«Nessuno può costruire un’istituzione multimiliardaria senza sapere a quale istinto o organo fare riferimento»
Questa la frase iniziale del Ted Talk di Scott Galloway, professore di brand strategy e digital marketing alla Business School of New York.
Un intervento che non lascia spazio alla replica e mette di fronte a una verità che spesso rifiutamo di affrontare. O perché ci siamo troppo dentro o perché è molto più semplice girarsi dall’altra parte senza rifletterci troppo su.
Quanto le cosiddette big four ( Amazon, Google, Facebook ed Apple) manipolano le nostre emozioni?
Google: la mente
«Il vantaggio competitivo come specie è la nostra mente, la capacità di porsi domande complesse» dice Galloway. «Purtroppo però il cervello non ha la capacità di elaborare tutte le risposte. E ciò crea il bisogno di un essere superiore che ce le sappia dare».
Basti pensare che una su sei domande poste a Google non è mai stata esplicitata nella storia dell’umanità. Un dato che fa pensare. Quale tra qualsiasi altra autorità ha questo potere? Ciò fa di Google il nostro Dio moderno. «Credete a ciò che dice più di qualsiasi altra entità nel corso della storia» afferma laconico il professore americano.
Facebook, il cuore
Altra prerogativa fondamentale dell’essere umano: abbiamo sì bisogno di amare ma anche di essere amati. «I bambini che hanno un’alimentazione meno ricca ma ricevono più affetto risultano più intelligenti e ricettivi di quelli che mangiano meglio ma a cui vengono dedicate meno cure» . La creatura di Zuckerberg attinge così al nostro istintivo desiderio di dare e ricevere attenzioni e cure soprattutto attraverso immagini che creano empatia, che catalizzano e rafforzano le nostre relazioni.
Amazon, lo stomaco
Amazon è l’intestino consumatore. Secondo la nostra memoria istintiva, la conseguenza dell'avere troppo poco sono la fame e la malnutrizione. Quindi avere di più per meno è sempre stata la soluzione ideale, la strategia aziendale migliore.
Per questo Amazon è ormai diventata una sorta di Re Mida per cui, se una compagnia qualsiasi decide di iniziare a vendere i propri prodotti sulla piattaforma di Bezos, automaticamente le sue vendite schizzano alle stelle a discapito dei concorrenti.
Apple: il sesso
La grande mela non è una marca ma uno status. Qualche tempo fa ho ascoltato l'intervento di un comico che affermava che ormai "averlo più grosso” è automaticamente associato allo smartphone. «La sorgente di business maggiore è qualcosa di attraente per gli organi riproduttivi. Si è più portati a cercare come compagno/ compagna qualcuno/ qualcuna con I-phone alla mano piuttosto che con uno swatch al polso» dice ironicamente l'oratore.
Dio, amore, cibo e sesso
La chiave di un business ben fatto è far leva sugli organi irrazionali, prendere un prodotto medio e far appello ai cuori della gente. Queste quattro grandi compagnie ci hanno disarticolato, sostituendosi ai grandi bisogni dell’essere umano: Dio, amore, cibo e sesso. In proporzione, il nostro approccio a questi elementi determina che tipo di consumatori siamo.
Se vogliamo comprendere la loro influenza economica e non, basta dire che esistono solo quattro nazioni con un Pil più grande di quello di queste aziende. Compagnie che daranno sempre più filo da torcere a copywriter, direttori creativi e creatori di contenuti.
Ma soprattutto la deresponsabilizzazione vige sovrana. In seguito allo scandalo della violazione dei dati sulla privacy, Zuckerberg ha dichiarato che Facebook non è una società di comunicazione, ma tecnologica, un nuovo tipo di piattaforma che certamente non fa giornalismo. «È come se Mc Donald’s dichiarasse di non essere un fast food ma una piattaforma di fast food».
L’Iphone è la nostra religione, Steve Jobs il nostro Dio, Amazon la consolazione compulsiva.
«Lo scopo di queste aziende insomma, non è certo organizzare le informazioni, connetterci l’un altro, creare benefici come ci vogliono far credere» conclude Galloway. «Solo venderci un’altra (fottutissima) Nissan».
Consiglio vivamente la visione dell’intero intervento.
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