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Sit with us: come Natalie ha sconfitto il bullismo con un'app

«Sei brutta, qui non puoi sederti, se ti avvicini ti uccido».

Natalie Hampton, sedicenne californiana di Los Angeles, si sentiva apostrofare così ogni giorno.Parole come coltelli pronunciate dalle “mean girls” di turno, accompagnate da spintoni e graffi. Nuova del posto, veniva insultata dai compagni  e costretta a mangiare da sola. Gesti e frasi che minavano la sua autostima fino a farle considerare il mondo esterno un nemico da cui fuggire. Finchè Natalie non tocca il fondo: non mangia né beve più e finisce in ospedale.

Il bullismo è un’ arma subdola alla quale si può reagire con la moneta del riscatto. Così Natalie ha scelto di non farsi annientare, ma ha sfruttato  a suo favore quella stessa tecnologia che spesso è fonte di persecuzione per chi si trova nella stessa situazione. Non solo cambia scuola ma decide che nessun’altro subirà le sue stesse vessazioni. Così inventa Sit with us, app per cui, chiunque sia solo all’ora di pranzo, può trovare un tavolo in cui sia il benvenuto. Il sistema è semplice: si crea un profilo e, non appena arrivati in mensa, ci si rende disponibili ad accogliere altri ragazzi. La coraggiosa adolescente racconta infatti come fosse imbarazzante entrare in sala da pranzo e non potersi sedere con qualcuno perché sicura che l’avrebbero presa in giro.

"Mai più soli" insomma potrebbe essere il motto di Natalie. Nel gennaio 2016 alcuni professori dell’Università di Rutgers, Princeton  e Yale hanno constatato come per gli studenti   sia più efficace partecipare attivamente alle inziative contro il bullismo anzichè parlarne e basta. E’ stata infatti registrata una riduzione  della percentuale di violenze pari al 30% negli istituti in cui i ragazzi organizzavano da sé iniziative contro il bullismo.

Brava Natalie, la solidarietà contro la violenza è la lezione migliore che potevi dire agli arroganti. 

 

di Irene Caltabiano

 

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I social? Poca umiltà e molti "Gesù nel tempio"

Il web è pieno di hater

Gente sempre pronta a salire sul piedistallo ed elogiare il proprio integerrimo comportamento. Il caro Faber lo sapeva bene e lo aveva già reso noto nel 1967.

Sui social ci trasformiamo nelle celebri comari del paesino che additano la Bocca di Rosa di turno. Ma non sempre. C'è chi invece ingoia una grossa pillola di umiltà e fa il mea culpa. Riconosce i propri limiti per dare spunto a riflessioni un po' più profonde rispetto a quelle generate dalla frettolosa lettura di un titolo.

L'anchorman americano Frank Somerville, noto per gli interventi mai banali sui suoi profili social, ha raccontato un episodio di pregiudizio razziale che lo ha visto protagonista e ha voluto condividerlo in un post. In poco tempo ha collezionato 6mila like e 25mila condivisioni.

«Erano le otto di sera e ho visto una donna bianca sedersi alla fermata dell'autobus. Sul marciapiede un ragazzo nero camminava nella sua direzione». Somerville decide di rallentare il passo per assicurarsi che il giovane non importuni la donna. «Pochi istanti più tardi ho notato un bambino che correva dietro il giovane e lo prendeva per mano: si trattava solo di un padre che stava camminando per strada con il  proprio figlio».

Cosa succede se anche le persone dalla mentalità più aperta sono vittime dei pregiudizi sociali? Si fanno un esame di coscienza e ammettono i propri sbagli. L'anchor man ha una bellissima bambina nera di dieci anni, adottata con la moglie dopo l'arrivo della primogenita. Mai avrebbe pensato di rientrare anche lui stesso nel circolo vizioso. « Siamo onesti» dichiara il giornalista. «L'unico motivo per cui ho visto una minaccia in quel ragazzo è a causa del colore della sua pelle».

Somerville ha inoltre confessato di aveva affrontato pochi giorni prima una discussione  del genere con la figlia, proprio perchè la bambina avvertiva di essere trattata in modo diverso rispetto alla sorella, di etnia caucasica.

«Mi ero comportato esattamente come gli altri si comportano con la mia bambina.La mia esperienza mostra quanto il pregiudizio possa essere radicato all'interno di ognuno di noi, spero che la mia storia possa essere un buon spunto di riflessione per tutti. Il primo passo per eliminare i pregiudizi e ammetterne l'esistenza».

 

di Irene Caltabiano

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Frazioni ed equazioni? Mai state così dolci

Numeri ed espressioni non sono da tutti.
 

Lo dice una che in matematica aveva il sei politico. Ma chiunque ama i dolci. Sarà stato  questo sillogismo a stimolare Eugenia Cheng, insegnante inglese originaria di Hong Kong, a insegnare numeri e frazioni con torte e biscotti?

Un giorno la professoressa, associata di matematica all’Università di Sheffield, stava spiegando un teorema e, per rendere più semplice la comprensione, ha fatto il paragone con dei dolcetti. Il concetto è risultato subito più chiaro. In effetti la preparazione di un dolce ha a che fare con la scienza molto più di quanto pensiamo . Inoltre, è molto più facile ricordare i concetti se si associano visivamente a qualcosa di concreto.

Così Eugenia ha trasformato la cattedra in un laboratorio di pasticceria. Creme, ciambelle, pasticcini per imparare nozioni che sulla lavagna sembrano astruse. Simpatia e carisma hanno fatto il resto. Qualche esempio? Come si taglia in parti uguali una torta non rotonda, come calcolare il quantitativo esatto di marmellata in un cornetto o misurare  il volume del vino in due bicchieri di forma diversa.

I concetti sono gli stessi da secoli ma a volte serve semplicemente guardare le cose da un’altra prospettiva, più originale e "golosa". Miss Cheng, che è anche ricercatrice alla School of the Art di Chicago, ha trasformato  questa sua trovata in un canale YouTube dal nome How to Bake Pi: An edible Exploration of Mathematics, legato all’account della Sheffield University. Le ghiotte lezioni sono state raccolte persino in libro, tradotto in sei lingue. In Italia è edito da ponte e si chiama Biscotti  e radici quadrate: lezioni di matematica e pasticceria.

Sono certa che, con questo metodo, aumenteranno in maniera esponenziale le iscrizioni ai corsi. Da leccarsi i baffi.

 

di Irene Caltabiano

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