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Che fine ha fatto la televisione?

Netflix, Infinity, Sky, la triade del momento.

netflix-pay-tvUn entertainment fruibile ovunque e in qualsiasi momento, tra smartphone, I-pad e pc portatili. Piattaforme che non hanno solo un intento ludico, ma diventano punto di riferimento persino per l’ informazione. Un’offerta enorme che fa ormai impallidire i palinsesti televisivi tradizionali. Avere una pay tv è come quando si parte per un viaggio e si riempie oltremodo la valigia: l’importante non è indossare tutti i vestiti portati con sè, ma avere disponibilità e agio di scegliere tra abito da sera, jeans o tuta.

In questo scenario, Nonna Televisione Pubblica che fine fa? Diventerà un oggetto vintage, ben ingioiellato ma destinato all' ospizio? Un anziano con grande esperienza sulle spalle ma che il nipote non ascolta  più perchè distratto da ritmi e pluralità dei “giovani” social?

Comunità vs individuo

Le tv generaliste al momento arrancano, è un dato di fatto. Ma qual è il motivo per cui si accantona momentaneamente la visione di Stranger things per seguire il Festival di Sanremo? Il varietà è morto, eppure alla prima dichiarazione di Belen o l’accenno di lite tra Heather Parisi e Lorella Cuccarini tutti a twittare la propria opinione. Quale filo sottile lega la televisione ai nuovi device? Le generaliste riusciranno a risalire la china o naufragheranno in questo mar di contenuti?

Il gap generazionale è sicuramente presente. Sarebbe impossibile chiedere agli adolescenti di oggi di ridare centralità alla tv televisioneperché non ha più lo stesso valore aggregativo. Il piccolo schermo ha avuto un ruolo fondamentale nella costruzione dell'identità nazionale. Oggi il bisogno di creare la comunità è stato nettamente scavalcato dalla necessità indviduale: canali tematici, micro-nicchie di informazione, alluvioni di gruppi social e post in cui chiunque trova il proprio posto. E se non c’è, se lo crea.

 Perché dovrei preferire la tv generalista quando c’è YouTube, lo streaming, i social o la pay tv? La televisione non è sparita; così come esistono ancora radio e cinema, che, all’apparizione della tv, secondo molti, sarebbero stati destinati al dimenticatoio. Invece si sono evoluti, connessi, in un vortice di referenzialità che crea un fronte compatto ma dalla fruizione distinta, una serie di mezzi che non si elidono ma si integrano.

La parola chiave è differenziazione

caroselloNon credo che la televisione generalista stia morendo, semplicemente deve ritrovare un suo posto, una sua credibilità, rinascere come un' isola in mezzo all’oceano. Forse potrebbe puntare sugli eventi, sui talk show, trasmettere e migliorare format estranei alle pay tv. Ad esempio, spettacoli teatrali o di danza; potrebbe funzionare, visti i due milioni di telespettatori collezionati dalla diretta televisiva della prima della Scala.

Riconoscersi ancora una certa autorevolezza e unità in mezzo alla frammentazione di pubblico e opinioni. Riappropriarsi di una prerogativa che i colleghi più giovani non hanno: verifica e approfondimento. Forse anziché battere le nuove piattaforme in tempo e velocità potrebbe tentare la strada della "decrescita felice". Meno offerta, più qualità e soprattutto revisionare palinsesto, mezzi di diffusione e analisi dati. Puntare sulla credibilità di un conduttore, di un giornalista, di un attore, facendone un brand a cui affezionarsi. Creare insomma delle esclusive del mezzo.

Un tempo quando Pippo Baudo passò a Mediaset fu uno scandalo. Ora una Maria De Filippi a Sanremo non ci fa nessun effetto. Insomma, disancorarsi da santi, distretti di polizia ed eroi nazionali, creare nuove strategie, svecchiare, osare.

 

di Irene Caltabiano

 
 
 
 
 
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Pomodori verdi sfatti: Cucinare male e l'orgoglio degli chef mancati

«Chi cucina bene fa le ciambelle con il buco»

torta«A chi cucina così così non tutte le ciambelle riescono con il buco. Noi invece siamo il buco». Credo non esista migliore descrizione di uno dei gruppi Facebook del momento. Cucinaremale ha raccolto quasi 38000 membri in soli tre anni. E pensare che la pagina è nata per scherzo, come dice il fondatore Federico Briano Savona in un’intervista a Food makers.

Ecco a voi la comunità che dice basta ai vari Joe Bastianich e Carlo Cracco, al patè foie gras e al sautè di cozze.  I comuni mortali si cibano di pizze surgelate, wurstel crudi e maionese e di sbobbe improponibili se si hanno ospiti a cena (ma anche se si è soli a casa). Tuttavia non si nascondono dietro foto di meraviglie prese da Internet: non sanno cucinare e ne vanno orgogliosi. Anzi, alla prima foto di piatto riuscito bene si urla al ban.

Le regole sono elementari: cucinare male un piatto, fare una foto e postarla su Facebook; e via di orrori e disastri che i torta-caccagiudici di Masterchef darebbero in pasto ai maiali senza nemmeno chiedere cosa siano. Un ritrovo in cui chi brucia il pollo o disintegra una torta può trovare comprensione, la famiglia virtuale dove nessuno ti giudicherà se pensi che la saccapoche sia il nuovo modello decapottabile della Citroen.

Una testuggine battagliera contro i food blogger, votata al Dio del surgelato e dei sughi pronti, che non si spaventa di apparire incapace di fare un uovo sodo o mostrare le ferite di guerra nel tentativo di tagliare le carote alla julienne. Una quotidiana guerra con la salubrità, ma va bene pur che serva per farci nutrire.

wurstel

 

Cucinaremale ci riporta ai veri piani cottura, quelli con le macchie di sugo che scrosti solo con la dinamite e la tavola che, dopo pranzo, sembra un monumento ai caduti del '15-'18. In due parole: alla vita reale. Quella di chi non ha tempo di andare in bagno, figuriamoci di far brillare l’acciaio o realizzare vere e proprie sculture di cibo. Il refugium peccatorum che dimostra che la cucina italiana è sì la migliore del mondo ma questo non fa di tutti gli italiani cuochi provetti.

La pagina sfata anche il mito della mamma “Mulino bianco” che sforna delizie per figli entusiasti che si impastricciano la faccia di crema. Qui i pargoli, nel loro candore, sono molto peggio dei famigerati giudici dei talent. A volte si rifiutano di mangiare ciò che il genitore ha provato a preparare con amore, criticandone pesantemente  l’aspetto di un gatto in putrefazione. Oppure, con commenti al limite dell'insulto, dicono alla mamma di spostarsi dai fornelli che è meglio che cucini papà o implorano una pizza a domicilio.

Insomma lode all’abbozzo, al disgusto e allo stracotto in una società che ci vuol perfetti anche in cucina. Gordon Ramsay spostati: ecco le vere cucine da incubo. 

( Sotto, una gallery che merita di esser vista. Per tutto il resto iscrivetevi al gruppo e non ve ne pentirete!)

 

di Irene Caltabiano

 

 
 
 
 
 
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Lo stato brado: cosa vuol dire essere single su Facebook

Non fatevi ingannare.

Non lasciatevi intenerire dai video sui momenti più belli del 2016 o su quant'è unica la vostra amicizia con l'amico del cuore. Il diabolico Zuckerberg vi vedrà sempre e comunque come macchine da soldi. Anche se avete il cuore spezzato e vi state disidratando di fronte all'ennesima visione di Titanic.

Pare che, nei Moments that matter di Facebook ( ovvero i consigli dati a chi vuole creare un business con la piattaforma più ficcanaso del mondo) a pochi giorni da san Valentino, sia spuntata una pagina interamente dedicata al come lucrare su tutti gli utenti che tornano single dopo un po' di tempo. Una vera chicca che vi svelerà tante cose sull'amore e sui nostri istinti di accoppiamento post-rottura.

Lo status brado

Pare ci sia un periodo esatto, un intervallo in cui è meglio che l'anti-Cupido scagli le sue frecce. Non un mese dopo né una settimana prima della comunicazione ufficiale di rottura, ma, secondo le analisi dei dati, due settimane.Ė stato dimostrato che quattordici giorni pre e post il cambio di status da "impegnato" a single" il 40% degli utenti sia più predisposto ad accettare avances, inviti ad eventi oppure semplicemente consuma per più tempo i propri pollici sugli smartphone .

Le bacheche saranno invase di parole come dolore, rinascita, e binge watching ( pare che dopo aver mollato il propio lui/la propria lei ci sia finalmente il tempo di recuperare l'ultima stagione di Breaking bad). Alcuni magari, si ricorderanno che un tempo esistevano individui chiamati amici, con cui si bisbocciava allegramente e la parola amore era associata ad un'unica leie un solo lui: la birra e il malto d'orzo.

Giovani marketers, è il momento

Cari ricercatori d'oro, ascoltate papà Zuckerberg. Sarà questo il momento di inondare i malcapitati single di offerte di viaggio, promozioni annuali di palestre per rendersi appetibili al prossimo, corsi improbabili di yoga e ritrovamento di sé stessi (senza GPS). Facebook consiglia di empatizzare virtualmente con lo scapolo/ la zitella in questione lavorandoseli nel periodo di massima sofferenza, con sottili messaggi di comprensione (fra cui articoli sull'argomento:"lasciarsi è la miglior cosa che potevate fare"). Quando piano piano gli s-coppiati risaliranno la china della vita sociale, il buffet consumistico è servito, e voi li avrete già fidelizzati.

Zuckerberg è veramente il Re Mida dei social. Ma se mai un giorno si lascerà con la moglie sarà tutta una pioggia di cuoricini e frasi mielose sulla sua pagina ufficiale. Stato? Incazzato, suppongo.

 

di Irene Caltabiano

 

 
 
 
 
 
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