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Facebook o non Facebook? Questione amletica

Gli utenti iscritti in Italia sono circa trenta milioni e nel mondo quasi due miliardi. 

mark-zuckerberg“Facebook aiuta a connetterti e rimanere in contatto con le persone della tua vita” recita lo slogan in home page. Quanto è vero e quanto è falso? Che sia il social per eccellenza e abbia cambiato la vita delle persone è evidente, ma come? E soprattutto la domanda è: «Farei meglio a cancellare il mio account?»

Identità. Siamo noi che scriviamo e condividiamo quel che ci rappresenta oppure siamo vittime del giudizio altrui? A quanto pare,  cercare in tutti i modi di apparire in un certo modo porta ad una depersonalizzazione che crea vuoto e spaesamento. Il risultato? Non siamo nessuno, solo vittime di identità virtuali, nemmeno troppo interessate a noi. Passiamo molto più tempo a cercare di dimostrare quel che vorremmo essere che vivere in maniera autentica la nostra vita. Le conseguenze? Eccesso di vanità, narcisismo e sbalzi d’umore, giusto per citarne alcuni.

Schiavitù. Un uso smoderato provoca dipendenza, difficile da identificare e  sconfiggere. Controlliamo l’applicazione appena facebook-dipendenzasvegli, in bagno, a colazione, nel traffico o mentre siamo al lavoro. Insomma, ci ruba un tempo che è impossibile recuperare ma allo stesso modo è difficile farne a menoIl problema però non sembra essere Facebook in sé ma l’individuo. Infatti una persona fragile, con difficoltà a comunicare o caratterizzata da sensazioni che non riesce a gestire, tende più facilmente a rifugiarsi  nella realtà virtuale. Conseguenza? Una vera e propria assuefazione.

Gli amici.   Quanti sono realmente quelli che abbiamo sul nostro profilo? Se ci soffermassimo a riflettere, molto probabilmente cadremmo vittime della  tristezza sentendoci soli al mondo. Secondo una ricerca,  il tre - cinque per cento sarebbero nostri amici stretti, tutto il resto non sono altro che nomi e post che visualizziamo, senza considerarli affatto.  

facebook4Sicurezza. Abbiamo davvero la nostra privacy? No. Foto, video, numeri di telefono, mail, password: tutto sotto controllo. Ciò che spesso si crede è che avere un profilo privato sia un modo per condividere i propri momenti bizzarri o i pensieri ebbri di un giorno. Sbagliato. Non consideriamo che una volta che si clicca “pubblica”, tutto diventa di dominio altrui. Quanti licenziamenti? Quante litigate o atti di gelosia?  Un vero e proprio disagio a portata di click, senza poter tornare più indietro.  

Lavoro. Se cerchi un impiego sappi che il futuro datore di lavoro prima di assumerti avrà ispezionato il tuo profilo. Una ricerca dice che il 90% controlla gli account privati dei vari candidati e circa il 69% respinge proposte in base ai contenuti che ha visto. Il paradosso? Se non hai un account, risulti un ragazzo strano. Ogni capo ha i suoi segreti come tu i tuoi scheletri nell’armadio, infatti non conoscerai mai le sue valutazioni. Ad ogni modo, se non possiedi un profilo puoi sempre dire di averlo avuto e cancellato per rimanere più concentrato durante le ore di lavoro.

Stare a guardare. Siamo talmente occupati a osservare ciò che fanno gli altri che perdiamo l’energia per attività più utili.  Ma vale davvero la pena passare un vita a testa china verso uno schermo? Facendo così non ci dimentichiamo, forse, che in cielo esistono le stelle?  

 

di Luca Mordenti

 
 
 
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De-generazione millenials: la vertigine della possibilità

Creare una famiglia, avere un posto fisso, comprare l’utilitaria per i fine settimana fuori porta.

famiglia-anni-50Erano questi i sogni dei nostri genitori? O semplicemente così andava il mondo?

Sono passati appena cinquant’anni e siamo di fronte a uno stravolgimento totale di abitudini, desideri e aspettative. I beni materiali, agli occhi dei giovani, sembrano assumere sempre meno valore . Un’esperienza, che sia un viaggio o la pratica di uno sport estremo, per quanto più effimera e meno concreta, possiede importanza maggiore di una proprietà durevole nel tempo.

Un sondaggio realizzato su 1000 intervistati da Doxa per Idealista, portale di annunci immobiliari per vendita e affitto,  rivela che il 66 % dei millenials, pur avendo la possibilità di acquistare una casa di proprietà, preferisce contratti temporanei. Uno dei tanti indici dell’allontanamento dagli schemi precedenti. I dati parlano chiaro: quando si tratta di beni immobili ( simbolo del radicamento in un territorio) la preferenza nei confronti di case in affitto rispetto a quelle di proprietà è un chiaro segnale del cambio di rotta. 

Millenials, seguaci di Orazio

Incoscienti o più “spirituali”? Superficiali o consapevoli della sempre più evidente mancanza di certezze? Liberi o travolti viaggiatoridall’angoscia di rinchiuderci in una gabbia di convenzioni?

È vero, la crisi economica, insieme a quella dei vecchi modelli societari, è indubbia. Come posso pensare di pagare un mutuo per quarant’anni se non so ancora dove sarò fra sei mesi e se svolgerò la stessa professione? L’equilibrio precario delle nostre finanze ci rende sempre più prudenti nella programmazione di progetti a lungo termine, più tendenti al famoso carpe diem che al “vita natural durante”.

La difficoltà  di acquisti consistenti diventa così riluttanza a possedere. La conseguenza della società liquida di Bauman non è solo il consumo continuo e insaziabile dei beni materiali, ma la paura di dover rinunciare ad alternative interessanti per rinchiudersi in un unico modello di vita. Internet, gli smartphone, le app ci hanno fatto scoprire un’abbondanza di identità attraverso le quali percorrere l’esistenza.

Libertà o paura?

kevin-spaceyLa sharing economy significa sì condivisione ma anche utilizzo di un servizio senza la responsabilità della proprietà. Prima , inoltre, si aveva meno possibilità di viaggiare e forse si pensava che il suddetto modello "famiglia-figli-macchina" fosse semplicemente quello giusto. I millenials invece vogliono sperimentare, hanno desiderio di capire se davvero desiderano incapsularsi in uno schema  o se preferiscono la piacevole sensazione di vertigine della possibilità. La scelta di un’unica alternativa fa paura. Terrorizza l'idea di rimanere invischiati nella palude di una vita monotona e uguale a sé stessa.

Atteggiamento giusto, sbagliato, o semplicemente nuovo?  L’altra faccia della medaglia è la tendenza a deresponsabilizzarsi, un’eterna giovinezza che, dietro la libertà, nasconde una terribile paura dei legami, di qualsiasi tipo. Il contrario di profondità è infatti superficialità. Un’esistenza che sfiora le esperienze, come un’ape vola di fiore in fiore, senza mai vederne la totalità delle sfaccettature.

 

di Irene Caltabiano

 

 
 
 
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Touch and go: il regno del contactless è alle porte?

Parola chiave? Velocità

Stamattina, mentre facevo la fila in cassa al supermercato mi è venuto in mente The founder, film sul creatore dell'impero McDonald's. Perché direte voi? La storia mette in evidenza come ciò che fece la differenza nell’enorme diffusione dell’azienda di Ray Kroc, non fu mica la bontà o la qualità degli alimenti, bensì la rapidità del servizio. I pasti della catena di fast food più diffusa del mondo venivano serviti in meno di un minuto, patatine e bibite comprese. Ecco il segreto: in un mondo in cui il tempo sta diventando il bene più prezioso, qualsiasi idea ti faccia risparmiare anche solo un minuto è ben accetta.

 Mr Touch and go

Ormai contanti e pin stanno diventando obsoleti. Un bip di bancomat e carta di credito e la spesa è fatta, senza introduzione fisica della scheda nel POS. Questo tipo di pagamento sta crescendo in tutto il mondo. Secondo una ricerca di Barclays infatti gli acquisti contactless hanno aumentato il loro valore del 173% e si pensa cresceranno ancora del 112% solo nel 2017.

Beerme, pago e spillo

L’ultima dal mondo touch and go viene dal Regno Unito. Quale può essere infatti il prodotto più venduto in Inghilterra se non la birra? Tramite apposita app paghi da bere in meno di un minuto, senza noiose file. Barclays ha stimato che un cliente impiega circa dodici minuti dall’ordine all’effettiva consumazione.

Il sistema utilizzato per l’app si chiama Pay@Pump ed è molto semplice. Si seleziona l’ordine per una pinta dal touchscreen e si avvicina lo schermo dello smartphone alla base dell’erogatore. Dopodichè basta posizionare il bicchiere sotto lo spillatore ed ecco la vostra bevanda, fresca e pronta per essere consumata.

I primi esperimenti sono stati svolti con successo all’Henry’s Cafè di Londra ed ora pare che l’idea stia prendendo piede in diversi bar della capitale.

Gli svantaggi

Al momento i sistemi touch and go convivono pacificamente con i dipendenti, tuttavia rappresentano una sottile minaccia. È infatti previsto un costo minore delle bevanda per chi decida di pagare in questa modalità. Il  passo dall’introduzione dei sistemi automatizzati alla totale eliminazione del personale però potrebbe essere breve.

Anche da McDonald's spariranno le divise e una voce robotica ci chiederà se preferiamo Fanta o Coca Cola? 

 

di Irene Caltabiano

 

 

 
 
 
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