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Palestra, analisi semi-seria del purgatorio dei golosi

Siamo arrivati a metà aprile. 
L’estate si avvicina e con lei il panico da pelle cadente e di dietro flaccido. All'arrivo di maggio comincia a svilupparsi la terza vista, quella che vede ovunque corpi tonici e glutei sodi. Il nostro senso di colpa allora ci suggerisce un’unica soluzione: riempire il frigo di insalata e iscriversi al purgatorio dei golosi: la palestra. 
 
Tutti prima o poi avremo oltrepassato questo girone infernale, individuando gli archetipi, i personaggi che popolano questo strano mondo, al di là di ogni tempo e spazio. Partendo dal presupposto che se li conosci li eviti, ecco a voi una breve carrellata di casi umani che non mancheranno di spuntare come tanti champignon nei templi del fitness.
 
Il palestrato
 
Passa l’adolescenza con il mito di Jury Chechi nel corpo di Fassino. Si nutre di anabolizzanti e maiali interi, conditi con abbondante olio d’oliva, compensando così la poca materia grigia donatagli da Madre Natura. Arriva in palestra alle 8 del mattino, se ne va alle 23 di sera, occupando a rotazione di un quarto d’ora la panca per i pesi. A intermittenza emette richiami per l’esemplare femmina, molto simili a quelli degli oranghi in amore. Suda copiosamente e non si asciuga, lasciando che il suo odore virile giunga alla vittima prescelta, rendendo così i muscoli estremamente lucidi. Ha generalmente un’espressione assente, è basso e tarchiato. La sua attività preferita è fissarsi le vene pulsanti  di sforzo di fronte allo specchio. Si risveglia solo al passaggio di una ragazza in difficoltà con gli attrezzi, mostrando la su inconfondibile mascolinità.
 
Le ragazze del desk
 
L’immagine è importante si sa. Le avvenenti e prosperose ragazze della hall sono garanzia della qualità della palestra.  Anche se nessuno sa bene cosa facciano a parte sorridere agli avventori, compilare moduli per le iscrizioni e flirtare con gli istruttori. Sovente guardano con aria di disprezzo noi comuni mortali che andiamo oltre la taglia 38. Si avvicinano ai distributori puntando gli snack al cioccolato per poi comprare la solita bottiglietta d’acqua naturale.  
 
La Moira Orfei della zumba
 
Non importa che siano le undici del mattino o le tre del pomeriggio. Il make-up per la palestra è uno status symbol. Venire a fare esercizio con il mollettone, la tuta di acetato e le scarpe Adibas? Sacrilegio. Meglio un sobrio completo rosa fluo e leggins push up blocca respiro. La pulzella conosce tutte le coreografie a memoria, non tardando a farlo notare al resto del gruppo, che, al suo confronto, sembra un insieme di macachi ubriachi. 
 
L’ammorbato dal senso di colpa
 
Colui che fa l’abbonamento annuale e va in palestra circa tre volte all’anno. L’individuo in questione si fa vivo solo il lunedì, probabilmente reduce dalle 3000 calorie del pranzo della domenica. La sua mise risale al '92, riesumata dall’armadio dalle lezioni di educazione fisica del liceo. Una serie di addominali, cinque minuti di pesi e il senso di colpa è sparito. Almeno fino al prossimo lunedì.
 
Il pensionato
 
Nonostante l’apice della giornata siano i biscotti col thè delle cinque, il pensionato preferisce intasare gli attrezzi durante gli orari clou, al ritmo di un passo di step ogni mezz’ora.  Impiega circa venti minuti ad impostare il display. Raggiunto l’obiettivo, beve un sorso d’acqua. È marcato a uomo dagli istruttori, preoccupati che da un momento all’altro possa accasciarsi per terra inerme. 
 
Il runner
 

Per questo abitatore delle palestre non esistono altri attrezzi a parte il tapis roulant. Segretamente ha scelto il suo preferito, l’ultimo della fila, tra  le panche e le cyclette, troppo difficile da raggiungere per chi non è un suo simile. Parte a razzo come stesse facendo la maratona di New York e mantiene quel ritmo per circa due ore. È segretamente sponsorizzato dalla Nike,dalla fascia per capelli alle scarpe. Senza dimenticare l’underwear. 
 
Il dialogatore
 
Per dimagrire, devi dare l’impressione al tuo organismo di stare facendo esercizio. Il dialogatore vive convinto che il suo corpo, già per il semplice fatto di essere circondato da attrezzi, bruci calorie. La sua attività principale consiste nel parlare con chiunque abbia abbandonato per qualche secondo l’attività fisica. Punta la sua preda e non la molla più, parlando dell’ultima vittoria della magica Roma o della gnocca stratosferica con cui ha appuntamento la sera stessa. Avendo fatto il suo dovere, esce e torna a casa, senza dimenticare di comprare una vaschetta di gelato formato famiglia. 
 
Sono sicura che anche voi avrete avuto un incontro ravvicinato del terzo tipo con questi individui. Se non li avrete incontrati, allora il palestrato o il pensionato siete proprio voi. 
 
 
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Meme, quel tormentone web

Faccia da meme.
 Signore e signori miei, qui andiamo sul difficile. Se email, spam o tag vi sembravano complicati, sfidiamo noi stessi a spiegarvi cos’è un meme (si pronuncia min), termine che negli ultimi tempi sta spopolando fra i giovanissimi.
 
Innanzitutto, un po' di storia. La parola è stata coniata da Richard Dawkins  e proviene dalle teorie evoluzionistiche. Fa la sua prima apparizione nel 1976, all’interno del libro Il gene egoista. Un meme è un’unità culturale che si autopropaga, assimilabile a ciò che il gene è per la genetica. Un elemento di una cultura o civiltà che si trasmette in modo non congenito ma per imitazione.
 
Dalla genetica il termine è poi approdato nel mondo del web, diventando sinonimo di tormentone che si diffonde in maniera virale e spontanea. Un meme può essere una frase, un’immagine, un video divertente o comico che diventa da subito popolare. Tanto da generare condivisioni su condivisioni, like su like e spuntare su miliardi di bacheche Facebook (dobbiamo spiegarvi anche il like?).
Nella gallery sotto i meme più famosi che girano per il web.
 La prossima volta, sarete voi a stupire con la vostra conoscenza delle range faces
 
 
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Razzi, il pifferaio magico del 2000

Speravo fosse una barzelletta e invece è, come sempre, la gara a chi la spara più grossa. 
Mi sembra di rivedere la scena di Johnny Stecchino in cui Paolo Bonacelli diceva:« Il vero problema di Palermo.....è il traffico!» E così, a Roma come nella capitale  siciliana, i problemi che affliggono i cittadini non sono di certo trasporti, rifiuti o edilizia...ma le pantegane. Roba da non dormirci la notte.
 
Qual è la soluzione a questi topi dispettosi che non ci fanno arrivare sereni a fine mese? È chiaro. Importare 500mila gatti dall’Asia, pronti ad agire nei punti nevralgici della città. Antonio Razzi, un uomo, una garanzia, il pifferaio magico degli anni duemila, ha proposto la brillante soluzione. Mai che l'aspirante sindaco permetta che i ratti si mescolino all’alto clero. L’invasione è stata infatti maggiormente registrata nelle animate vie di Borgo Pio, uno dei quartieri più antichi della città che sorge al fianco della cancellata di ingresso di Città del Vaticano. 
 
Razzi ha preso due piccioni con una fava: grazie alla geniale idea aumenterà anche i  posti di lavoro. Le gattare non saranno più vilipese e sinonimo di zitelle, ma pubblici ufficiali, con tanto di stipendio. Libere di gironzolare liberamente con vestaglia e mollettone nei capelli. Requisiti? Conoscenza del mercato dei croccantini e del gattese coreano. Perciò a breve aerei pieni di felini sorvoleranno i nostri cieli per la salvezza della capitale. Il grande stratega ha già preso accordi con la Corea per le forniture. 
 
Il (dis)sen(n)atore non ha però calcolato i rischi del caso. Salvini sarà già lì pronto a schierarsi in difesa dei gatti nostrani. Prima gli italiani, non sia mai che i gatti romani rimangano senza lavoro. O Romeo er mejo del Colosseo se incazza
 
 
Guarda il video dell'intervento di Razzi >>
 

 
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