«E qui rimane tutto immobile, uguale, in mano ai dinosauri. Dia retta, vada via...»
«E lei, allora, professore, perché rimane?»
«Come perché?!? Mio caro, io sono uno dei dinosauri da distruggere!» ( La meglio gioventù)
Non è più tempo di giornalisti di spettacolo e critici cinematografici. Forse gli ultimi che possano fregiarsi di tale titolo professionale hanno tra i sessanta e i settant’anni. Oggi chi detta le tendenze, chi regala la sua “autorevole” opinione su un prodotto, dal cosmetico al film, sono gli influencer.
Figure che, per qualche coincidenza del destino, sono emerse dal calderone-web guadagnando un certo seguito. Alcuni per reale bravura comunicativa, altri per motivi sconosciuti. Sta di fatto che tale espressione sta assumendo sempre più valenza di professione, rientrante a pieno titolo tra le nuove nate di Internet.
Cosa fanno gli influencer?
Danno la loro opinione su eventi, prodotti, film, red carpet, première cinematografiche, fenomeni sociali. Curiosi di tutto, specializzati in niente, sfruttano i loro canali social come effetto domino, coinvolgendo una larga fetta di pubblico più giovane, followers che pendono letteralmente dalle loro labbra. La maggioranza delle aziende sfruttano queste figure perché anello di congiunzione tra i “dinosauri” sopracitati e i millenials, adolescenti ignari di cosa sia l’autorità intellettuale, nutriti a pane e YouTube.
Dove sta il problema?
L’influenza non è data da una reale capacità di analisi, che, nel caso del critico-dinosauro deriva da anni di studio e specializzazioni. L’autorità gli viene attribuita per il semplice fatto che parlano lo stesso linguaggio, come esseri di un pianeta da cui gli ultra-cinquantenni sono automaticamente esclusi. Perciò passano il testimone a questi esperti delle nuove tecnologie che imparano sul campo, senza timoni, freni o sintassi. Relegando il loro forbito parlare al semplice otium letterarium.
Dal punto di vista del marketing la strategia è vincente. Con un minimo di spesa, si ottiene il massimo del profitto. I dati dimostrano infatti che le visualizzazioni di questi video superano di gran lunga quelle di approfonditi servizi giornalistici o di un lungo editoriale. Ma può un ragazzino, anche solo come anni di esperienza, avere la stessa valenza di una figura altamente qualificata?
Inutile fare i nostalgici. Credo si debba semplicemente accettare il fenomeno come dato di fatto. Potranno giornalisti e critici, più inquadrati e dediti allo studio, adeguarsi alla frenesia dei nuovi linguaggi? Si, ma c’è il rischio di scadere nel ridicolo.
di IRENE CALTABIANO
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