
Quel che è più importante, anche in assenza di una cura definitiva, è aver individuato la causa di questa terribile malattia, poiché ciò consente di intervenire in termini di prevenzione. Un’alimentazione mirata e un corretto stile di vita, infatti, possono stimolare la produzione di dopamina ritardando il più possibile l’eventuale insorgenza del morbo di Alzheimer (e di Parkinson).

 

di Giovanni Antonucci

autore del romanzo "Veronica Fuori Tempo"

 

 

 
 
 
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Quando il cellulare diventa un pezzo da museo!

Chiamate, messaggi, foto, posta elettronica, acquisti

Lo smartphone  ci consente ormai di fare qualsiasi cosa.  La tecnologia avanza spedita, nuovi modelli vengono prodotti in continuazione e possedere un telefono è diventato una necessità. Ogni cellulare ha la sua storia e con lui c’è la nostra. Come possiamo dimenticare il Nokia 3310 o il Motorola con lo sportelletto? Il primo telefono è un po’ come il primo bacio: non si scorda mai. 

Sicuramente c’è ancora chi lo conserva come un piacevole ricordo in qualche remoto cassetto. Oggi forse è più complicato affezionarsi a questi oggetti, infatti si rompono e li cambiamo spesso. Il mercato ne offre davvero troppi e ricostruirne la cronologia di produzione sarebbe azzardato. Il gioco varrebbe la candela? Poco importa, ci hanno già pensato.

Collezione. Il Guinnes dei primati se lo aggiudica il tedesco Carsten Tews, possedendo ben 1.563 modelli differenti. A catturare l’attenzione però è anche il ventiseienne slovacco Stefan Polgari con i suoi 1.231. Quest’ultimo ci ha visto lungo, tanto da ristrutturare la propria cantina e creare un vero e proprio museo di storia dei cellulari.

L’idea.  Attratto dall’evoluzione tecnologica, appena quindicenne, Stefan iniziò a racimolare vecchi telefoni. La passione per la collezione e la curiosità lo hanno spinto ad acquistarne oltre mille ad un prezzo stracciato, ovvero un centinaio d’euro. Il risultato?  Un museo, più di 3500 telefoni (considerando i doppioni) e  il record ufficiale di raccolta più grande della Slovacchia.

Modelli. I cellulari esposti sono considerati vintage, è questa la caratteristica della collezione. La raccolta comprende Alcatel, Nokia 5510 (uno dei primi con cover intercambiabili) o l’indimenticabile 3310, da poco tornato, in vesti moderne, sul mercato. Non mancano nemmeno Ericsson, Siemens, Panasonic, Philips … insomma, ci sono un po’ tutti.



L’obbiettivo.  Come è scritto sul sito (https://muzeummobilov.sk/) il compito della mostra è tramandare il valore del cellulare alle generazioni future. La tendenza attuale è considerare l’oggetto come un bene di consumo mentre i pezzi esposti raccontano un tempo e una storia in cui il valore del cellulare era un altro. Non solo si valutava la qualità dell’apparecchio ma il design, la linea del dispositivo e il legame affettivo.   

Chi l’avrebbe mai detto, nonostante la giovane età, che i cellulari diventassero pezzi da museo? A quanto pare non sono gli anni che passano a stabilirne la storicità ma la continua evoluzione tecnologica che li accompagna. Insomma, se vi capita di andare in Slovacchia, scrivete a Stefan; riceve su appuntamento e sarà ben felice di accogliervi e mostrarvi la sua collezione.  

 

di Luca Mordenti

 

 
 
 
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Enoteca Maria, il ristorante newyorchese dove cucinano le nonne

L’odore di pasta al forno la domenica, le polpette che sfrigolano in padella, quell’aroma di buono, di familiare, di casa.

enoteca-maria-1Chiunque abbia avuto una nonna sa che la sua cucina è ineguagliabile. Un qualsiasi chef stellato non potrà mai sostituire le pietanze preparate con tanto amore da quelle mani rugose e sapienti.

Ed è stato proprio l’effetto nostalgia a fare breccia nel cuore di Jody Scaravella e del suo Enoteca Maria, ristorante newyorchese che ha aperto i battenti nel 2016. In onore alle origini italiane, l’imprenditore ha messo da parte cuochi Cordon Bleu per consegnare i fornelli alle vere regine della cucina: le nonne.

Nonnas in the world

In principio erano solo le compaesane di una certa età a spadellare e impiattare delizie culinarie. Ma a un tratto Scaravella enoteca-maria-2si è chiesto: perché non dare spazio alle nonne di tutto il mondo? Detto, fatto. Il locale, da dieci anni a questa parte, è diventato un tripudio di cucina casereccia, dalla colombiana alla giapponese, dalla russa alla filippina. I piatti sono rigorosamente preparati da donne che servirebbero esattamente le stesse cose ai propri nipoti ( ed è probabile che si accertino, come tutte,  che gli avventori abbiano ripulito il piatto).

Il ristorante è già stato sommerso da commenti positivi. Ma la vera chicca è l’insegna del locale; sotto Enoteca Maria campeggia la scritta "Nonnas in the world". Come non amarlo?

 

enoteca-maria-3

 

di Irene Caltabiano

 

 

 
 
 

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