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«Aiutatemi a salvare mia figlia, condannata dalla natura e dagli uomini»

A rendere mortale la malattia, il più delle volte, è il micidiale cocktail di ignoranza e pregiudizi che la accompagna. Così, negli anni zero può ancora succedere che un bambino nato con una malformazione inusuale venga marchiato come “figlio del demonio”. Perciò Marthe è dovuta fuggire insieme a Oceane (un anno e otto mesi) affetta da spina bifida, dal villaggio della Costa d’Avorio in cui vivevano. «Ormai non dormivo più. Temevo mi portassero via la piccola. Dopo aver partorito infatti, mi avevano detto che bisognava sopprimerla in quanto non era normale». 
Mamma Marthe non ha accettato che la sorte della figlia fosse segnata. «Ho difeso Oceane con tutte le mie forze, e ho minacciato di denunciarli. La conseguenza? Sono stata isolata dalla comunità e dalla mia famiglia».
Nel frattempo, Casa di Kim, che opera in Costa d’Avorio, ha raccolto i soldi necessari a far arrivare Marthe e Oceane in Italia. Ora le due donne sono ospiti dell’associazione a Roma. Nei mesi scorsi, grazie a un fondo ministeriale, la bambina è stata operata dai medici del reparto di Neurochirurgia del Gemelli. L’esito però non è stato quello sperato. 
«Prima Oceane muoveva i piedi, dopo non li ha più mossi. E poi la testa ha cominciato a gonfiarsi». Il momento più difficile, però, probabilmente deve ancora arrivare.  Fra qualche giorno le due dovranno infatti tornare in Costa d’Avorio. «Sono spaventata, e al tempo stesso non so cosa potrebbe succederci. Certo, se avessimo una casa tutta nostra, la situazione sarebbe diversa». Casa di Kim non può sostenere ulteriori spese. La piccola rischia di non poter uscire di casa e veder aggravare la propria situazione a causa di strade quasi inesistenti, o comunque decisamente dissestate. 
«Servirebbe un'anima generosa che doni mille o duemila euro per darle la possibilità di ricominciare una vita ad Abidjan». Tra mille e una emergenze quotidianamente strillate a emittenti unificate, ci sarà qualcuno che raccoglierà l’allarme lanciato da questa coraggiosa e indomita madre?

A rendere mortale la malattia, il più delle volte, è il micidiale cocktail di ignoranza e pregiudizi che la accompagna. Così, negli anni zero può ancora succedere che un bambino nato con una malformazione inusuale venga marchiato come “figlio del demonio”. Perciò Marthe è dovuta fuggire insieme a Oceane (un anno e otto mesi) affetta da spina bifida, dal villaggio della Costa d’Avorio in cui vivevano. «Ormai non dormivo più. Temevo mi portassero via la piccola. Dopo aver partorito infatti, mi avevano detto che bisognava sopprimerla in quanto non era normale».

Mamma Marthe non ha accettato che la sorte della figlia fosse segnata. «Ho difeso Oceane con tutte le mie forze, e ho minacciato di denunciarli. La conseguenza? Sono stata isolata dalla comunità e dalla mia famiglia».

 

Nel frattempo, Casa di Kim, che opera in Costa d’Avorio, ha raccolto i soldi necessari a far arrivare Marthe e Oceane in Italia. Ora le due donne sono ospiti dell’associazione a Roma. Nei mesi scorsi, grazie a un fondo ministeriale, la bambina è stata operata dai medici del reparto di Neurochirurgia del Gemelli. L’esito però non è stato quello sperato.

«Prima Oceane muoveva i piedi, dopo non li ha più mossi. E poi la testa ha cominciato a gonfiarsi». Il momento più difficile, però, probabilmente deve ancora arrivare.  Fra qualche giorno le due dovranno infatti tornare in Costa d’Avorio. «Sono spaventata, e al tempo stesso non so cosa potrebbe succederci. Certo, se avessimo una casa tutta nostra, la situazione sarebbe diversa». Casa di Kim non può sostenere ulteriori spese. La piccola rischia di non poter uscire di casa e veder aggravare la propria situazione a causa di strade quasi inesistenti, o comunque decisamente dissestate.

«Servirebbe un'anima generosa che doni mille o duemila euro per darle la possibilità di ricominciare una vita ad Abidjan». Tra mille e una emergenze quotidianamente strillate a emittenti unificate, ci sarà qualcuno che raccoglierà l’allarme lanciato da questa coraggiosa e indomita madre?

 

 

 

Diverso da chi? Tutti i 20enni hanno il diritto di prendere il treno e innamorarsi

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Sunspring, se i computer scrivono sceneggiature

Capisco che per scrivere film di fantascienza non si deve essere campioni di razionalità. 
Anzi spesso il lessico criptico rende più affascinante il risultato. Ma da qui a lasciare che un software si occupi di creare trama e intrecci tra personaggi…
 
Sunspring è la prima sceneggiatura realizzata da un’intelligenza artificiale. Un corto di nove minuti girato da Oscar Sharp, regista americano indie, che ha voluto sperimentare un modo inusuale di produrre script. Il protagonista è un attore del piccolo schermo, Thomas Middleditch, protagonista della serie cult Silicon Valley ma copione, battute e plot sono frutto di un computer.
 
Il software ha seguito per giorni una dieta a base di pellicole di fantascienza, da Alien a Starwars, da Matrix a Scary Movie, passando per cartoni animati come Futurama.  L’unico contributo umano era la struttura in cui il testo si doveva articolare. Una volta digerita e sputata la sceneggiatura, il regista  ha messo in piedi la troupe per cominciare con le riprese. Il risultato è quantomeno interessante: dialoghi ermetici e gergo che, a volte, sembra davvero appartenere a un popolo alieno. Sunspring è persino finito tra i primi dieci premiati del concorso Sci-Fi London 48 Hour Film Challenge. 
 
La bizzarra pellicola ha dalla sua quel fascino dato dalla novità dello script, che suscita allo stesso tempo inquietudine e curiosità. Ma perché i registi vorrebbero toglier lavoro agli sceneggiatori? Meno costi sicuramente, ma la mia fiducia nel genere umano continua a farmi credere che la qualità non sarebbe la stessa. Perché? Per il semplice fatto che la trama di un film è un sottile equilibrio di causa effetto che sfiora la psicologia, anzi, ne è parte.  E una macchina non potrà mai arrivare alla complessità del ragionamento e delle emozioni di una persona. Perché non è umano. 
Capisco che per scrivere film di fantascienza non si deve essere campioni di realismo.
Anzi spesso il lessico criptico rende più affascinante il risultato. Ma da qui a lasciare che un software si occupi di creare trama e intrecci tra personaggi…
 
 

Sunspring è la prima sceneggiatura realizzata da un’intelligenza artificiale. Un corto di nove minuti girato da Oscar Sharp, regista americano indie, che ha voluto sperimentare un modo inusuale di produrre script. Il protagonista è Thomas Middleditch, attore della serie cult Silicon Valley . Copione, battute e plot sono però esclusivamente frutto di un computer.

 Il software ha seguito per giorni una "dieta" a base di pellicole di fantascienza, da Alien a Starwars, da Matrix a Scary Movie, passando per cartoni animati come Futurama.  L’unico contributo umano era il modo in cui il testo si doveva articolare. Una volta "digerita" la sceneggiatura, il regista  ha messo in piedi la troupe per cominciare le riprese. Il risultato è quantomeno interessante: dialoghi ermetici e gergo che, a volte, sembra davvero appartenere a un popolo alieno. Sunspring è persino finito tra i primi dieci premiati del concorso Sci-Fi London 48 Hour Film Challenge.

 La bizzarra pellicola ha dalla sua quel fascino dato dalla novità dello script, che suscita allo stesso tempo inquietudine e curiosità. Ma perché i registi vorrebbero toglier lavoro agli sceneggiatori? Costi minori sicuramente, ma la mia fiducia nel genere umano continua a farmi credere che la qualità non sarebbe la stessa. Perché? Per il semplice fatto che la trama di un film è un sottile equilibrio di causa effetto che sfiora la psicologia, anzi, ne è parte.  E una macchina non potrà mai arrivare alla complessità di ragionamento ed emozioni di una persona. Semplicemente perchè non è umano.

 

di IRENE CALTABIANO

 

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I'll never be silent: mai più abusi sulle donne

Volti dall'espressione sofferente.

La sagoma di una mano insanguinata in pieno viso. Sotto le fotografie 420 mutandine bianche e rosse. Le immagini valgono più di mille parole? A volte si.

È così che Marcio Freitas, fotografo brasiliano, esprime il suo no alla violenza sulle donne. L'opera è stata installata sulla spiaggia di Copacabana e si chiama I'll never be silent. Il numero 420 non è stato scelto a caso: sono le vittime che in Brasile subiscono abusi ogni 72 ore. Il totale in un anno? Cinquantamila. A volte vorresti che la matematica fosse un'opinione.

La scintilla per la creazione dell'installazione è stato l'ennesimo caso di adolescente violentata da un branco di 30 uomini. «Mi hanno sottratto tutto, anche il mio corpo», ha dichiarato la vittima al Wall Street Journal.

I criminali avevano persino filmato l'accaduto per poi postarlo su Twitter. E, anche stav volta, la colpa era della ragazza. Non è questione di violare il corpo. Non avere più il controllo di sè e in più essere accusata di aver provocato l'evento è una ferita permanente dell'animo.

Quella mano rossa sul viso è metafora di soggiogazione, costrizione al silenzio, abuso. Chi compie questi atti è un mostro, senza attenuanti. Parlate ragazze. Urlare il nostro dissenso è l'unica cosa che ci resta.

 

di IRENE CALTABIANO

 

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