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La batteria dello smartphone? Si ricarica in tasca

Nuove funzioni, app moderne, tariffe convenienti.
I nostri cellulari sono sempre più smart. Ma c’è una caratteristica che accomuna modelli vecchi e nuovi: la durata della batteria. Il telefonino ti abbandona nel bel mezzo di un’importante chiamata di lavoro? O quando stai finalmente per ricevere il numero del ragazzo che ti interessa? Niente paura. Arriva Delta V, lo smartphone che integra ben tre sistemi di ricarica ecologici. 
 
A prima occhiata sembra un normale cellulare, nero e dal design elegante. La parte anteriore presenta il classico maxi display touch e la fotocamera integrata. Sul retro invece sono presenti tre pellicole, chiave dell’alimentazione del gioiellino.  La prima, fotoelettrica, trae energia dai raggi solari, la seconda, piezoelettrica, la ricava dal movimento stesso del dispositivo;la terza infine, sfrutta l’effetto tribolelettrico,  cioè genera elettricità dalla frizione di due materiali. Il cellulare ad esempio, a contatto con il tessuto dei jeans, si potrà ricaricare semplicemente tenendolo in tasca. 
 
L’inventrice è Nikj Danai Chanja, laureata in ingegneria meccanica all’Università di Atene. La designer confida così tanto nella sua invenzione da ritenere che non ci sia bisogno di includere il caricabatterie nel prototipo della confezione. C’è solo un cavetto USB, il cui compito principale è la connessione al PC, non tanto per la ricarica quanto per lo scambio di dati. Ulteriore comodità è la forma convessa del bordo superiore e inferiore, che permette di stringere il cellulare comodamente con due mani. 
 
Addio alla batteria dunque. Questi tre sistemi sarebbero in grado di generare da soli l’energia sufficiente per mantenere lo smartphone carico.  Sarà davvero possibile? Al momento si tratta di un concept, un’idea non ancora sottoposta a prova pratica. Se arrivasse presto sul mercato sarebbe molto comodo. Un filo in meno da sciogliere dal groviglio della nostra ciabatta.
 
 
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Time Republik, il tempo è la più grande ricchezza

Il tempo è denaro.
Questo il concetto base che ha portato alla formazione delle banche del tempo. Ma che succede se il meccanismo viene trasferito sul web? Karim Varini e  Gabriele Donati, fondatori di Time Republik, hanno dato risposta a questa e molte altre domande.  Siamo nel pieno della sharing economy, in cui spopolano piattaforme come Bla Bla car o Air Bnb, strumenti che garantiscono scambio di conoscenze senza bisogno di denaro. Ore e competenze sono l’unica forma di retribuzione.
 
«Time Republik è piuttosto unica nel suo genere, su scala globale ci sono poche piattaforme online di questo tipo » spiega Karim.  Esempio di cloud co-working, consente lo scambio di domanda e offerta da remoto. La differenza rispetto alle banche del tempo tradizionali è innanzitutto il target; quelle fisicamente presenti sul territorio sono spesso popolate da persone di una certa età, vicine alla pensione.  Time Republik invece raccoglie un’utenza tra i 25 e i 35 anni; ad oggi la piattaforma ha raggiunto i 50. 000 iscritti ed è in continua crescita.
 
Le competenze messe in gioco sono le più disparate. Time Republik conta infatti ben  400 categorie, che vanno dal baby sitting al giardinaggio. Tuttavia le professionalità che popolano maggiormente la piattaforma sono web designer, grafici, traduttori, programmatori e web deveoper, blogger e giornalisti, publisher freelance. Entrare a far parte della community è semplice: basta creare un profilo, geolocalizzarsi e specificare il proprio talento. Nel momento in cui offri un servizio vieni  pagato in unità temporali spendibili, che finiscono nel portafoglio del tempo, quindi riutilizzabili per altre mansioni. Attenzione però! Al momento dell’iscrizione hai a disposizione sul conto solo tre ore, quindi meglio sfruttare da subito i propri talenti.
 
Altro punto forte di una banca che viaggia sul web è la possibilità di essere valutati in base al servizio che offri. Commenti e apprezzamenti sono spesso diventati veicolo di assunzioni a tempo pieno. «  Offrire le proprie competenze diventa una sorta di stage, un banco di prova  per cui, anziché essere sfruttato come spesso accade, ricevi del tempo » afferma Varini.
 
Molte storie di successo sono raccolte sul sito della piattaforma. Cristel Schächter, studentessa messinese,  grazie al concorso Share & win, indetto da Time Republik, ha avuto possibilità di trascorrere un weekend a Milano, confrontandosi con le maggiori realtà della sharing economy. O Eligio Iannetti, dottorando in Biologia cellulare, da due anni in Olanda, ha scoperto  il progetto Rent a Ph student, sistema che permette  scambio di conoscenze tra dottorandi per risolvere problematiche che da soli sembrerebbero insormontabili. 
 
Il tempo è dunque una risorsa preziosa e, elemento non da poco, accessibile a tutti.  «Ci piacerebbe che Time Republik venisse utilizzata come strumento per attivare collaborazioni tra persone che altrimenti non potrebbero permetterselo. Basta mettersi a servizio della community. Ci sono poi meccanismi di agevolazione per cui se inviti una persona a diventare utente e questa accetta, guadagni un bonus di trenta minuti. Ciò stimola ad aiutare e farsi aiutare».
 
C’è di più. Time Republik sta diffondendo un sistema che potrebbe risolvere il problema di molte start-up: trovare le competenze giuste per far partire il proprio progetto, senza dover correggere continuamente il piano finanziario. Come? Attraverso il time-funding.  Evoluzione di meccanismi come Kick Starter o IndieGogo, consente a chiunque creda nella tua idea di donarti tempo, spendibile per cercare le risorse necessarie di cui avvalerti. Stefano Zanon e Stefano Bortot, due studenti di Belluno, sono riusciti attraverso questa metodologia a realizzare ClevPay, applicazione che consente i pagamenti tramite Qrcode.  «La strategia è andare da chi non ce l’ha fatta tramite le piattaforme tradizionali e dargli una seconda chance ».
 
Prossimi obiettivi della Repubblica del tempo? Arrivare a 500.000 utenti entro l’estate del 2017. «Stiamo sperimentando strategie di cloud co-working anche all’interno delle aziende, per creare collaborazioni non basate sul denaro, che alimentino le relazioni tra dipendenti ».
 
Non essere più schiavi dei soldi insomma. Credere che la vera ricchezza si nasconda nelle relazioni umane, partendo dalla condivisione e dal rispetto delle qualità di ognuno. Una sharing economy, adottata non solo come modello economico, ma come stile di vita. 
 
 
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Barbie, perchè non sei calva anche tu?

« Tutti i miei giocattoli e i personaggi dei miei film preferiti avevano i capelli lunghi, ma io non ne avevo neanche uno ». 
Le parole di Jordyn Miller, bambina australiana di otto anni malata di cancro, fanno riflettere. Perché, anche nell’universo ludico, la diversità viene poco considerata? La piccola, nonostante la giovane età, ha avviato  una petizione su change.org . Obiettivo? Chiedere alla Mattel di portare Ella, Barbie già distribuita nei reparti di  oncologia infantile di alcuni ospedali degli Stati Uniti, anche nella terra dei canguri.  La bambola, priva della classica chioma bionda, è completamente calva. 
 
La vendita potrebbe rappresentare una grande fonte di speranza per tutte le piccole pazienti. « A scuola mi chiamavano brutta, mi dicevano che assomigliavo a un bambino con il vestito. Avere il cancro è stato spaventoso e non capivo perché apparivo diversa dagli altri.  L’unica cosa che desideravo era sentirmi bella ».
 
La petizione ha già raggiunto le 8000 firme, ne mancano solo 2000 per raggiungere l’obiettivo.  Aiutiamo la piccola Jordyn a dire al mondo che la diversità non è da discriminare, ma necessita di avere voce e attenzione. 
 
 
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