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Pif, la Tim e il paradosso della "libertà di non dover scegliere"

 
Da qualche tempo la Tim ha lanciato una nuova campagna pubblicitaria con Pif, iena part-time, regista e da tempo testimonial  della compagnia telefonica nazionale.  Fin qui niente di strano, sennonché, sul finire dello spot, il protagonista pronuncia una frase che lascia piuttosto straniti: « Perché le nuove tecnologie ti danno la libertà di non dover più scegliere ». E aggiunge: «Non è fantastico?» Sembra di sentire il sor Kierkagaard che se la gode dalla tomba. «L’angoscia è la vertigine che scaturisce dalla libertà» scriveva il filosofo danese.  È l’indeterminatezza ad angosciare l’uomo dunque?  Una volta non era popolare il refrain "più possibilità di scelta si hanno , più si è felici?"
 
Pare di no. Diversi studiosi hanno infatti orientato la loro ricerca e pubblicato saggi a smontare tale sillogismo, dal Paradosso della scelta  del docente americano  Barry Schawartz alla Tirannia della scelta della criminologa  slovena Renata Salect.  Nonostante la moltitudine di testi, il concetto che emerge è l’illusione della possibilità che nasconde in realtà un pericoloso immobilismo, destinato a non far mai giungere ad una decisione autentica. In fondo anche le nuove piattaforme che propongono l’on demand, non sono forse frutto di una tv banale e stupida che davvero non ci ha lasciato altra scelta?
 
Caro Pif, non è affatto fantastico non dover scegliere. C’è chi ha lottato per anni e chi  ancora combatte solo per avere la libertà di esprimere la propria opinione. Come fai tu, dal piccolo schermo, in modo piuttosto sfacciato solo perchè profumatamente pagato. Scegliere equivale a vivere, il non poterlo fare è sintomo di schiavitù. In questi caso, siamo destinati a diventare prigionieri della tecnologia che, come dici tu stesso, si evolve più velocemente della nostra curiosità?
 
Direi che la Tim insieme a Pierfrancesco Diliberto, stavolta ha toppato. L’errore è dimostrato dalle critiche feroci che viaggiano su Internet. Non vi stancate di scegliere, la vera certezza del mondo è il cambiamento. 
 
 
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HIRIS, indossa il computer che ti dice come stai … e non solo

«Ogni idea ha inizio con un bisogno … o un problema da risolvere. La mia vita nel 21esimo secolo dipende profondamente dalla tecnologia che mi circonda. Proprio come molti di voi, voglio poter godere delle funzionalità della tecnologia, massimizzando la loro utilità nella mia vita digitale». Inizia così il racconto di Marco Gaudina, CEO & founder di Circle Garage, startup genovese che, grazie al crowdfunding, ha finanziato HIRIS. Questo dispositivo da polso è assolutamente versatile, in quanto consente di controllare non solo funzioni corporee come il sonno e il recupero muscolare a seguito di un infortunio, ma anche attività esterne come il volume di una canzone e l’accensione o spegnimento della luce.
 
«Sento il bisogno di facilitare l’interazione tra me e i miei dispositivi elettronici, e questo, credo, voglia dire migliorare la mia vita e, spero, la vita di molti altri», prosegue Gaudina. Circle Garage è nata il 20 maggio 2013. All’epoca c’era solo una stanza, una scrivania e quattro persone. In pochi, forse, in quel momento avrebbero scommesso sul fatto che la sua creatura sarebbe stata capace, tra le altre cose, di comandare i droni

Francesca Garrisi

 
 
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Ma come ti vesti? Viaggio nel mondo delle fashion blogger

Premessa: l'universo delle fashion addicted è quanto di più lontano dal mio modo di essere. 
Mi scuso in anticipo se la mia opinione potrebbe risultare dalla parte delle donne “tuta e calzettoni di spugna", evergreen che oltrepassa generazioni. 
 
Tuttavia, secondo il detto “Se non conosco, non giudico” ho deciso di provare a capire cosa passa nella mente delle innamorate di Vuitton e Versace, votate al Dio del tacco 12. 
 

In principio fu Chiara Ferragni

Il suo The blonde salad in breve tempo ha collezionato90.000visite quotidiane. La biondina slavata, dall’occhio ceruleo e dalla taglia 38,  è partita condividendo i suoi look su Flickr fino a giungere all’Olimpo de Le Cahiers  Fashion marketing, consacratore delle trend influencer. 
 
 

In effetti, è proprio questa l’attività principale delle amanti dell’abbigliamento con base d’asta 100 euro. Scegliere capi, abbinarli  e fotografarsi in pose da “ ce l’ho solo io”.  Da Chiara Biasi  a Chiara Nasti, da Irene Colzi a Veronica Ferraro, il punto in comune delle bamboline è sicuramente uno: l’essere fighe, senza se e senza ma. 
 

chiara-nasti

Fin qui niente di strano.  Senonché, nel momento in cui ho digitato Chiara Nasti su Google, il terzo risultato diceva più omeno così: «Seno rifatto? Meglio che essere piatte»
 
La fake-popputa sedicenne, come  se non fosse già abbastanza aver ucciso secoli di femminismo con una frase, ha dichiarato che il fatto di essere passata da una seconda  a una quarta nel giro di un paio di giorni sia frutto della benevolenza di madre Natura. E povere sfigate tutte le altre.  Sarà un caso isolato, mi dico. Rifiuto e vado avanti. 
 

Indossa un broncio anche tu

fashion-blogger-10La fase successiva consiste nell’attenta analisi della “ciccia” presente sui blog. Tra foto formula broncio+maglione largo in un giorno di pioggia, fino alla street photography con il cappello a falde larghe+pelle baciata dal sole e sguardo da Viandante sul mare di nebbia, c’è la sezione eventi.
 
 
A quanto pare, se una fashion blogger comincia ad avere largo seguito, viene invitata a kermesse importanti del mondo della moda; Milano o  New York fashion week, sfilate di singoli brand e simili. Occhi pazzi e bava alla bocca, le fashion blogger guadagnano assetate la prima fila, da dove possono sparare i loro tweet a ritmo di uno ogni cinque secondi.  
 
La differenza fra le adolescenti in visibilio e una giornalista di moda è stata ben espressa dalla scrittrice e reporter Patrizia Finucci, da anni presente sul campo: « Non è possibile vedere in prima fila queste ragazzette con il cellulare in mano che mandano sms per vantarsi di essere lì. Capisci? Noi andiamo alle sfilate per lavorare non per far sapere al mondo che siamo lì».
 
Bridget-JonesLa maggior parte delle volte nessuna di queste principessine ha una reale preparazione in storia di costume o design e non saprebbe distinguere tra Coco Chanel  e la giacca del mercatino La Montagnola.  
 
Il massimo sforzo sembra essere pagate per indossare gli abiti dei brand che investono su di loro, facendo di loro più delle web celebrities o delle modelle 2.0.
 
È raro trovare qualcuna di loro che faccia un reale reportage di moda, distinguendo e comparando stilisti o evoluzioni di tendenza. Poca ricerca e molto esibizionismo insomma. Chiara Ferragni si è spinta un briciolo più avanti rispetto alle altre, proponendo album di viaggio e consigli sulle località dei suoi shooting. Ma, a parte questo, non vedo guizzi di particolare originalità.
 
Non me ne vogliano le reali appassionate. Ci sarà sicuramente qualcuna di lor che abbraccia davvero la filosofia del work hard &  well  e si smazza per proporre contenuti sempre freschi, nuovi, e con alle spalle un minimo di ricerca. Sono pronta a essere stupita. Nel frattempo attendo gli sconti  e le domeniche a Porta Portese. Consapevole, per il momento, della vittoria del pigiama di pile. 
 
irene -caltabiano
 
 
 
L'ignoranza delle fashion blogger alla Milano fashion week... Guarda il video
 

 
 
 

 

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