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Fare la fame, non fare la guerra

Il denaro impiegato in ambito militare nel mondo è pari a. 1.676 miliardi di dollari.
Lo Stockholm international peace research institute ha pubblicato il suo rapporto sulle spese belliche a globale, aumentate dell’1% rispetto agli anni precedenti. Gli USA sono i possessori della fetta più grande. La Cina è il secondo paese in classifica per il secondo anno consecutivo, mentre L’Arabia saudita ha superato la Russia, guadagnando il terzo posto. Regno Unito in quinta posizione.
 
Le stime dell’ONU
 Il 10% di questa spesa potrebbe risolvere la fame nel mondo e sarebbe sufficiente a finanziare, entro il 2030, gli obiettivi di sviluppo sostenibile concordati a settembre dai 193 stati membri delle Nazioni Unite. Ottocento milioni di persone vivono infatti in estrema povertà e soffrono la fame . In aumento le spese in Asia, Europa centrale e orientale e nei Paesi del Medio Oriente.
 
 
Le spese belliche in Italia
Anche in Italia, nonostante la reiterata crisi, i soldi per comprare costosissime armi non mancano mai. Poco importa se poi non si avranno le risorse per farle funzionare. Nella classifica delle spese mondiali siamo al dodicesimo posto e quest’anno il Ministero dello sviluppo economico ha sovvenzionato l’acquisto di armamenti per ben 2,5 miliardi di dollari. Il governo Renzi intende spendere da qui al 2017 circa tredici milioni di euro; ma potrebbero aumentare visto che le risorse da allocare vengono decise annualmente. 
 
Le banche a servizio degli armamenti
Undici istituti finanziari italiani avrebbero concesso finanziamenti per una somma totale di 4 milioni e 248 euro a 

ventisei compagnie internazionali coinvolte in diverse fasi della produzione, manutenzione e modernizzazione di armi nucleari.

Tra i gruppi bancari pubblici e privati nostrani a finanziare aziende produttrici di ordigni bellici atomici il Banco di Monte dei Paschi di Siena, Banca Popolare dell’Emilia Romagna, Gruppo Carige, Gruppo BPM, Banco di Sardegna, Banco Popolare di Sondrio, UBI Banca, Banco Popolare e Anima.  A salvarsi solo Banca Etica, unica a rifiutare qualsiasi finanziamento al settore bellico. Questo significa che i risparmi investititi in una delle banche menzionate dal rapporto potrebbero venire utilizzati per finanziare un’azienda coinvolta nel business delle armi di distruzione di massa.
 
E poi c’è il filo conduttore che tiene unite tutte le undici banche citate dal rapporto, ovvero l'azienda italiana leader nel settore della difesa, di cui il ministero Italiano dell’Economia e delle Finanze è detentore al 30,2 per cento: Finmeccanica. Se il cittadino non si pone alcuna domanda corre il rischio concreto che i propri risparmi vadano a finanziare indirettamente un'azienda produttrice di ordigni bellici nucleari. 
 
La folle caccia alla guerra continua a fare stragi, in mezzo a un popolo non si sa in quale percentuale consapevole oe in quale menefreghista. 
 
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Plus size sta a grassa come single sta a zitella

Grassi e magri.
Una divisione ancestrale, come maschi e femmine, alti e bassi. E lì, come una spada di Damocle, la taglia, quella linea (a volte nemmeno troppo sottile) tra bene e male. Oggi anche l’essere grassi è diventato questione di terminologia. Non ciccione ma curvy, non sovrappeso ma plus size
 
Si sa, una cosa detta in inglese fa sempre un altro effetto, come quando si passò da "scapoli e zitelle" a "single". C'è chi, liberatosi del peso di essere chiamato con un banale "pienotto", ha tirato un sospiro di sollievo e ha festeggiato con un barattolo di nutella. E chi invece non ha abboccato a un semplice scambio di termini, come l’attrice Amy Schumer.
 
 
La comica americana si è resa conto che plus size, per quanto sia un termine chic, gira e rigira sempre cicciona significa. E così via di critiche a Glamour, che recentemente ha dedicato uno speciale pezzo a donne di successo non proprio taglia 38. In mezzo ad Adele, Melissa McCarty e Ashley Graham anche la Schumer. L'attrice ha così cominciato a cavillare sul fatto che non potesse essere considerata una plus size perché tale categoria va dalla 48 ( size 16 in America) in su, mentre lei arriva al massimo alla 44 (8-6 negli States). 
 
Sottolineiamo che la comica fa spesso battute sul suo peso. Quindi la critica sembra più una mancanza di autoironia giusto nel momento in cui andrebbe sfoderata. Dalla sua la Schumer ha il fatto di non essere stata informata di questa categorizzazione. In un giornale che si chiama Glamour, certe mancanze di stile non dovrebbero accadere.
 
La rivista di moda ha perciò risposto mettendo in luce che il messaggio era l’essere chic ad ogni taglia,  come recita il titolo dell’articolo, non evidenziare che i soggetti in questione avessero rotoli e maniglie dell’amore. L’attrice ha nuovamente ribattuto tweettando una foto in biancheria intima che mostra la verità. 
 
Cara Amy , calm down. Le parole sono importanti, come direbbe Nanni Moretti. Ma fregarsene lo è di più. Ti dà fastidio che ti chiamino plus size? È la stessa cosa di quando i tuoi amici ti fanno i raggi X dicendoti che ti vedono più robusta  ma tutto sommato stai meglio così. E poi al momento di guardare il menu ti invitano gentilmente a evitare quel doppio cheeseburger, che alla fine prenderai comunque. 
 
Vi svelerò un segreto, la maggioranza dei sovrappeso sa di esserlo e se lo sottolineate non state dicendo proprio nulla di sconcertante. Che la chiamate curvy, plus size o grassa. In questi casi, come in altri, simili, meglio ipocriti e educati che sinceri e crudeli .
 
 
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Le parole che non ti ho detto: ma alla fine, cos'è un tag?

«Ieri ho twittato una foto, ho taggato i miei amici e ho fatto sharing su Facebook»
Eh???
 
Nei meandri del web o nelle conversazioni di tutti i giorni si dà per scontato che termini come blog o post siano ormai parte del sapere universale. Miei cari analfabeti digitali, non sentitevi degli alieni! La nostra rubrica “le parole che non ti ho detto “ vi aiuterà a destreggiarvi nella comunicazione web partendo dalle basi.
 
Così eviterete che i figli vi guardino come  se foste E.T. appena sceso dall’astronave. 
 
Cos’è un tag
Tranquilli, quel riquadro che appare sulle facce dei vostri amici sulle diverse piattaforme web non è uno strumento voodo. Tag letteralmente significa "etichetta" e serve come identificazione della persona o dell’oggetto presente in un immagine. Una volta “taggato" il soggetto interessato, sul profilo apparirà una notifica che segnala che è stata identificata la sua presenza in quella determinata immagine. Su Facebook è possibile taggare le persone, cioè far sapere che hai pubblicato un contenuto che riguarda una persona o che potrebbe interessarla facendo precedere il  nome dall @. Automaticamente apparirà la lista dei nomi che si vogliono etichettare. 
 
E l’hashtag?
L’hashtag è figlio dell’evoluzione dell’editing. Il termine deriva da hash (#) , carattere messo prima di una specifica parola. La sua funzione è rendere più facile all’utente trovare messaggi e articoli su temi o contenuti specifici. Se si digita la parola #fame su un qualsiasi social network o motore di ricerca il risultato saranno news , frasi e contenuti che contengono quel termine  e dunque riguardano quello specifico argomento. 
Non c’è limite ai tag che si possono inserire in un post, ma considerate che sono una sorta di parole chiave che aiutano a scremare i contenuti del calderone web.
 
Vi abbiamo illuminato con le nostre pillole digitali? Continuate a seguirci….
 
 
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