Italia: pizza, spaghetti, mandolino.
I termini con cui il Bel Paese viene ironicamente identificato in tutto il mondo riguardano, due su tre, la sfera alimentare. Il cibo infatti è parte integrante della nostra tradizione, espressione di desiderio di convivialità e piacere di stare insieme, nonché di eccellenza dei nostri prodotti. L’espressione made in Italy ( merce interamente realizzata in Italia) viene sempre pronunciata con un certo orgoglio.
Tuttavia siamo molto gelosi dei segreti culinari nostrani e restii a condividerli con il mondo. I colleghi francesi si sono mostrati più aperti in questo campo, creando soluzioni come OpenWines, piattaforma work in progress sulla tracciabilità del vino francese. Il sito mostra infatti luoghi e modalità di produzione nel quale la gente può dichiararsi disponibile a collaborazioni o raccontare la sua esperienza legata a un determinato prodotto. Qualche tempo fa era stato elaborato un format del genere anche in Italia, Esci la ricetta, che invitava il popolo del web a descrivere un piatto della propria tradizione al quale si era particolarmente legati.
La diffusione a pagamento è davvero sinonimo di garanzia? O è lo sharing gratuito la giusta via? Tutelare è sicuramente corretto, ma l’apertura all’esterno garantisce circolo e scambio di informazioni, nonché la creazione di nuove forme di economia. Non credo ci sia il rischio che il buon nome del made in Italy venga imbastardito, anche perché ci sono tutti i modi per divulgare senza che qualcuno si appropri della tradizione in modo indebito. Certamente dovrebbe esserci una dichiarazione da parte dei nomi italiani che sottolinea l'ufficialità della concessione dei propri segreti. E non solo in campo alimentare.
L’essere copiati non è giá sinomino di essere unici e irripetibili? Pensiamoci.
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