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Barbie ingegnere informatico: la lotta di genere passa anche dai giocattoli

Sono finiti i tempi in cui Barbie era "la biondina d'America".

Che nessuno osi apostrofare una donna tutta curve e poco cervello paragonandola alla bambola più famosa del mondo. Forse pochi sanno che il prodotto di punta della Mattel nasce per motivi molto più nobili di quelli che crediamo. E, come nei decenni precedenti, si fa specchio delle nuove generazioni.

Leggi anche: Grazie Barbie, la "life in plastic" ci ha emancipate

Le bambine di oggi, come quelle di ieri, non sognano mica solo tacchi e vestitini rosa. Le millenials sono semplicemente più fortunate a potersi confrontare con modelli diversi dai bambolotti con il ciuccio. E per le baby-geek che hanno passione per informatica, tecnologia, storytelling e videogiochi nasce Barbie programmatrice.

Capelli colorati, outfit casual, occhiali da professionista. Mi viene quasi voglia di tornare bambina per inventare storie di intrighi internazionali. Accessori? Pc ( grazie a Dio non rosa shocking), maxi cuffie, e l'immancabile binomio tazza di caffè-cibo cinese. Ulteriore chicca gli adesivi in pixel art, tipici di ogni bravo nerd che si rispetti. Tra gli aggeggi anche un piccolo tablet sul quale è stampato una specie di versione di Candy Crush. Una chicca? Il codice riportato è un'interfaccia di programmazione realmente esistente. Il vero tocco fashionista è però la maglietta, con la scritta Cltr+ALT+ Barbie, che rimanda alla short-cut per aprire qualsiasi tipo di porgramma.

Che sia una strategia della Mattel per rimediare allo scivolone di un anno fa nel libro Barbie Ingegnere informatico?Quello in cui la bionda eroina, stavolta in veste di web designer, dichiarava che “ programmare è roba da maschi”. Perciò chiamava diversi Ken per farsi aggiustare il computer bloccato dai virus.

Purtroppo mi sembra difficile che la povera Barbie, a prescindere dal look, possa programmare davvero con quelle manine ingessate. Ma dove non arriva il giocattolo, speriamo giunga  la fantasia delle proprietarie. Intanto, che ne pensate di Barbie pilota o meccanico?

 

di IRENE CALTABIANO

 

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TripAdvisor è il Grande Fratello del turismo

Ormai è diventato la Bibbia dei viaggiatori.
 

La prima cosa da consultare quando decidiamo di prenderci una vacanza. Lui che ci tiene lontani da bettole e gastroenteriti.TripAdvisor conta 340 milioni di visitatori unici ogni mese e 350 milioni di recensioni, secondo una ricerca della Oxford Economics. Le opinioni relative ad alloggi, ristoranti e attrazioni sono 6, 5 milioni. Un traffico di informazioni che vale 2, 3 miliardi di euro e influenza 47mila posti di lavoro.  L’app creata da Stephen Kaufer appena sedici anni fa influenza ormai il 10% della spesa di viaggio mondiale, dove influenza sta perqualsiasi  esperienza in cui TripAdvisor abbia avuto un ruolo. Semplice consulto o vera e propria pianificazione.

« Interessante notare che TripAdvisor sta avendo un duplice effetto sui costi di viaggio. Da un lato i visitatori risparmiano sulla spesa giornaliera, utilizzando il sito per trovare offerte migliori; dall’altro, leggendo le recensioni, acquisiscono maggiore sicurezza  e questo aumenta numero di viaggi e durata» afferma Valentina Quattro, portavoce di TripAdvisor Italia.  Al contrario di quanto si potrebbe pensare la nota piattaforma è una risorsa anche per le piccole realtà commerciali, perché riescono a competere a un livello più equo con le grandi catene. Si innesca così un circolo virtuoso di sana competizione, che aumenta standard di qualità e ospitalità.

Un altro dei super business redditizi degli ultimi 20 anni. Ma non ci va a perdere lo spirito d’avventura?

 

di IRENE CALTABIANO

 

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Cinese is the new black: se il razzismo pubblicitario fa ancora parlar di sè

Alzi la mano chi ricorda lo spot di Coloreria italiana del 2007. 
 

Sì, quello in cui il marito mingherlino veniva malamente gettato in lavatrice per poi uscirne come un aitante ragazzone nero.La Cina raddoppia: ispirandosi alla nota pubblicità nostrana ripropone la stessa identica scena. Solo che stavolta ad essere “smacchiato” è un operaio africano in favore di un affascinante asiatico.

-GUARDA IL VIDEO-

Lo ammetto, lo spot in sé è divertente. Ciò non toglie però che sia razzista. La discriminazione, d’altronde, non è nuova all’advertising. A confronto con le pubblicità americane anni ’50, lo spot della Coloreria sembra la réclame di Radio Vaticana. Ragazzini neri sbiancati con sapone o vernice chiara, cataloghi di portacenere dalle sembianze afro e donne nere usate come poggiapiedi.  D’altronde il razzismo, in anni di ignoranza e verginità mediatica, non era rivolto solo agli afro-americani. Rimane storico lo slogan delle cravatte Van Hensen “Mostrale che è un mondo di uomini”. O la pubblicità della Schlitz in cui si mostra  una donna disperata per aver stracotto la cena del marito e lui la consola dicendo: « Tranquilla amore, non hai bruciato la birra ».

Si sperava di aver fatto un po’ di strada dal ( non così) lontano 1950. Qualche km in più è stato percorso, ma la meta non può dirsi raggiunta. Gli spot sono meno discriminanti di un tempo e molte aziende hanno sposato nuovi modelli estetici per pubblicizzare i propri prodotti.

Tuttavia il razzismo ha assunto nuove forme, più subdole e meno evidenti, in equilibrio precario tra caricatura, ironia cameratesca e  offesa culturale. Basti pensare ad Ashton Kutcher che impersona un regista di Bollywood nella pubblicità delle patatine Popchips. O Paris Hilton che indossa un copricapo indiano con l’unico effetto di sembrare ridicola. O il sessismo imperante nella moda. Per non parlare dell’omofobia di marche nostrane come Melegatti.

Purtroppo o per fortuna la pubblicità esercita un potere sulla società, determinandone modelli e immaginario comune. E anche se sembra assurdo che determinati fenomeni siano ancora presenti nel 2016, ci si deve fare i conti. E riflettere un po’ prima di buttare un uomo in lavatrice. Al massimo laviamolo senza Coloreria: un uomo arcobaleno può sempre tornare utile per far pendant con i vestiti. 

 

di   IRENE CALTABIANO

 

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