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C'era una volta l'unisex

Genderless: strategia vincente o passo falso?
Zara, colosso spagnolo del fashion low cost, ha inserito nella nuova collezione una sezione di abbigliamento definita ungendered, ovvero capi indossabili  da chi non si preoccupa del sesso a cui sono indirizzati . La linea è esempio del trend androgino che si sta imponendo da un po’ di tempo a questa parte nel mondo della moda, anche tra rappresentanti dell’Olimpo del glamour come Gucci, Burberry ,Yves Saint Laurent, Louis Vuitton. 
 
Protagonisti del mondo ungendered anche piccoli VIP come Jaden Smith, figlio del più famoso papà Will, che recentemente ha scelto di indossare capi femminili per la stilista parigino Nicolas Ghesquière.  Il rampollo figlio d’arte è stato subito elevato a simbolo di una  generazione libera dagli schemi,  in cui anche l’uomo può scegliere se indossare una gonna o un comodo pantalone da calcetto. 
 
L’idea in sé non è granchè originale; a far notizia è che un brand molto popolare, tendenzialmente al di fuori del circuito dell’alta moda, si autoproclami a favore della fluidità di genere, scatenando di conseguenza accese discussioni. Ma siamo sicuri ne valga la pena?  La collezione non è molto diversa dall’ormai consolidata linea basic, con taglie comode, colori neutri e ( purtroppo) immancabili risvoltini. Insomma, ciò che gli inglesi chiamerebbero cozy o boyfriend clothes
 
I difensori della categorica divisione maschietti/ femminucce non hanno tardato a far sentire la loro voce. C’è  anche chi, dopo che  Zara ha dato alla linea un nome così altisonante,  ha accusato il brand di mancanza di coraggio di osare, proponendo capi scialbi e poco accattivanti. Io sono più dalla parte della seconda fazione, anche perché i capi ungendered non sono molto lontani da ciò che io chiamo il Sunday look, cioè  l'intramontabile connubio felpone e pantalone domenicale. E poi , rivolgendomi a chi si scandalizza nel vedere un uomo in gonnella, cosa c’è di così indecente? Mel Gibson in Brave Heart non sembrava certo meno virile perché indossava un kilt. 
 
 
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Quando torneremo a casa a parlare con la lavatrice

« Il pane non troppo bruciacchiato per favore».
Questa frase , tra qualche tempo, potrebbe essere rivolta non a marito o figli alle prese con il tostapane, ma al vostro robot domestico. Ricordate l’Hal 9000 di 2001 Odissea nello spazio? Diverse aziende stanno lavorando per creare la sua versione casalinga. 
 
È più facile programmare  software che rispondano direttamente alle nostre richieste piuttosto che interagire fisicamente con i dispositivi, per lo stesso motivo per cui mandiamo messaggi vocali su Whatsapp: si risparmia tempo. Gli sviluppatori stanno incrementando sempre più il riconoscimento vocale, in modo che i robot percepiscano in pochi minuti ciò che gli viene detto;  poi si passerà ai secondi, fino ad arrivare alla stessa velocità di interazione  che c'è tra due persone. 
 
Mix, nuova piattaforma di Nuance, multinazionale statunitense di sviluppo software, ha già superato la  prova riconoscimento vocale. Il team ha infatti chiesto al dispositivo di ritrovare il gatto di casa .Si può domandare all’applicazione di cercare dietro le tende, sotto il divano o in bagno, senza ripetere il primo input.
 
SounHound invece, azienda specializzata nelle tecnologie audio, ha creato Houndify, piattaforma che va nella stessa direzione di Mix, con interfacce sempre più veloci e precise. L’incremento non riguarda però solo dispositivi legati alle faccende casalinghe. Ad esempio potremmo chiedere al nostro specchio meteo del giorno, informazioni sul prossimo treno, risultati sportivi, nuove mail, quotazioni in borsa. Anche Project Oxford, divisione della Microsoft che si dedica alla ricerca sull’intelligenza artificiale, cerca di  includere sempre più nelle app il riconoscimento vocale, persino in ambienti rumorosi. 
 
Il prossimo fututo sarà dunque l’era di robot e assistenti virtuali? Già in Giappone esistono ristoranti completamente automatizzati. Non si sa se meravigliarsi o impaurirsi alla prospettiva di dispositivi sempre più intelligenti e umani sempre più stupidi e impigriti. E se finisse davvero come nel capolavoro di fantascienza di Kubrick? 
 
 
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Movieswap, il DVD crossing che darà filo da torcere a Netflix

E se si facesse un passo indietro?
Tornare a scambiare DVD anziché scaricare torrent? Movieswap parte da questo presupposto per creare la più grande libreria di film online mai realizzata. Come funziona? Gli step da seguire sono davvero pochi. Si potrà, tramite iscrizione alla piattaforma, barattare DVD con quelli che gli altri utenti hanno messo a disposizione e che  MovieSwap ha caricato nella propria gallery. La cineteca web sarà fruibile in cloud,in ogni luogo, da qualsiasi computer. 
 
La versione beta del servizio risulterà online da Agosto 2016, alla presenza di ben 200.000 DVD. Sembra che il progetto sia sostenuto da Videolan, azienda francese creatrice del popolarissimo lettore video open source VLC. L'invenzione potrebbe rivelarsi un ulteriore gatta da pelare per la distribuzione cinematografica; Hollywood infatti non può nulla  contro Movieswap, perchè, tecnicamente, è legale. A differenza dei numerosi siti di streaming, il  film è proprietà dell’utente che sceglie di metterlo online e scambiarlo con altri partecipanti, senza bisogno di un soggetto terzo. Un Netflix basato sul crowdsharing insomma, che consente la fruizione di contenuti come se li sambiassimo a casa con un amico. 
 
Ma perché scegliere Movieswap se devo comunque pagare una piccola somma di iscrizione? Il costo è 5 euro per un servizio a vita, la gestione è completamente in mano all’utente e, oltre al film, si potranno condividere bonus, versioni integrali e director's cut.  Grazie alla piattaforma si aggirerà il problema dei contenuti limitati ad alcune zone geografiche.
 
Movieswap piace già a cinefili e critici. La piattaforma è disponibile per Mac, Pc e Android e si può dare una mano al finanziamento del progetto su Kickstarter.  Sarà un degno concorrente di Sky e Netflix? Vedremo, ma la prospettiva è sicuramente interessante. 
 
 
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