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Tra v-blogger e home banking: il web genuino è degli over 65

 Silver user: sembra il nome di un nuovo supereroe. 

Qualche potere straordinario in effetti gli arzilli vecchietti ce l’hanno: saper navigare sul web molto bene, alcune volte anche meglio dei nativi digitali. 
 
I "marinai dai capelli d’argento sono ultrasessantenni, la maggioranza in pensione, che si divertono a comprendere meccanismi e piattaforme “dell’Internet”. In principio erano gli sms, con i primi e impacciati tentativi di digitare un testo che alla fine recitava più o meno così:  «Ciao vn Mama, divo sei? ». Ma, digita che ti digita, hanno cominciato a padroneggiare gli strumenti, approdando a Skype, Facebook e persino a Whatsapp. Genitori o nonni che leggono le notizie sui giornali online, parlano in webcam con  figli e nipoti  dall’altra parte del  mondo e prenotano viaggi su Booking, dando persino delle dritte.  Livia, 75 anni, consiglia sulla pagina nostrana dedicata ai silver users di comprare i biglietti verso le 22, perché è a quell’ora che Trenitalia fa le offerte migliori.
 
Siamo lontani dai nonni che pensavano che la mail fossero frutto di uno strano
sortilegio. Oggi ci sono persino anziani videoblogger. Geriatric1927, alias Peter Oakley, è stato il più famoso youtuber della terza età. Ha cominciato a registrare video per la sua famiglia, caricando il primo per gioco sulla piattaforma.  Risultato? Non solo ha ricevuto parecchi apprezzamenti ma ha catturato persino l’attenzione dei media, che gli ha dedicato molti servizi televisivi.E quando si pensava di non poter andare oltre, ecco Barbara Beskind, 91enne, eroina della Silicon Valley a capo di un gruppo di lavoro sulle tecnologie per la terza età. La sua storia è approdata in Italia su Rainews.
 
Al di là delle storie curiose, il silver user tipo utilizza i motori di ricerca soprattutto per informazioni su malattie e acciacchi, per controllare l’home banking o fare acquisti e prenotare viaggi. I dati parlano chiaro:  il 37% della fascia tra i 60 e i 65 e il 30% degli ultrasettantacinquenni naviga quotidianamente sul web. C’è chi, grazie ad Internet, ha deciso di reinventarsi. Lanfranco, ex pasticciere 69enne svela i segreti della nobile arte pasticcera sulla sua app, Video Ricette Dolci. Piero, settantenne appassionato di sport, ha creato insieme a un gruppo di amici la web tv Pierosaronno.eu. Nonna Leo, alias la genovese Leonilda, ha aperto alla veneranda età di 96 anni, un home restaurant, approdato rapidamente sul web . L’energica vecchietta scrive sul sito « Le mie ricette sono segrete, ma se volete assaggiarle potete venire a trovarmi a casa » .  Ci sono addirittura piattaforme dedicate esclusivamente agli over 60, come Greypanthers .it, che offre strumenti e suggerimenti per avere una vita virtuale attiva.
 
Sicuramente non avranno stessa velocità e conoscenza dei millenials, ma usano Internet nel modo più costruttivo: mettere competenze al servizio degli altri. 
 
 
 
 
 
L'obiettivo, scrive l'autore, puramente didattico è quello di diffondere la conoscenza dell'opera tramite mezzi multimediali che facilitano la comprensione dei versi. Questi video, che possono rilevarsi utili sia per gli studenti che per gli insegnanti, offrono l'opportunità non solo di conoscere, ma anche di appassionarsi e di approfondire il capolavoro di Dante Alighieri, la Divina Commedia.
 
 
I commenti della rete
mi complimento per la qualità e per le approfondite spiegazioni dei video :)
Sono molto utili, efficaci e funzionali allo studio e alla memorizzazione :)
 
Veramente complimenti...un enorme lavoro infinito reso disponibile a tutti!!!!
 
ieri ho visto tutto l'inferno!
straordinari !
Anche in Inglese
A breve, causa moltissime richieste, il canale dovrebbe mostrare i Canti anche con i sottotitoli in Inglese. 
 
Purtroppo, il limite di numerosi progetti di successo nostrani è sempre la lingua! 
Parlata solo in Italia e sconosciuta dall'80% della popolazione mondiale. 
 
Noi Italiani siamo ricchi di idee e iniziative, ma purtroppo saremo sempre limitati nell'estendere questo genio a causa della lingua e della visione no-global che ci penalizza. 
 
Duccio
 
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Spotify, il killer delle case discografiche

Hanno ucciso le major musicali ( e chi è stato si sa eccome).
In  principio furono i Radiohead. La band alternative rock , nel 2007,  disse basta ai CD. Chi voleva ascoltare le loro canzoni l’avrebbe fatto online, dando all’utente possibilità di scegliere quanto pagare. Circa nove anni prima era stata lanciata Napster, nonna di Spotify e YouTube,  che aveva aperto la strada al sistema di condivisione peer to peer.  Le grandi case discografiche al tempo non avevano dato troppo peso alla cosa;  le vendite andavano ancora a gonfie vele.
 
 I più lungimiranti però percepivano già che l’oligopolio non sarebbe durato molto.  Le motivazioni, come molti potrebbero pensare, non erano prettamente economiche; ai giovani utenti non andava giù  che venisse imposto un prezzo ingiustificato all’arte, arricchendo le major come EMI o Sony Music. Già nel 2008, l’industria musicale tradizionale risultava in banca rotta.  L’opposizione di band del calibro dei Metallica, che si era imbarcata in una battaglia legale contro Napster,  si dimostrò vana. L’arte doveva essere democratica, egualitaria e a poco prezzo.  Pagare meno per rendere  fruibili i contenuti a più persone.  
 
Oggi siamo nel pieno della rivoluzione. Spotify e Soundcloud, in campo musicale, ma anche Netflix per film e serie televisive, garantiscono migliaia di contenuti a prezzi decisamente competitivi.  Cos’è successo alle vecchie major? Hanno resistito ma sicuramente ne sono uscite un po’ ammaccate, perdendo molti zeri sui guadagni.  Lo streaming è ormai l’unica via percorribile, così la maggioranza si è votata agli dei dello sharing.  Spotify paga al singolo artista da 0,006 a 0,0084 dollari per lo stream. Può sembrare una cifra infinitesimale  ma riproduzione dopo riproduzione, si fanno i milioni. Il rischio è che, se non sei pop, è difficile arrivare a grosse cifre. Se il singolo  non sfonda, si sta lavorando in perdita. 
 
Anche la formula freemium ha il suo lato oscuro. Si guadagna sul lungo periodo; se l’utente nota e comincia ad apprezzare la tua musica è probabile che sarà più disposto a comprare il nuovo singolo in uscita o andare ai concerti. Per non parlare di gadgets o esperienze come il backstage con l’artista. Se però rimani in basso alla classifica sarà difficile guadagnarsi da vivere. 
 
Spotify, dal canto suo, spende per diritti d’autore pagati ad artisti e case discografiche. Per il resto punta tutto sul contagio e sul diventare too big to fail.
 
 
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