Non solo i finanziamenti dei progetti sono diventati 2.0, ma anche le piattaforme che li veicolano.
Kickstarter, famoso portale di crowdfunding, si allinea alla video-mania che sta contagiando il web e lancia Kickstarter Live. Se prima la credibiilità e i punti di forza dei progetti venivano accompagnati dalla presenza di foto e video dimostrativi, da oggi chi propone idee potrà fare dirette tramite le quali sarà possibile interagire con altri membri della community.
Gli sviluppatori potranno utilizzare l'opzione live per mostrare progressi di lavorazione, fare annunci in tempo reale o interagire con i sostenitori.«Nel corso degli ultimi mesi un ristretto numero di ‘creatori’ ha testato la beta di Kickstarter Live» hanno affermato i responsabili dell' azienda statunitense. «Quest’ultima è stata utilizzata per trasmettere programmi di cucina, dimostrazioni dal vivo, performance canore in diretta, giochi di prova, test di nuovi giochi, conto alla rovescia dei secondi prima della fine di una campagna, e molto altro ancora. Il tool ha avvicinato i membri della community, mettendo in risalto la loro creatività, e portando ai progetti centinaia di nuovi sostenitori ».
La funzione è stata sviluppata in partnership con Huzza, società con sede a Vancouver, Canada, specializzata nella creazione di live video. Ogni inventore si può collegare ovunque, dare chiarimenti sui progetti o entusiasmare e coinvolgere ancora di più i crowdfunder a finanziare le loro idee.
Un ulteriore motore per la creatività che speriamo abbia grande seguito.
Siamo la generazione di Breaking Bad e The Walking Dead, di Stranger Things e Homeland.
Io stessa ammetto, fino a poco tempo fa, di essere stata una cinefila fedele. Serie tv? Raramente. Devo dire però, che una volta entrati nel circolo, è difficile smettere. «La serialità è la droga dei nostri tempi?» mi sono domandata mentre il mio pomeriggio domenicale era stato interamente inghiottito dalla visione di The Young Pope, ultima fatica d’oltreoceano di Paolo Sorrentino.
Quali sono i motivi che spingono a preferire una scorpacciata immersiva di Sherlock o Lost a una birra con gli amici? Il fenomeno ha assunto una tale importanza a livello mondiale da essersi aggiudicato un termine tutto suo: il binge watching ( letteralmente abbuffata visiva), ovvero quelle maratone "bulimiche" di dieci, quindici, venti puntate delle nostre serie preferite.
Un consumo visivo deviato o semplicemente un meccanismo geniale e contagioso da cui pochi si salvano? Perché le serie tv ci tengono così tanto attaccati? Qual è il motivo per cui i protagonisti diventano quasi reali, come se lo schermo fosse uno spioncino privilegiato sulle loro vite? Gli sceneggiatori hanno capito che la serie, più del film, fa leva su un meccanismo umano che non passa mai di moda, prolungato e reiterato all’ inverosimile: la curiosità. La stessa che ci spinge a guardare morbosamente Facebook e a spiare profili di sconosciuti, partendo per caso da quello di un nostro amico.
La somministrazione in pillole diventa perfetta per sviluppare trame articolate, che diano spazio a personaggi secondari ( al principio) che non riuscerebbero a trovare un arco narrativo completo all’interno di un film. Una visione più flessibile che, se ben dosata, crea una forte dipendenza. Chi resiste alla tentazione di capire cos’è appena successo al nostro idolo alla fine di ogni puntata?
Fino a poco tempo fa il prodotto televisivo era considerato minore rispetto a quello destinato al cinema. Adesso sembra essere esattamente il contrario: gli script per i film devono sgomitare per attrarre nuovo pubblico, per riavvicinare lo spettatore a un tipo di narrazione che si concluda nel tempo massimo di due ore e mezza. Numerosi critici affermano la similitudine tra la serie tv e la letteratura. Un libro, al contrario di un film, consente di entrare e descrivere meglio l’universo che circonda il protagonista, delineandone con più accuratezza la psicologia.
Un successo dovuto alla qualità dei contenuti recenti nonché a forme di intrattenimento alternativo rispetto alla televisione mainstream. Piattaforme quali Netflix o Sky atlantic che hanno fatto delle serie on demand la loro fortuna, riuscendo a poco a poco a sfornare prodotti originali (si veda il caso Stranger Things, House of cards o Narcos).
Serie tv, anima del commercio
Una diffusione tale da creare nicchie culturali, un’iconografia immediatamente riconoscibile la cui onda lunga è stata sfruttata anche in altri settori commerciali. Recentemente ad esempio Altromercato ha cavalcato la serie-mania sviluppando una campagna social diventata virale.
“Consigliata ai pazzi per il fondente, non per le congiure” è il pay off che accompagna il richiamo alla nuova serie Rai I Medici, Oppure per gli amanti di The Walking Dead si consigli la tavoletta di cioccolato "per chi ha un certo appetito", e vediamo la mano di uno zombie che rimanda sottilmente all’argomento della serie.
Sky invece ha da poco realizzato Le serie tv fanno parte di noi, campagna indirizzata ai fan sfegatati del piccolo schermo. La piattaforma ha chiesto agli aficionados di mettersi alla prova mostrando la loro passione per le serie attraverso video-prove. Quali? Per esempio raccontare la propria reazione a uno spoiler o riprodurre la sigla della serie preferita. I più originali sono invitati a partecipare a un’audizione dal vivo dove dovranno mostrare la propria dedizione di fronte ai talent Sky. Il vincitore verrà spedito direttamente sul set della fiction prediletta.
Un format che alimenta il nostro immaginario in maniera crescente e occupa un posto speciale nelle conversazioni di tutti i giorni. Una forma di story telling sicuramente non destinata ad esaurirsi nel breve termine perché tutti saremo sempre stimolati dal racconto e dal suo motore portante: sapere come va a finire la storia.
Ci sono un italiano, un calabrese e un giapponese.
Sembra l’inizio di una barzelletta, ma non c’è niente di più serio. Gli orientali sono sbarcati a Cosenza, atterrando a Lamezia Terme e attraversando la giungla della Salerno-Reggio Calabria.
Che ci fanno i nipponici nel profondo Sud? Strano ma vero, Cosenza è la terza punta di un triangolo delle bermuda che comprende Palo Alto e Tokyo, trio di centri di ricerca per la NTT data, gigante tecnologico del Sol Levante. La filastrocca del Meridione arretrato, di chi ancora pensa che in Sicilia e Calabria ci si muova con i carretti, di cervelli che fuggono a gambe levate, la conosciamo a memoria. Ma perché, quando si tratta di vanti nazionali, le notizie passano sempre in sordina?
Una manna per i giovani calabri che ancora faticano a trovare lavoro. Al Sud per mancanza di possibilità, al Nord perchè se accennano alla loro provenienza vengono esclusi a priori. Ma se in patria vengono screditati, c’è chi sa valorizzarli. E il lascia passare è ancora una volta rappresentato dalla formazione e dai luoghi di cultura quali le università.
Tutto ha inizio da una start-up in un bilocale di Rende, doveGraziano, Giorgio e Roberto avviano un' attività specializzata nella sicurezza informatica, che, piano piano e senza compromessi di alcun tipo, è approdata prima a un gruppo di consulenza manageriale e poi alla grande azienda giapponese. Avrebbero potuto fare il salto d’oltreoceano ma hanno preferito restare lì dov’erano partiti, puntando sulle risorse locali.
Un’alchimia tra lavoro e atenei che i giapponesi hanno apprezzato, ma di cui forse non possono cogliere a pieno l’importanza. «La nostra offerta cresce - dice Domenico Saccà, docente al dipartimento di Ingegneria informatica - però la domanda innovativa del territorio è ferma. È un peccato, perché proprio così si battono mafia e arretratezza». Una lotta continua per la giustizia che può essere combattuta solo con l’onestà.
Purtroppo la realtà della sede calabrese della NTT è ancora una cattedrale nel deserto. Una finestra che si affaccia sulla scena internazionale, costruendo sistemi di protezione contro lo spionaggio industriale e l’ hackeraggio, filtri per i social network e addirittura apportando migliorie ai fantasmagorici robot giapponesi (uno fra tutti Sota, automa interattivo programmato per fare assistenza agli anziani). O ancora stanno sperimentando su Hitoe, la t-shirt con sensori nel tessuto che misurano e trasmettono attraverso un’app i parametri vitali del corpo. Un laboratorio in cui passa il progresso mondiale e che dà lavoro a laureati e studenti ancora in corso. Innovazione per cui però la burocrazia del Sud non sembra ancora pronta.
«Appena laureata pensavo di dovermene andare dalla Calabria - racconta Annalisa, trentatre anni -Era una scelta obbligata, qui chiudevano tante aziende. Poi sono entrata nella NTT che all'inizio mi ha mandato tre anni a Milano, in Germania e in Inghilterra: ora eccomi di nuovo a Cosenza, dove mi sono portata dietro anche il contatto con il cliente che curavo in Gran Bretagna».O Francisco, argentino di origini calabresi, che, dopo aver girato tra Oxford e Sud America, è tornato all’ovile. «Qui ho trovato la situazione ideale: faccio ricerca e innovazione, ho uno stipendio stabile e ho recuperato le radici della mia terra».