Premessa: credo che le persone siano meno stupide di quanto pensi il social media manager medio.
O almeno spero. Il giornalismo è morto è una frase piuttosto altisonante. Tuttavia se non si trova esattamente con un piede nella fossa, è in fin di vita.
Parlo di giornalismo vero, che mescola con sapienza oggettività e soggettività, stimola il dialogo e il pensiero critico, porta a farsi domande. E non i post che mostrano l’ultimo look della Rodriguez.
«Considero il giornale un servizio pubblico come i trasporti pubblici e l’acquedotto. Non manderò nelle vostre case acqua inquinata » diceva Enzo Biagi. E di acqua sporca sotto i nostri ponti ne sta passando tanta. Le versioni cartacee dei principali quotidiani italiani vendono dalle 200.000 alle 300.000 copie al mese. Lo stesso numero di visite che certe pagine Facebook di dubbia attendibilità fanno al giorno. Come evitare allora l’inarrestabile discesa verso la tomba? Con una battaglia all’ultimo click, strategie di brevissimo periodo, corsa al sensazionalismo e ( perdonate il termine) alla stronzata.
Il giornalismo social sta distruggendo credibilità e fidelizzazione.
Colpa delle testate o semplice conseguenza della società facebookiana domintata da slogan e sintesi estrema? Una situazione simile mi ricorda molto la differenza tra chi copiava i compiti in classe e chi, il giorno prima, si ammazzava di studio. I bigliettini erano l’ancora di salvezza più facile, ma, in fin dei conti, sempre somari si rimaneva.
Il click baiting ( in gergo la ricerca del click) può funzionare nel caso di una pagina dichiaratamente ludica. Ma quando Repubblica, Corriere della Sera, La Stampa, riprendono tutte la notizia del “mistero risolto” sulla funzione del taschino più piccolo dei jeans, la sensazione di amarezza cresce. Titoli che definiscono qualsiasi cosa fantastica, pazzesca, imperdibile. Flash, ragazzino protagonista degli Incredibili-una normale famiglia di supereroi, film d’animazione premio Oscar, pronunciava:«Se ogni cosa è speciale, significa che nulla lo è». A dimostrazione che lo sanno anche i bambini.
Ogni giorno l’utente si sveglia e sa che dovrà evitare banner, advertising YouTube, promozioni, titoli ingannatori. La via di mezzo tra vero e falso diventa il verosimile, senza verifica, né fonti, tanto, nessuno ha voglia né tempo di approfondire. Giornalisti, blogger, web editor, la responsabilità qui è nostra. Approfondiamo, salviamo i navigatori del web dalla banalità. Anche se ci vuole più tempo e più fatica. Alla lunga questo meccanismo è dannoso per tutti: professionisti, editori, pubblico. Reinventiamoci, studiamo e capiamo come sfruttare al meglio le potenzialità enormi di Internet.
Non lasciamo che l’intimo di Belen batta tre a zero qualsiasi analisi geo-politica. Se poi non funziona , almeno ci abbiamo provato.
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