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"Esci la ricetta": e se rendessimo open source il made in Italy?

Italia: pizza, spaghetti, mandolino.
I termini con cui il Bel Paese viene ironicamente identificato in tutto il mondo riguardano, due su tre, la sfera alimentare. Il cibo infatti è parte integrante della nostra tradizione, espressione di desiderio di convivialità e piacere di stare insieme, nonché di eccellenza dei nostri prodotti. L’espressione made in Italy ( merce interamente realizzata in Italia) viene sempre pronunciata con un certo orgoglio. 
 
Tuttavia siamo molto gelosi dei segreti culinari nostrani e restii a condividerli con il mondo. I colleghi francesi si sono mostrati più aperti in questo campo, creando soluzioni come OpenWines, piattaforma work in progress sulla tracciabilità del vino francese. Il sito mostra infatti luoghi e modalità di produzione nel quale la gente può dichiararsi disponibile a collaborazioni o raccontare la sua esperienza legata a un determinato prodotto. Qualche tempo fa era stato elaborato un format del genere anche in Italia, Esci la ricetta, che invitava il popolo del web a descrivere un piatto della propria tradizione al quale si era particolarmente legati. 
 
La diffusione a pagamento è davvero sinonimo di garanzia?  O è lo sharing gratuito la giusta via? Tutelare è sicuramente corretto, ma l’apertura all’esterno garantisce circolo e scambio di informazioni, nonché la creazione di nuove forme di economia. Non credo ci sia il rischio che il buon nome del made in Italy venga imbastardito, anche perché ci sono tutti i modi per divulgare senza che qualcuno si appropri della tradizione in modo indebito. Certamente dovrebbe esserci una dichiarazione da parte dei nomi italiani che sottolinea l'ufficialità della concessione dei propri segreti. E non solo in campo alimentare. 
 
L’essere copiati non è giá sinomino di essere unici e irripetibili? Pensiamoci.
 
 
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Tiger, il segreto è tornare bambini

È impossibile entrare in un negozio Tiger senza uscirne con una cianfrusaglia qualsiasi.

tiger-1Che sia un pacchetto di noccioline, gomme da masticare, o un set di contenitori da viaggio.  Così come ormai è difficile non trovare un punto vendita della catena danese nelle principali città italiane. Il nostro Paese è infatti  il terzo per clientela, dopo Spagna e Danimarca.
 

La tigre di Copenhagen

Ma perché Tiger è diventato La Mecca degli articoli low cost? Lo store, evoluzione dei “tutto a 99 cent”, è la dimostrazione di come gli errori a volte possano risultare provvidenziali. Lennart Lajboschitz, proprietario del brand, si allontana con la moglie per qualche giorno, lasciando Zebra, antenato di Tiger, nelle mani della fidanzata del fratello. La ragazza, non abituata e confusa sui costi, lo chiama continuamente in preda al panico, fin quando Lajboschitz si stufa e le dice di mettere tutto a 10 tier ( corone). Tier in  danese  significa anche tigre. Da qui i prezzi modici e il nome della catena.
 
Leggenda vuole che  i dipendenti di Tiger lavorino in perfetta sintonia. Merito della simpatia di Lennart o dello SpilBar della sede centrale di Copenhagen, dove i dipendenti possono rilassarsi bevendo birra e giocando a ping pong? La ricetta del successo è ancora sconosciuta ma sicuramente 500 punti vendita  in 26 Paesi in 14 anni non è un risultato che arriva per caso. Il commercio si sta espandendo anche in Giappone e America, dove si chiamerà Flyng Tiger, per non entrare in conflitto con la nota marca di articoli sportivi. 
 
 

Tornare bambini

La vera forza del brand però è « la capacità di far sorridere il cliente » , come afferma Xavier Vidal, nuovo Ceo tiger-2dell’azienda.  Il marchio ha trovato un suo stile, riconosciuto a livello internazionale. Articoli colorati, buffi, originali e soprattutto, economici. Ciascuno dei 2700 prodotti in vendita viene approvato da Suz, moglie di Lennart. « Ora che la compagnia cresce vorremmo però avere un nuovo punto di vista sull’estetica » afferma Tina Schwarz, direttrice marketing. 
 
Se un marchio riesce a creare un bisogno nel cliente, ha già fatto centro. In fondo cosa me ne faccio di un mini mouse wireless o di un baffo- nastro? Non lo so, ma è talmente simpatico che troverò una collocazione tra le cianfrusaglie casalinghe. Il marchio danese ha capito una cosa fondamentale: tutti abbiamo bisogno di tornare bambini ogni tanto e giocare con le cose, scatenando la fantasia. E il mondo di Tiger stimola a trovare nuovi utilizzi ad oggetti “normali”: come un paio di occhiali da sole a forma di cuore o una mascherina da notte a forma di leone. Consapevoli che i nostri capricci non alleggeriranno il portafogli. 
 
 
Esistono addirittura le Tiger-addicted...Guarda il video
 

 
 
 
 

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Cosa pensa Tarantino di Checco Zalone?

Cosa  pensano i grandi registi hollywoodiani di Checco Zalone?
Il collettivo Blue&Berry ha immaginato  una tavola rotonda composta da Quentin Tarantino, Ridley Scott, Danny Boyle, Alejandro Gonzalez  Iñárritu  e  David O Russell in cui i big del cinema americano si confrontano su Quo vado, ultima pellicola del comico pugliese. Il risultato è esilarante. Quentin lo giudica meglio di The Martian, per David O Russell è  "un film che parla alla gente". Ridley Scott e  Iñárritu invece  pensano solo alla pizzeria che li aspetta dopo il brain storming.
Le voci sono di Fabrizio Colica, Guglielmo Poggi e Nick Russo e Antonio Spagnuolo. L’idea e la regia di Lodovico Di Martino. 
 
Quando il doppiaggio diventa arte. 
 
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