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Sediamoci e parliamone: da una panchina la lotta contro il bullismo

Il binomio street art- temi social diventa sempre più stretto. 
Così, dopo le panchine rosse anti-violenza sulle donne, all'istituto Albert Einstein di Torino arrivano quelle gialle contro bullismo e maltrattamenti online. Il progetto si chiama Sediamoci e parliamone, ed è un invito a non chiudersi su argomenti che riguardano episodi sempre più violenti tra adolescenti.
 
La campagna si inserisce all’interno del progetto europeo Stop bullying, che si propone di contrastare ogni forma di discriminazione nelle scuole attraverso la partecipazione diretta di tutte le componenti scolastiche. Il progetto è finanziato dall’Unione europea e sostenuto da Amnesty International, e vede la partecipazione di diciassette scuole secondarie di secondo grado di Italia, Irlanda, Portogallo e Polonia. Gli istituti italiani gemellati sono invece il Marie Curie di Napoli e il  Saponara di Roma.
 
Numerose scuole hanno lavorato anche su corpo e movimento, sperimentando pratiche di relazione che passino dall’approccio fisico per arrivare a comunicazione e conoscenza di sé e dell’altro; un punto di partenza per creare un confronto fra dinamiche relazionali ed emotive. 
 
L’istituto di Torino è l’unica scuola del Nord Italia ad aver vinto il bando di Amnesty International e ha chiesto perciò all’associazione un contributo per dipingere le panchine di giallo. Le prime cinque  arriveranno a maggio e troveranno posto nel cortile. Il colore è stato scelto dagli studenti stessi perché intenso e molto visibile. Daniela Todarello, coordinatrice commissione cultura della sesta circoscrizione, ha accolto a pieni voti l’iniziativa in quanto viene dagli alunni, ed è  positiva la voglia degli studenti di lasciare un segno tangibile del loro percorso.
 
L’istituto Einstein non è certo il primo a sfruttare l'arte contro il bullismo. Precedentemente anche il liceo Remondini di Bassano ha dipinto un murales tutto rosa con al centro la scritta "Alcune persone possono fare la differenza. Vuoi essere una di loro?". Ad Ostia invece l'Iss Giulio Verne  ha realizzato un murales contro il bullismo sui muri della scuola, con l’aiuto dell’associazione Retake Roma e il patrocinio di Ama. 
 
Che i giovani stiano finalmente prendendo coscienza che gesti e parole possono essere pesanti come pietre?
 
 
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Lasciateci stare con le mamme!

Un altro punto a favore dell’Olanda rispetto al resto d’Europa. 
Finalmente le neomamme potranno stare vicine ai loro figli direttamente nelle prime ore post parto. Il Gelderse Vallei di Ede, cittadina a sud di Utrecht, ha introdotto un nuovo tipo di culla che viene attaccata direttamente al letto della convalescente, come fosse una piccola protesi. 
 
Tendenza comune di medici e infermieri è concentrarsi sui momenti del travaglio e della nascita, prestando poca attenzione a quanto accade nelle ore successive, fondamentali per il rapporto madre-figlio. Moltissime strutture non prevedono nemmeno il rooming-in, costringendo genitore e bimbo a separazioni innaturali e più o meno lunghe. Inoltre in molti ospedali nei giorni di degenza non si offre alle neomamme né  supporto adeguato nè informazioni sulla cura del neonato e sull’allattamento al seno. 
 
Tramite una soluzione di questo tipo non solo diminuisce il lavoro dello staff ospedaliero, ma si  favorisce già dalle prime ore di vita la relazione tra madre e figlio. 
 
Perché nessuno ci aveva ancora pensato?
 
 
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Facebook, dacci oggi il nostro ego quotidiano

Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale o contraria.
Se Newton fosse vissuto nell’era dei social network chissà se la terza legge della dinamica avrebbe suonato allo stesso modo. Nel regno di Zuckerberg le "reazioni" o non ci sono, oppure sono assolutamente virtuali. E, proprio secondo questo principio, cuoricini, smile e like hanno finito per chiamarsi reactions, alimentando maggiormente l’illusione di influire concretamente su qualcosa. Un mi piace, la condivisione di un post non hanno corrispondenza con ciò che pensiamo o che diciamo tutti i giorni. Gli hater e gli inclini alla filippica da social sono in realtà docili come agnellini. Così come chi è meno presente sulle piattaforme web al 90% ha una vita più attiva rispetto a coloro a cui piace tanto sputare sentenze o a chi ha il tempo di aggiornarci su orari di pranzo e cena.
 
Lo chiamano slacktivism, ovvero attivismo da tastiera. Lo spunto di riflessione è partito dall'indagine realizzata dalla Johns Hopkins University di Washington, che ha analizzato l’efficacia delle raccolte fondi sui social. L’obiettivo era verificare se le adesioni ad alcune iniziative di carattere politico o solidale fatte online si tramutassero poi in un impegno concreto a livello economico e non. Da un campione di 3500 promesse di versamento e partecipazione a organizzazioni note, come la Croce Rossa  e la Best Friends Animal Society, solo il 64% è andata a buon fine. Il 13% del campione ha ridimensionato la propria offerta una volta effettuata la donazione mentre il 16% l'ha annullata. E questo era il caso migliore.
 
Postare bene e razzolare male insomma. Facebook è uguale al capannone degli specchi deformanti: una vetrina che ci aiuta a ricordare quanto siamo bravi a esprimere le nostre opinioni, beandoci delle nostre stesse masturbazioni mentali. Io farei un enorme applauso a Zuckerberg solo per aver capito, molto più di miliardi di studiosi, i meccanismi psicologici dell’ego. I  post li scriviamo per noi, mica per informare la nostra rete sociale. Per vedere quanti mi piace ci arrivano, per sentirci importanti, dialogatori, attivi, partecipi. Poco importa se poi le nostre prediche non hanno corrispondenza con il pulpito dal quale provengono. 
 
Insomma il meccanismo che ci sta dietro, per quanto il colosso di Silicon Valley esista da poco meno di 12 anni, fa leva sul desiderio più vecchio del mondo. Sentirsi inclusi, lusingati, leader. Attenzione però. Più siete bravi a digitare e più diminuisce la vostra capacità di affrontare il mondo. Quello vero. 
 
 
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