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Non chiamatelo Heroin chic

Desideri, come tutti.

Downtown-divasVivere in Australia, incontrare il cantante dei sogni o portare un fiore sulla tomba del proprio padre. Ma anche, come tutti, errori. Non aver seguito l’illusione di un amore, aver lasciato andare quell’occasione. Non esser riusciti a dire no all’ennesima dose di eroina.

Eccole le principesse perdute di Downtown Divas, progetto dei fotografi Loral Amire e Gigi Ben Artzi . Le “dive” dei sobborghi sono prostitute eroinomani, nella maggioranza di provenienza russa. Gli artisti le hanno scovate sotto i ponti, esponendosi personalmente al pericolo. La zona (di una città volontariamente non identificata) è infatti battuta da protettori dalla ritorsione facile.

Dalla strada ai flash del set, senza trucco, con buchi visibili su braccia e gambe. Corpi consumati, denti marci, downtown-divas-2malcelati dal glamour delle grandi firme, unico punto in comune con le modelle da rivista patinata ( Miu-Miu, Louis Vuitton, Alexander Wang). Uno schiaffo di realtà molto lontano dal trend heroin chic affermatosi negli anni Novanta e in voga ancora oggi.

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Pelle pallida, occhi cerchiati, rossetto scuro, quel fascino tossico alla Kate Moss, lo stesso che le ha fatto guadagnare tante copertine. Ma stavolta non è un trucco fatto ad arte. Non c'è timidezza nella facilità con cui queste ragazze si spogliano, gesti dettati dall’abitudine o forse dall’inconsapevolezza in cui vivono costantemente. L’obiettivo di Amire e Artzi (in cui riecheggia l’arte di Helmut Newton o Nan Goldin) è rivelare che nell’eroina non c’è nulla di affascinante. Il risultato? Grottesco.

A parte la denuncia sociale, ciò che colpisce è quello che si intravede negli occhi di queste donne, prima che la loro mente ricada nel limbo. Una tristezza infantile, un vuoto emotivo che forse solo la droga riesce a riempire.downtown-divas-3downtown-divas-4

 

di Irene Caltabiano

 

 
 
 
 
 
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La rivincita del terzo incomodo

Reggi-moccolo, terza ruota, candela.

terzo-incomodoIn qualsiasi modo la si voglia etichettare, essere il terzo incomodo è una delle esperienze universali della vita. Tutti siamo passati da questa spiacevole (quanto a volte inevitabile) situazione.

 Il "battesimo" da terzo incomodo si ha in genere alle feste delle medie. Quando il tuo migliore amico/amica ignorando il tuo più che probabile imbarazzo, ti chiederà di accompagnarlo al compleanno del ragazzo/ ragazza che ci prova senza sosta da tre mesi. Porti con te il caricatore del cellulare sapendo che scaricherai la batteria giocando a Candy Crush. Oppure, imbarazzo 2.0, cercherà di appiopparti il miglior amico del ragazzo, sfigato e nerd, cosa che succedeva spesso quando ancora non esistevano gli smartphone. Quando eri ferratissimo sulle marche di birra (dal momento che passavi gran parte della serata a fissarne l’etichetta per evitare di gettare l’occhio sull’accoppiamento al tuo fianco).

Miei cari reggimoccolo, è arrivato il momento del riscatto e in molti già hanno sperimentato il sottile piacere della vendetta. E imnotthethirdwheell'arma migliore in questa battaglia è l’autoironia. La nuova tendenza social è il photobombing del terzo incomodo. Colui che, subdolamente, si intrufola nelle foto di coppia rubando la scena ai piccioncini. Succede così che le foto di lui e lei da cui cola miele, tutte smancerie, bacetti e pucci-pucci, diventino strumento di ilarità, fino a sfiorare il capolavoro fotografico.

Alcuni di questi vendicatori dei single hanno raggiunto grande successo sui social. In principio fu Peter Alden, ventinovenne single di New York. Le vittime? Il fratello Ben e la fidanzata Marissa, peraltro amica del photobomber. Il suo profilo Instagram si chiama Imnotathirdwheel ( third wheel in inglese è il nostro terzo incomodo) e raccoglie immagini davvero spassose. Fate attenzione, il terzo incomodo c’è anche se non si vede.

thirdwheelextravaganzaLa sua controparte femminile si chiama invece thirdwheelextravaganza. Purtroppo non se ne conosce il nome ma la ragazza è riuscita a rendere virale il suo account raccontando tramite photobook la sua vita da intrusa tra la sorella e il fidanzato. La sua "documentazione" è notevole: riusciamo infatti a seguire tutta la storia d'amore, dai primi baci, passando per il fidanzamento ufficiale, fino al matrimonio. Chiaramente sempre raccontato dall’esclusivo punto di vista della "terza ruota".

Quindi miei cari single, guardate i lati positivi. Non siete soli, basta digitare l’hashtag #thethirdwheel per trovare comprensione e conforto. E poi lo zitellaggio non è affatto male: al cinema non sarete costretti a dividere i pop corn con nessuno e se siete in sala con una coppia che comincia a litigare avrete il privilegio di due spettacoli al prezzo di uno. 

 

di Irene Caltabiano

 

 
 
 
 
 
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Svezia: chi non lavora fa l'amore

Il famoso adagio recita l'esatto contrario.

lavoratoreIl monito per eccellenza degli scansafatiche ( chi non lavora non fa l'amore) sembra non valere nel cuore dei Paesi nordici. Erik Muskos, consigliere della cittadina svedese di Övertorneå, ha proposto la concessione di un’ora di pausa ai lavoratori. Obiettivo? Tornare a casa e avere rapporti sessuali con il proprio partner.

La notizia non può che suscitare l’invidia di tanti dipendenti costretti a un frugale pasto consumato in compagnia del pc. Non solo infatti la Svezia è uno dei Paesi europei in cui si lavora meno (sei ore e pausa per l’attività fisica). Gli abitanti delle fredde terre del Nord avranno possibilità ulteriore di relax perché Muskos ha realizzato quanto sia salutare il sesso in termini di benessere e produttività sul lavoro.

 Il consigliere ha preso atto della poca disponibilità di tempo nella società attuale. Si corre sempre dietro all’orologio e i coppia-sessomomenti per assaporare i piaceri della carne sono veramente pochi. E quando si presentano, o si è troppo stanchi o si tende ad evitare perché il giorno dopo si deve lavorare. Così si acquisiscono promozioni ma si perde completamente l’eros. L'iniziativa ha persino un valore sociale dal momento che anche nei Paesi Baltici il tasso di natalità ha subito un calo spaventoso.

Ovviamente non si può garantire che tutti i dipendenti sfruttino quell’arco di tempo esattamente per lo scopo per cui è stato designato. Muskos dichiara però di fidarsi dei suoi sottoposti. Certo, fa sorridere pensare ai single che dispongono di questi sessanta minuti. Magari sceglieranno di fare due ore di corsa anziché una sola. Oppure lo sfrutteranno per cercare fra le vie della città l’anima gemella o guardare con più attenzione le app di dating.

In ogni caso credo che dai nordici abbiamo molto da imparare. Altro che Paesi freddi.

 

di Irene Caltabiano

 
 
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