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Requiem for an homepage: la tassa sul link non s'ha da fare!

Era destino che prima o poi si sarebbe arrivati anche a questo?
Si chiama Link Tax l’ultima idea della Commissione europea per impedire agli aggregatori di notizie di postare news e informazioni rilevanti appartenenti ad altri siti.  Per farla breve: quando un giornalista o un blogger scrive un articolo , l’editore detiene i diritti sul pezzo e ha la libertà di diffonderlo su altri mezzi.  A loro volta, i classici siti di reindirizzamento dovrebbero pagare costi alti poiché pubblicano giornalmente frammenti di articoli protetti da copyright. Attenzione però. La proposta andrebbe a colpire anche il singolo cittadino, constringendolo a chiedere il permesso ogni volta che cita o pubblica il pezzo di un testo. 
 
A chi servono gli ancillary rights? Alle piccole realtà editoriali che lottano quotidianamente per guadagnarsi la propria fetta di pubblico? No. Al massimo agli avvocati che si ritroveranno a gestire molte cause di denuncia a ladri di parole.
 L’articolo è protetto dal diritto d’autore, ma non dovrebbe esserlo il frammento, l’estratto o il titolo collegato al link, con la specifica funzione di incuriosire il lettore  e quindi portarlo comunque a leggere dalla fonte originale. 
 
Tecnicamente gli aggregatori di notizie fanno comodo alle piccole testate. E allora perché molti editori sono d’accordo con l'applicazione del pagamento?
 
Scontro tra titani
La lotta è contro i pesci grossi più che volta ad affossare i pesciolini. L’obiettivo è far pagare a giganti come Google la visibilità dell’articolo, come già successo in Spagna.  Se grazie alla pubblicità del colosso di Silicon Valley  molta più gente "inciampa" sull' articolo, numerosi editor temono di perdere soldi dal momento che l’utente salta automaticamente l’homepage del sito, infarcita di banner.  Cosa che, peraltro, con la diffusione di smartphone e social network, avviene comunque. 
 
La Commissione europea è da poco passata al’azione attivando una consultazione pubblica tra cittadini, Stati ed editor.  L’argomento potrebbe sembrare una questione da risolvere tra pezzi grossi ma la faccenda interessa tutti noi, poiché verrebbe limitato il diritto alla diffusione dell’informazione. È anche vero che, dal canto loro, gli editor sono stufi del depredamento selvaggio della notizia. Riflettendoci su, ecco le mie (opinabili) conclusioni.
 
Perché si
 
-Verrebbe riconosciuta maggiore autorità a blogger e giornalisti, troppo spesso relegati nel limbo del mestiere svalutato a causa della web democracy, croce e delizia degli autori.
 
-Si eviterebbero collage e copia incolla consentendo probabilmente una maggiore trasparenza e tracciabilità di informazione.  
 
Perchè no
-Uno snippet ( frammento) non è un concetto. Introdurre una tassa del genere è rischioso perché aprirebbe un più ampio dibattito su citazioni e loro gestione. Quando si può parlare di furto di proprietà intellettuale? Quante frasi devono essere riproposte per essere considerate tassabili?
 
-È una legge poco pratica: si riuscirebbe, in concreto, a sviluppare un sistema che controlli un traffico simile? Ovvero  se Google dovesse chiedere permesso e pagare gli editor per pubblicare gli articoli , tale diritto si trasferirebbe  a tutto il web .Non solo. Gli stessi editor dovrebbero, per legge, chiedere il permesso e pagare altrettanto ogni volta ripubblicassero sulle loro pagine link e citazioni altrui.
 
.-Big G si prenderebbe davvero quest’incarico? Lo dubito. Penso piuttosto che indirizzerebbe il suo interesse verso altri contenuti. Perciò la decisione, se potrebbe far comodo sul breve periodo, in seguito andrebbe a discapito degli editor stessi.  
 
 -Il pagamento della tassa avverrebbe solo nei confronti dei grossi gruppi editoriali.
 
 E i pesci piccoli, che fine fanno?
 
 
 
 
 
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YouTube Shared, la nuova chat a prova di concorrenza

Stai parlando con un amico e ad un tratto la conversazione si sposta su quel video di YouTube in cui un tipo fa  esplodere un bicchiere con una mentos. A quel punto entri sulla piattaforma, copi il  link, lo inserisci sulla chat che stai utilizzando e condividi. A seguire, grasse risate.

E se il momento di ilarità lo viveste senza bisogno di uscire da YouTube?

Mettiamola così. L'azienda californiana ha creato Sharedsistema di chat integrata alla piattaforma, perchè non vuole che andiate a divertirvi con gli altri "amichetti". Perciò ha messo in mostra un nuovo,  moderno, giocattolo.  

Da una settimana a questa parte una piccola percentuale di utenti ha potuto utilizzare questa funzione, con possibilità di invitare i propri amici a far lo stesso. La condivisione di video avviene direttamente all'interno dell'app, non è chiaro se coadiuvata da un'attivazione lato server  da parte di Google.  Temporaneamente funziona su Android, per iOs non ci sono riscontri.  

Dhimrit Ben-Yair, direttore del product management di YouTube, ha dichiarato che l'opzione è stata sviluppata dopo  che il suo team ha ipotizzato un output di condivisione che fosse nativo della piattaforma. Shared  garantisce che il traffico si svolga esclusivamente al suo interno, senza necessità di trasferimento su altre app.

Si, YouTube è ancora la regina indiscussa delle piattaforme video;  la media per qualsiasi utente cha vada dai 18 ai 49 anni è sui quaranta minuti a sessione su dispositivi mobili e un miliardo di utenti giornalieri sul sito. Nonostante questo, il colosso digitale non ha intenzione di cullarsi sugli allori. Facebook e Snapchat sono agguerriti e fanno di tutto per sedurre il suo . Anche Amazon si è messo di mezzo, annunciando proprio ieri il servizio di pubblicazione di video online. YouTube ha scelto perciò di rimanere con gli occhi aperti; perchè va bene essere i re del video sharing, ma c'è sempre possibilità di essere scavalcati.

Come funziona l'app

La parte di messaggistica funziona come le normali piattaforme di istant messaging. È possibile  mettere un mi piace su ogni commento , che sia scritto da noi o da altri, inserire emoji, link e altri oggetti. A destra della casella di testo è presente un pulsante per inserire un nuovo video. A quel punto compare una search box specifica per YouTube in cui inserire il nome del video da cercare. Si può anche sfruttare il percorso inverso: guardare un video, premere il pulsante di condivisione e, invece che un'app esterna, scegliere una chat recente di YouTube. Tra le opzioni secondarie è possibile aggiungere contatti a una chat, scegliere se riprodurre automaticamente i video durante lo scrolling e silenziare le notifiche per la specifica conversazione.

La nuova nata potrebbe rappresentare una buona spinta anche per gli inserzionisti, così da incrementare nuovi metodi creativi per stimolare l'attenzione.  L'azienda infatti possiede già automatismi che analizzano la cronologia di visualizzazione dell'utente, potendo così “predire”  i suoi gusti.

Adesso, avendo i suggerimenti anche da parte degli amici, sarà ancora più difficile tornare a trastullarsi con i giocattoli altrui.

Irene Caltabiano
 

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Jillian Mercado, la normalità è anche una modella disabile

jill-mercado«È come se stessi guardando una versione più giovane di me e le dicessi che andrà tutto bene. Sono l’esempio che dimostra che si può fare quello che si vuole perché … Perché sì! Si può e basta». Vi sembra lo slogan di uno spot pubblicitario? 
Uno di quei claim motivazionali privi di connessioni con la vita reale? Niente di più sbagliato: a pronunciare queste parole è stata Jillian Mercado, 28enne modella americana di origini domenicane con disabilità fisica. 
 
Sei anni fa era ancora soltanto – si fa per dire – studentessa di marketing della moda presso l’Institute of Technology di New York. 
 
Il suo obiettivo era diventare un’indossatrice professionista, così cercò in Rete qualcuna che già lo facesse. Una donna con cui identificarsi, che fosse come lei diversamente abile. 
 
Il risultato non fu quello sperato. «Non vedevo nessun altro come me in quel settore. Semplicemente non esisteva niente del genere», spiega Jillian Mercado. 
La vita della donna, a cui fu diagnosticata una distrofia muscolare durante l’adolescenza, cambiò due anni fa, quando, istintivamente, decise di partecipare al casting per una campagna Diesel Jeans. 
Con sua grande sorpresa venne scelta; nel 2015 è poi arrivato il contratto con IMG Models, agenzia a cui appartengono modelle del calibro di Heidi Klum e Kate Moss.
 

Jillian Mercado non ne fa mistero

 

bullismo

Lavorare in questo settore implica, per chi è diversamente abile, superare ostacoli che un “normodotato” non immagina neppure. La distrofia comporta un progressivo indebolimento muscolare, perciò ciascuno shooting richiede molto più tempo del normale. 
Peraltro alcune pose e movimenti sono oggettivamente impossibili, e non tutti i posti sono accessibili. Eppure, sottolinea, «non è mai successo che qualcuno non riuscisse a ottenere quello che voleva da me come modella; nessuno ha mai detto: ha una disabilità, questa cosa non funzionerà perché le foto non saranno belle».
 
Niente male, per una giovane donna che alle scuole medie era vittima di bullismo …
 
 
 
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