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Auschwitz storia di vento, l'Olocausto spiegato ai bambini

Come si fa a spiegare l’Olocausto ai bambini? 
Si dice che le immagini valgano più di mille parole. Nell’era di smartphone e tablet la Shoah si può vivere. In un mondo di fantasia in cui il deposito dei beni sottratti agli ebrei diventa  un caos di oggetti e i forni un drago minaccioso. 
 
Auschwitz, storia di vento  è  l’app opera di Franco Grego, ex insegnante di storia ed editor di saggistica. I protagonisti della fiaba multimediale sono Jou Jou e Didier, due fratelli ebrei francesi deportati ad Auschwitz insieme al papà. La piattaforma accompagna i bambini nell’Europa occupata dai nazisti, dal treno carico di prigionieri,  fino all’arrivo al lager e allo smistamento, dando possibilità  di interagire con oggetti e personaggi. La finzione è poi correlata a contenuti extra, con una cronologia dell’Olocausto, alcune cartine principali dei ghetti e un elenco di film e documentari per eventuali approfondimenti. 
 
«L’idea è nata un paio di anni fa – racconta Grego – quando mia moglie e io portammo i nostri bambini a visitare la casa-museo di Anna Frank ad Amsterdam. Benché li avessimo in qualche modo preparati, raccontando loro la sua storia e la persecuzione degli ebrei, rimasero molto turbati e cominciarono a rivolgerci domande semplici, a cui però era difficile rispondere».
 
L’app è disponibile anche in inglese ed è figlia del marchio Paragrafo blu, nuovo brand di contenuti digitali realizzato in collaborazione con l’Università degli Studi di Udine. Le illustrazioni sono firmate da Giulia Spanghero, già sceneggiatrice per Disney Italia, designer per Trudi, e illustratrice de La lettura. La colonna sonora è  stata composta da Giovanna Pezzetta e Leo Virgili che da anni lavorano  per avvicinare i piccoli a musica e lettura, attraverso corsi, brani teatrali, laboratori e libri. 
 
La difficoltà principale è stata trovare il registro giusto, mantenendo la verità storica senza scadere nella retorica. Un racconto delicato, che non calca la mano su tragicità e orrore ma fa comprendere ai bambini l’importanza di ciò che è stato. L’app sarà disponibile sull’Apple Store da domenica, a due giorni di distanza dalla Giornata della Memoria.  
 
«Tutti coloro che dimenticano il loro passato, sono condannati a riviverlo» diceva Primo Levi. Ricordare per non ripetere, partendo proprio dai più giovani.  
 
Irene
 
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CIE, l'Italia cambia identità

Carte d’identità logore e rovinate?
Fra qualche anno nessuno avrà più questo problema. Sembra che finalmente, dopo diciott’anni di sperimentazioni  e decine di milioni di euro investite, sarà la volta buona per la CIE (Carta d’Identità Elettronica). L’AgID, Agenzia per l’Italia Digitale, ha confermato che entro il 2018  sarà completata la diffusione su tutto il territorio nazionale. Dalle grandi città ai piccoli centri , i cittadini potranno finalmente dire addio  al vecchio e scomodo documento di cartoncino per cui ci ridono dietro le forze dell’ordine di tutto il mondo. 
 
Il nuovo documento sarà costituito da una smart card  che contiene impronte digitalizzate, codice fiscale e estremi dell’atto di nascita.  Al momento della richiesta inoltre  il cittadino potrà fornire il proprio consenso per donazione di organi  e modalità di contatto, ovvero numeri di telefono, e-mail e firma digitale. 
 
Il documento elettronico consentirà l’innalzamento dei livelli di sicurezza. I dati verranno infatti codificati secondo gli standard europei già adottati per passaporto e richiesta di soggiorno elettronici, riducendo così la possibilità di contraffazione. Il cartoncino tradizionale è infatti molto più facile da falsificare  e i furti di identità a scopo criminale sono molto frequenti. 
 
La carta d’identità 2.0 è frutto della collaborazione tra Ministero dell’Interno, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, responsabile di produzione e spedizione della CIE, e AgID, che svolge funzione di supervisione e raccordo tra i soggetti coinvolti. Resta da capire se ci sarà obbligo di sostituzione e costi aggiuntivi per il nuovo documento. 
 
In ogni caso, era ora. 
 
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Tinder & Co.: non è un paese per brutti

Hai scaricato tutte le app possibili e immaginabili. 
Hai selezionato le migliori foto profilo, quelle in cui hai il sorriso smagliante e  i rotoli di pancetta sono accuratamente nascosti dall’infallibile maglione largo. Scorri la bacheca come un matto ma non esiste una persona adatta a te. Rilassati. La colpa non è di obiettivo sporco o occhiale storto. Un’inchiesta di Fast Company, rivista statunitense su tecnologia e business,  ha svelato perché il mondo sembra essere diviso in Casanova e  Leopardi dei social. 
 
In particolare Tinder, l’app di dating più famosa del mondo, ha al suo interno un sistema di classificazione battezzato Elo Score. Grazie a questo meccanismo, l’incrocio di destini non è frutto di frasi originali o superpoteri, ma legato a criteri sconosciuti all’utente. Parametri che si basano, ahimè, sul livello di attrattiva, desiderabilità e fascino. In poche parole interessi simili e sforzo nella creazione di un profilo cool non c’entrano nulla. I belli finiranno con i belli e i bruttini con esemplari della stessa categoria. Come?
 
Non c’entra solo la foto profilo. Vengono considerati molti altri fattori e lo ha confermato Sean Rad, CEO di Tinder.: «Non si tratta solo di quante persone manifestino interesse nei tuoi confronti, è un'operazione molto complicata. Ci sono voluti due mesi e mezzi per costruire l’algoritmo». In primis ciò che viene considerato è il tasso di risposta, cioè quanti si mostrano disponibili ad essere contattati dopo il right swipe ( il cosiddetto pollice in su). Chiaramente più se ne ricevono, più significa che sei “socialmente apprezzato”. In secondo luogo l’abilità nell’aver attirato utenti con un punteggio più alto. Una sorta di Pretty Woman digitale. « Ogni volta che mostri interesse per una persona con uno swipe verso destra o ne scarti un'altra stai fondamentalmente dicendo che la prima è più desiderabile della seconda ».
 
Il gioco, dunque, è truccato? No, ma nemmeno del tutto trasparente. Tecnologia e intelligenza artificiale hanno una certa influenza nel regno del rimorchio. Al momento solo Tinder ha ammesso di utilizzare quest’algoritmo, ma chissà quante altre piattaforme sfruttano tale sistema. Alcuni social si stanno evolvendo su questo fronte. Blinq, app svizzera, sta sviluppando un algoritmo che aiuti l’utente a scegliere la foto migliore.  Il sistema infatti analizza gli elementi dello scatto e li allinea a ciò che viene più apprezzato sul social. Un meccanismo testato su 100mila immagini e venti milioni di volti rilevati dal database dell’applicazione, ma anche attraverso le immagini dell’Internet Movie Database. In breve, il social ti mostra quale sia l'immagine più appealing per rimorchiare, confrontandola addirittura con quelle di re e regine di Hollywood. 
 
E noi nostalgici  che pensiamo che un bicchiere di vino sia ancora il miglior metodo per scoprire il fascino di una persona. 
Come siamo antiquati. 
 
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