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Zach Miko, il plus size non è solo donna

Plus size e curvy.
 
Termini che si stanno facendo sempre più strada nel mondo della moda. E non solo femminile. Il corrispettivo maschile di taglia forte è brawn , che in inglese significa "muscoli" ma anche "vigore". Zach Miko è il primo modello a posare per capi XXL. Ha cominciato a indossare abiti per Target, marchio di abbigliamento e-commerce, finchè l’IMG, brand noto per le scelte contro-corrente ( fra le modelle del marchio Jillian Mercado, affetta da distrofia muscolare  e Hari Nef, transgender) lo ha selezionato per la categoria taglie forti.  
 

 

Perché Miko ha  scelto di diventare icona del sexy-curvy lato uomo? Già a 12 anni era alto un metro e ottanta e doveva usare i vestiti del padre (acquistati grazie ai cataloghi di aziende specializzate in taglie forti). Nei negozi di abbigliamento spesso faceva fatica a trovare la sua misura. Così cominciò a seguire una dieta ed allenarsi con un personal trainer, ma questo non lo faceva sentire meno grasso. Ha scelto perciò di essere il primo a sovvertire il binomio pettorale di marmo-addominale scolpito in favore di una piacevole e rassicurante pancetta. 
 
 Avere uno stile di vita sano è importante, ma è anche giusto che la moda rispecchi le diverse tipologie di fisico. L’apertura a modelli diversi rispetto a quelli standard è un fenomeno sempre più diffuso fra i brand internazionali. Senza distinzione di genere e peso. Quindi complimenti a questo ragazzone che sembra il bambino della Kinder con qualche anno e chilo in più.
 
(Che sia davvero lui e che abbia esagerato con la cioccolata?)
 
 
 
 
 
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Elogio del gioco da tavolo

Qualche sera fa ero a casa di amici e a un tratto c’è stata una proposta molto "eighties": intrattenersi con giochi di società.
Gli indimenticabili compagni dei pomeriggi di pubertà e pre-adolescenza. Quanti rapporti incrinati per una vittoria a Risiko e quante gaffes durante una partita di Taboo. Che ne sanno bambini e ragazzini di oggi, ammaliati dall’ultima grafica 3D, con i pollici più veloci di una macchina da corsa, ma il cui massimo gesto di socialità è passarsi un joystick? Che ne sanno di soldi spesi per comprare il Royal durante una partita ad Hotel? O di quante volte abbiamo mandato all'altro mondo il paziente dell’Allegro chirurgo?
 
 
Sembro una vecchia nostalgica, me ne rendo conto. Ma aprire la scatola, sistemare con cura le pedine, dividere per mazzetti i soldi del Monopoli aveva qualcosa di molto simile al rituale. Impegnarsi a capire il funzionamento del gioco e dissertare sulle diverse applicazioni della regola aiutava la dialettica e stimolava l’ars oratoria. Ma soprattutto ci insegnava una cosa fondamentale: imparare dai propri errori e saper perdere con stile. 
 
I videogiochi saranno anche spettacolari e ormai molto più simili ad opere d’arte che a strumenti a scopo ludico. Ok, stimolano le reti neuronali, la capacità di calcolo, il pensiero tecnologico. Ma creatività e fantasia che fine fanno? Anche i grandi esperti continuano a sostenere la validità dei giochi di società tradizionali. Non solo infatti aiutano concentrazione, memoria visiva e verbale, ma sono il primo incontro con una delle capacità più richieste dai superdirettori: il problem solving. 
 
 
Il gioco è un’attività troppo spesso dimenticata. E se già i bambini sembrano abbandonare molto presto questa dimensione, figuriamoci gli adulti. Perciò credo proprio che alla prossima riunione tirerò fuori da sotto il letto i tesori dimenticati e rispolvererò le vecchie scatole. D’altronde anche Platone scriveva che si può scoprire di più su una persona in un’ora di gioco che in un anno di conversazione. 
 
 
 
 
 
 
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Il vinile fa più soldi dello streaming...o no?

Ecco ciò che le grandi piattaforme quali YouTube, Spotify, Deezer non vorrebbero sentirsi dire. 
 
Secondo quanto riportato dalla BPI ( l’associazione composta dall’industria musicale britannica) le vendite di vinili generano maggiori ricavi dello streaming gratuito. Il dato è riferito al 2015, un anno positivo per la crescita del mercato musicale (circa il 12, 9%). Meno incoraggianti i numeri relativi ai ricavi, in contrazione dell 0,9%.
 
Una vittoria per gli amanti del caro vecchio disco nero. Ma è davvero così? Non me ne intendo molto quindi ho deciso di affidarmi a chi ne sa più di me. Curiosando per i blog di settore ci sono infatti analisi meno più approfonditi rispetto ai titoli sensazionalistici.
 
 
Le piattaforme musicali di streaming prevedono due tipi di sottoscrizione: gratuita, con alcune limitazioni sul mobile e spesso interrotta da pubblicità, e a pagamento, con contenuti migliori, senza annunci né limitazioni. Quelle free hanno prodotto ricavi per oltre 385 milioni di dollari, quelle a pagamento, oltre un miliardo di dollari. Quindi, almeno sul mercato USA, secondo la Record Industry of America, questa regola non vale. Vinili e compact disc rappresentano il 28, 8% contro il 34, 3 % dello streaming. I 33 giri producono più utili solo considerando gli abbonamenti gratuiti e i servizi sostenuti dalla pubblicità attirano una gran quantità di utenti, ma producono ricavi modesti. 
 
Comprare dischi in vinile dunque fa girare più soldi che ascoltare la musica gratis su Internet. Ma non fa guadagnare di più. E in Italia?
 
 
 Nel Bel Paese tendenzialmente il vinile funziona meno. Deloitte, società di servizi professionali alle imprese, certifica che il mercato discografico italiano è cresciuto del 21%. Il vinile del 56%, ma pensare che il buon vecchio 33 giri possa far girare nuovamente il mercato musicale sembra leggermente utopico. Si delinea piuttosto un panorama in cui convivono varie modalità di consumo. 
 
Il fascino della puntina che scorre sul disco rimarrà comunque insostituibile per nostalgici e hipster.  
 
 
 
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