Ultimamente, a causa dell’esercito di leghisti che si espande senza sosta, sembra che i rifugiati siano stati etichettati come il male assoluto. Eppure c’è ancora qualcuno che, anzichè ergersi a giudice del globo terrestre "dall’alto" del suo divano, prova a trovare delle soluzioni.
Non ti piace il modo in cui i profughi vengono trattati nel tuo Paese? Pensaci: perché non dovrebbero poter vivere in appartamenti condivisi invece che in alloggi di massa? A porsi queste domande, sono stati, recentemente, la ventottenne tedesca Mareike Geiling e il trentunenne maliano Jonas Kakoschke, giovane coppia che ha creato Refugees Welcome.
La piattaforma solidale, pensata per chi scappa da situazioni difficili, mette in contatto i privati con chi ha bisogno di una sistemazione. Chiunque abbia a disposizione una o più stanze, si può registrare al sito ufficiale e offrire un alloggio temporaneo. Il processo di assegnazione del domicilio è gestito da organizzazioni umanitarie che operano sul territorio.
Il progetto, al momento, è attivo in Germania e Austria. Circa 800 tedeschi hanno offerto una stanza e più di 100 persone, provenienti dall’Afghanistan e dalla Siria, sono state sistemate in case private.
La “scintilla” creativa è scoccata dopo che la cancelliera tedesca Angela Merkel aveva dichiarato di voler sospendere il trattato di Dublino. Il provvedimento riguardava il rifiuto dei siriani facenti richiesta d’asilo.
Ma chi è che paga? In alcuni casi i rifugiati stessi, non appena ne hanno la possibilità. Altre volte i costi sono coperti dal welfare federale e locale o da micro-donazioni raccolte su Internet. Può succedere persino che i proprietari non richiedano nessun saldo d’affitto.
Molti cittadini hanno sostenuto l’idea, dagli operai agli studenti, dai single alle coppie, senza distinzione d’età e situazione abitativa.
Fortunatamente la società spesso è più avanti di quanto vorrebbero farci credere. Forse non c’è alcun bisogno di un capro espiatorio da scacciare con le ruspe, ma semplicemente di mettersi ogni tanto nei panni degli altri.
Segnali di speranza dagli insediamenti di rifugiati in Libano. Guarda la storia di Noor:
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