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Sexting, come ti rendo digitale il sesso

Foto hot, sms spinti, video sexy.
 
Ecco il nuovo cruccio dei genitori di tutto il mondo: il sexting. Fusione tra  sex e texting, è la condivisione e ricezione di testi, video o immagini sessualmente esplicite. Pratica comune agli adolescenti,  i contenuti vengono diffusi  attraverso smartphone, applicazioni, piattaforme web. Mamme e papà, non serve a niente setacciare Whatsapp o Facebook. Ormai esistono numerosi mezzi per eludere il parental control. Wechat, Tango, Yuilop, fino alle app ad hoc che aiutano a nascondere le prove ai genitori ( la più diffusa è Hide It).
 
Molti sono i casi in cui la situazione è sfuggita di mano ai più giovani. Sara, per gioco, aveva spedito qualche foto piccante al fidanzatino.  Non poteva sapere che  nel giro di due giorni gli scatti sarebbero apparsi sul cellulare di migliaia di persone.  La ragazza di fronte ai genitori ha sottovalutato il problema con un laconico «Lo fanno tutti»,  panacea di giustificazioni per i comportamenti sbagliati. Peraltro, la maggior parte delle volte il sexting avviene tra le quattro mura di casa, in cui è sempre disponibile il Wi-fi.  
 
Nessuno dei teenager ha idea di come quel materiale, anche nel lungo periodo, possa risultare dannoso. Non sono poche le storie di vendette o ricatti mezzo foto hot. Un click e le immagini possono essere condivise con centinaia di contatti.  Peraltro, la permanenza online  potrebbe essere potenzialmente eterna e, come è successo a personalità importanti, avere ripercussioni sulla reputazione futura. Ciò che viene prodotto è materiale pedopornografico e ciò che è partito come un innocente gioco potrebbe avere conseguenze al di là del prevedibile, fino a terminare nelle mani sbagliate.
 
Il sexting è un fenomeno recente. Una delle poche ricerche effettuate a riguardo è stata fatta in Svizzera ( studio James 2014), rivelando che l’8%  dei giovani in età compresa tra i 12 e i19 anni ha inviato immagini o video erotici ( 14% ragazzi, 1% ragazze) Il paradosso è che molti ragazzi pensano di fare sesso sicuro poiché non c’è rischio di malattie veneree e considerano il sexting un modo per dimostrare di essere sessualmente attivi. inoltre ciò che molti non sanno è che anche i minorenni di età inferiore ai sedici anni possono essere sanzionati per diffusione di immagini pedopornografiche o se registrano atti sessuali o scene di masturbazione propri o altrui. 
 
Genitori, come combattere il nuovo trend ?. Cercare di capire, con le dovute maniere, magari sotto forma di curiosità personale sul funzionamento dei social, la vita virtuale dei figli. La social reputation purtoppo ha effetto nella vita reale. Far comprendere che tali azioni sono perseguibili penalmente e che sono sbagliate, innanzitutto per sé stessi.  Esistono inoltre siti di consulenza a riguardo: 147.ch, Infogiovani, Zonaprotetta. Ch.
 
Il mestiere dei genitori è difficile. È pur vero che di magagne ne abbiamo fatte tutti, ma i giovani d'oggi hanno a disposizione più mezzi.  
 
 
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Eat Alí, la web serie in salsa italo-bangla

Può un semplice gioco di parole trasformarsi in una fortuna?
Tutti conosciamo Eataly, catena alimentare che vende eccellenze gastronomiche italiane. Il suo “omonimo”  però rischia di diventare altrettanto famoso. Eat Alí è il negozio di alimentari  di Asad Ullah, immigrato a Torino ventitrè anni fa. Prima di aprire l’attività, ha fatto di tutto, dall’operaio in fabbrica all’ambulante.   Qualche tempo fa cominciò a circolare sui social una foto dello scontrino con su scritto il buffo nome.  L’anonimo benefattore non sapeva che l’immagine sarebbe diventata tanto virale tanto da arrivare agli occhi divertiti di Oscar Farinetti, fondatore di Eataly,. Il CEO, anziché indispettirsi, ha dedicato ad Asad  un’inserzione pubblicitaria, lodando la sua ironia e il suo "copiare con stile".
 
Il negozio era già diventato un piccolo fenomeno della capitale piemontese. «Quando ho aperto il mio locale ho subito deciso di non farla diventare un’attività che vendesse prodotti etnici per stranieri, venduti da stranieri»  racconta Asad.  «Volevo vendere prodotti italiani. Questo anche perché se mi fossi rivolto solo ai miei connazionali o ad altri migranti avrei potuto attingere a un misero 10% della clientela. Il 90% di chi viene a comprare da mangiare qui e, più in generale, che va nei negozi è composto da italiani, e io volevo vendere prodotti che potessero interessargli». Un alimentari bengalese sui generis quello di Corso Belgio 42, che ci viene incontro con sapori nostrani.  Gli scaffali più alti ospitano persino un’ampia selezione di vini che vanno dalla Bonarda al Barbera, passando per il Dolcetto.
 
Le cose però si sono evolute ancora. Dopo l’advertising gratuito di Oscar Farinetti, l’originale idea è diventata una serie web, prodotta da G-COM Bologna e distribuita da Yahoo. Sei episodi da tre minuti ciascuno, sottotitolati in cinque lingue (romeno, albanese, Ucraino, bengalese e inglese, che rappresentano le comunità più attive su Yahoo) mettono in  risalto pregiudizi, paure  e presunzione degli italiani che interagiscono con un commerciante straniero
 
Dalla food blogger al fissato con l’e-commerce, dallo start-upper alla coppia che litiga anche quando fa la spesa, Eat Alí, fa sorridere ma anche riflettere su un tema di grande attualità come l’immigrazione. Tutti gli episodi sono disponibili sul sito di Yahoo o su Vimeo. 
 
 
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Sorelle della jihad: il terrorismo al femminile che passa dai social

Pensavate che la violenza del terrorismo fosse prerogativa maschile?
Mostrare interesse per  fucili e bombe più che per vestiti e mobili di pregio è il lasciapassare per diventare sorella della jihad. Se gli uomini vanno a combattere, le donne si occupano di propaganda di dottrina e ideali delllo Stato islamico. Fa rabbrividire  che gli stessi strumenti che utilizziamo quotidianamente per postare innocui piatti di pasta o foto di  serate con gli amici possano diventare strumento di morte. 
 
 Youtube contiene un canale appositamente dedicato a chi vuole diventare sostenitrice; un video spiega filosofia dell’istituzione e nuove frontiere del reclutamento. Le donne già arruolate rispondono ai tweet, esaltando le gioie della rivoluzione islamica. Molte  sono ancora adolescenti  e attraverso i cinguettii, ma anche su Tumblr e Kik (sistema di messaggistica simile a Whatsapp) si scambiano versetti del Corano, dichiarazioni di predicatori radicali e contatti con le referenti.  I social servono per rimproverare  i musulmani che  vivono in Occidente e non si uniscono allo Stato islamico, ricordandogli che è un loro dovere farlo. Alcune pubblicano scene di vita quotidiana, raccontando com’è bella la vita sotto il regime fondamentalista.   Non mancano tweet che esaltano decapitazioni e pratiche violente; diversi contenuti fanno infatti riferimento agli abusi compiuti dalle truppe NATO nelle carceri di Guantanamo e Abu Ghraib. Altre scherzano tra loro sui cadaveri che vedono, oppure festeggiano in occasione dell’11 settembre. Facebook e Twitter tentano di bloccare gli account, ma ne vengono creati subito di nuovi. 
 
Le sorelle della jihad sono destinate a un matrimonio-lampo con i combattenti. In Siria hanno addirittura aperto un’agenzia per le donne che vogliono trovare un marito mujaheddin, per poi allevare  e crescere i figli secondo  i principi dello Stato islamico.  Tuttavia anche i fondamentalisti stanno “allargando i loro orizzonti”; organizzano infatti  corsi esclusivamente femminili su utilizzo e pulizia delle  armi. Le donne momentaneamente non possono combattere ma è lecito proporsi per attentati suicidi;. Anzi. Dal momento che vengono considerate più innocue degli uomini, passano maggiormente inosservate.
 

La manifestazione più terribile di quest’avanzamento di livello sono le brigate femminili Al-Khansaa e Umm Al-Rayan, composte da circa 60 membri, dai 18 ai 25 anni.  I gruppi hanno il compito di ispezionare le donne che transitano e fargli rispettare una condotta morale rigorosa. Se altre donne non indossano il niqab, copricapo che lascia scoperti solo gli occhi, vengono fustigate dalle combattenti. Le brigate fanno molta presa perché vengono viste come uno strumento di emancipazione, un modo di essere parte attiva del regime.  
 
Dall’analisi del fenomeno c’è da chiedersi se il terrorismo non sia figlio del nostro tempo, una violenza che passa anche da strumenti virtuali e quindi  maggiore  perchè staccata dalla sua fisicità. Fredda e impersonale, senza la reale percezione di quanto le proprie parole possano avere peso. 
 
 
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