racconti di vita

I racconti di chi ha cambiato vita ✌

Rompere i canoni sociali e cambiare vita in piena pandemia: la storia di Antonella

Cambiare vita in piena pandemia

covidNessun evento è totalmente positivo nè totamente negativo. Ogni situazione è sempre un gioco di punti di vista.

Se per molti la pandemia ha rappresentato un momento di forte difficoltà emotiva e psicologica, altri hanno abbracciato tale crisi nel senso latino del termine, ovvero nuova opportunità.  

Per Antonella Scalisi, su Instagram anto_body_soul, il Covid ha rappresentato la miccia per far esplodere un cambiamento già in atto. Come una farfalla dentro la crisalide, è sbocciata a poco a poco, prendendo sempre più consapevolezza inizialmente del tipo di vita che non voleva, per poi cominciare a ricostruire, mattone per mattone, la sua nuova identità.

Le vie del cambiamento sono infinite

cambio-vitaLa storia di Antonella non è la storia "qualsiasi" di un cambio di rotta, ma di uno stravolgimento avvenuto in uno dei periodi più difficili dell’ultimo ventennio.

Antonella lavora dapprima come estetista dipendente. in alcuni centri. Poi, a 29 anni, sceglie di mettersi in proprio e apre un centro improntato sulla filosofia ayurvedica e sull’estetica naturale. E già inserisce un primo tassello importante nella sua vita. 

Ma non è l’unica decisione cruciale che, volente o nolente, viene spinta a prendere: riceve anche una proposta di matrimonio. Quel momento, e il successivo diniego, diventa la scintilla per capire che la strada che sta percorrendo non è quella giusta. 

Perdersi in un viaggio

Così, comincia a cercare risposte ai suoi vuoti interiori e alle sue incertezze... viaggiando. Nel 2017 parte alla volta dell'India per un mese, a frequentare una scuola dove approfondire la filosofia ayurvedica. Poi venti giorni da sola a Cuba a vivere con la gente del posto, per terminare con un safari in Kenya. 

Dopo tutto questo girovagare, Antonella capisce che il viaggio non serve a trovare una risposta: è la risposta. Ogni volta che torna a casa, l’insofferenza si fa più evidente. Non può accontentarsi di scoprire il mondo solo poche volte l’anno. 

Così affronta un altro punto di svolta: chiude il centro di filosofia ayurvedica per dedicarsi al viaggio, magari insegnando nei posti che visita. 

Un sogno interrotto dal Covid?

antonella_scalisi«L’idea era collaborare come operatrice olistica, portando le mie conoscenze in giro per il mondo».

Poi la notizia: da domani chiude tutto. Il Covid-19 comincia a serpeggiare e fagocitare la nostra quotidianità. E ora? Antonella si è data da sola una risposta. Se il gioco si fa duro, i duri entrano in gioco.  

Coglie la palla al balzo e comincia a impartire lezioni online di yoga e mindfulness, aiutando le persone, anche se attraverso uno schermo, a stare meglio in un periodo cupo.

Da quel momento, non ha più smesso. Anzi. Ora che la situazione è lievemente migliorata, può contemperare le sue più grandi passioni. 

«La mia vita è ora suddivisa tra l'attività in Italia e i miei viaggi: quando sono qui, il mio lavoro principale è quello di prendermi cura delle donne, mettendo a disposizione tutte le tecniche che ho imparato: mi occupo di massaggi ayurvedici, riflessologia plantare indiana e reiki. Quando sono in viaggio, continuo a prendermi cura del loro benessere attraverso le lezioni online e attraverso dei ritiri di yoga che organizzo direttamente nelle località che visito».

 

Rompere i canoni sociali

antonella_scalisi2Antonella ha deciso di mettersi soprattutto al servizio del benessere mentale femminile. Lo stigma sociale dell’essere single a trent’anni e oltre, è ancora molto presente e può avere delle conseguenze su corpo e mente. «Veniamo guardate in modo strano se non rispecchiamo determinati standard»

La verità è che l’unico ostacolo al raggiungimento di chi vogliamo essere, siamo noi stessi. E per esprimere la propria essenza non c'è bisogno necessariamente di un compagno o di una compagna. 

«Molte persone credono che dopo i trent'anni non ci sia più la possibilità di cambiare la propria vita. Io penso esattamente l’opposto: a trent'anni abbiamo accumulato esperienze, maturità, competenze. So benissimo che questa società non ci mette una mano sulla spalla, dicendoci: “Vai ed esprimi al massimo il tuo potenziale creativo", anzi. Solitamente, le persone che scelgono di percorrere un sentiero alternativo, magari hanno idee particolari, sono viste come strane. Ma io ho cambiato la mia vita dopo i 36 anni e so per certo che si può fare».
 
 
 
 
Le immagini sono tratte dall'account Instagram di Antonella  Scalisi (anto_body_soul)

 

 

 

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Polentista Authentic italian: quel cibo che ha il sapore della nostalgia

Polentista authentic italian

polentista1Sono lontani i tempi in cui andare all’estero significava adattarsi per forza al cibo del luogo e rinunciare a pasta e pizza per quindici giorni (quando andava bene).

Ormai i grandi classici della cucina italiana li trovi ovunque. Un po’ più complicato è avere a disposizione prelibatezze regionali, dalle materei prime più difficilmente reperibili. La polenta, ad esempio.

Ma oggi, grazie a Carla e Matteo, anche i palati inglesi potranno bearsi della calda e cremosa crema di farina di mais mescolata al piccantino del gorgonzola. Cotta a puntino e mescolata a regola d’arte, la polenta a Oxford è diventata un autentico (e molto apprezzato) street food.

polentista7Il loro stand si chiama Polentista Authentic Italian ed è operativo ormai da cinque anni al Gloucester e al Summertown Market nella cittadina dell'Inghilterra meridionale.

Nella loro roulotte vintage, i due, partiti dal Nord Italia, accolgono ogni giorno migliaia di clienti curiosi di provare il gustoso piatto, privo di glutine e con pochi grassi, che può essere accompagnato alla carne, alla fonduta di gorgonzola o alle verdure in salsa di pomodoro per i vegetariani.

Leggi anche: Mr Polenta, come l'oro del Nord è approdato in Thailandia

Polentista: uscire dalla comfort zone

polentistaLui, ex geometra di Brescia, lei, palermitana di origine e ex impiegata di Vigevano, convivono in Inghilterra da tre anni.

La spinta a trasferirsi all’estero? La voglia di avventura, provare un’esperienza che li spingesse a trasformare due vite convenzionali in qualcosa di più emozionante e soddisfacente.

In Italia ormai vivevano entrambi nella loro comfort zone. «È stata una vacanza in Inghilterra nell’estate 2015 a farci scoprire i diversi luoghi e le opportunità di lavoro».

«Dopo qualche mese, nel febbraio 2016, ci siamo definitivamente trasferiti a Oxford dove, dopo esserci confrontati con il manager del mercato, siamo riusciti ad avviare subito la nostra piccola attività di Polenta Street Food nel mercato centrale della cittadina universitaria. Esser riusciti, ancor prima di avviare l’attività, ad assicurarci tre giorni lavorativi alla settimana (il mercato si svolge ogni mercoledì, giovedì e sabato) ci ha definitivamente convinti del fatto che Oxford fosse la nostra meta».

Un buon compromesso tra Brighton, Londra, Bristol o Liverpool, ma soprattutto con gli Usa, per cui era più complicato ottenere permessi. «Sembrava il posto giusto per fare ciò che desideravamo e, al contempo, per imparare una nuova lingua»

Anche a livello burocratico è molto più semplice aprire un’attività in inghilterra. Tutto molto veloce, senza pagare una sola marca da bollo.«Ovviamente tutto ciò ha comportato degli investimenti iniziali a cui abbiamo dovuto far fronte. Ma somme ridicole per quella che, in piccolo, è una piccola attività imprenditroriale» dice Carla.

Leggi anche: Aprire un ristorante ambulante

Polenta British

polentista17La sfida è stata sia trovare un proprio spazio all’interno del mercato inglese per far conoscere un piatto della cucina italiana di cui gli inglesi ignoravano l’esistenza sia riadattarlo ai gusti inglesi. Con il vantaggio, però, di essere i primi sul mercato.

«Si è passati da un paiolo di polenta e brasato di manzo fino al menu attuale con lasagne di polenta in due varianti, quella classica e quella con crema di zucchine e broccoli. Nonché polenta fritta servita su un letto di insalata a cui può essere aggiunta una quantità di salse quali fonduta di gorgonzola, crema al pesto, ragù alla bolognese».

Il piatto più apprezzato è comunque la polenta fritta con il gorgonzola, piatto che riscontra molto successo soprattutto tra la classe medio- alta. «La working class, quella delle tute arancioni per intenderci, è legata più a hamburger e hot dog. Non ci degnano neanche di uno sguardo».

Leggi anche: Lasagne in Venezuela, come un food truck ti cambia la vita

Aprire un'attività simile in Italia?

polentista14Probabilmente sarebbe stato impossibile. «Saremmo rimasti ostaggio di lungaggini burocratiche e costi ad esse correlati. Per non parlare poi della tassazione nel caso fossimo riusciti ad avviare l’attività. Fare questo lavoro in Italia è quasi impossibile. Diverso è se lo si fa saltuariamente come secondo lavoro. Ma noi ad Oxford facciamo questo e solo questo. E nonostante tutto, tra alti e bassi, da tre anni ci guadagniamo da vivere grazie al nostro lavoro di street food».

Certo, non si può certo pretendere che sia tutto rose e fiori. Se si parla di qualità della vita non si è certo andati a migliorare.

«Gli inglesi sono gentili e cortesi e arrivati in Inghilterra, per i primi due anni, ci siamo tuffati con tutti noi stessi in questa esperienza. Solo dopo ci siamo resi conto che, con tutti i suoi difetti, l’Italia ci manca. All'Inghilterra e agli inglesi saremo sempre grati, ma questo paese non sarà mai la nostra casa. E non per le solite cose quali il cibo e il meteo, ma per quel rapporto umano che da queste parti si fatica a percepire e instaurare».

irene-caltabiano

 

di Irene Caltabiano

 

 

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Malìalab: torno a casa e apro un atelier di moda ecosostenibile

Il southworking. 

Fenomeno esploso durante la pandemia, corrente del lavoro 2.0 che ha spinto molti professionisti, complice la possibilità di gestire la propria attività da qualsiasi luogo del globo, a tornare ai paesi di origine

Unica condizione? Possedere un computer e una connessione tramite i quali collegarsi quotidianamente agli uffici di Roma, Torino, Milano, anche da uno sconosciuto posto dell'entroterra.

Molti fuori sede hanno riscoperto che il caldo fino a novembre e la pausa pranzo vista mare non erano poi così male. E se per alcune persone ciò ha significato un momentaneo ritorno al buon cibo e al sole, per altri è stato un vero e proprio addio al Nord, completando un processo avviato anche prima del famigerato 2020.

Malìalab, ritorno alle origini

Tra questi, vorrei raccontarvi la storia di Malìalab, laboratorio artigianale di moda ecosostenibile, che già dal nome sembra evocare qualcosa di magico.

E un po’ di magia in effetti c’è nella storia di Flavia Amato, giovane stilista e modellista calabrese tornata a casa dopo un percorso formativo nelle Marche, durato la bellezza di otto anni, tra università, corsi e stage in grandi aziende di abbigliamento.

Ma questo mondo non convince Flavia.

«Venire a contatto con una realtà così artificiosa e poco veritiera (il processo di produzione poco pulito, vari espedienti per minimizzare i costi, simulazione di made in Italy, chi più ne ha, più ne metta), mi ha delusa molto, al punto di desiderare di abbandonare l’azienda per scegliere di intraprendere una strada diversa. Così ho scelto di seguire un corso di formazione annuale di Startup con l’ISTAO, dove sono stata scelta fra le dieci startup più innovative del piceno. Il mio sogno era di creare un atelier, dove unire le mie passioni per la salute, il biologico e la moda, fondendole con la manifattura artigianale e uno stile accattivante» scrive sul sito dell'azienda. 

Evidentemente il Sud era rimasto nel cuore di Flavia e con lei la voglia di riscatto e di rivalsa su una terra aspra e difficile, ma che, se si sa guardare oltre le difficoltà oggettive, ha ancora tanto da offrire.  

Così sceglie di tornare a Guardavalle Marina, un paese di 2000 anime sulla costa ionica. Insieme al suo ragazzo, fa le valigie e recupera un vecchio locale al centro del paese, proprietà dei genitori, per trasformarlo in un laboratorio tessile. 

Malìalab, fare impresa al Sud

Canapa, seta, bambù, cotone, mais, alpaca, latte. Una rosa variopinta di materie prime per realizzare capi che mirino a un risultato qualitativo superiore e che abbiano un impatto minimo sull’ambiente. I tessuti vengono poi accuratamente cuciti e realizzati in laboratorio su misura del cliente, per un design elegante e unico. 

Chiaramente, il percorso di Flavia e del suo Malìalab non è stato così semplice e mmediato.

«Fare impresa in generale non è facile, soprattutto se sei al sud, soprattutto se sei donna e soprattutto se sei sola e non hai molti soldi da impiegare, io ci metto tutta la buona volontà e l’impegno che posso. Nella mia sartoria biologica realizzo e confeziono capi di abbigliamento seguendo valori di confezione antichi, per creare capi che durano nel tempo. Il mio è un nuovo concetto di moda: artigianale e sostenibile, che guardi al benessere del corpo e dell’ambiente, ma soprattutto che si discosti dal consumismo e crei essa stessa tendenza».

Malìalab, recuperare i vecchi mestieri

Malìalab si inserisce anche in un percorso di recupero dei vecchi saperi. Il tessile anticamente era uno dei settori trainanti della Calabria e sarebbe un peccato perdere completamente le tradizioni. Peraltro, in un’Italia che ha già molte difficoltà a trovare persone che portino avanti le aziende di famiglia o le professioni di padri o nonni. 

Quindi non possiamo che fare il tifo per Flavia, sperando che sempre più persone seguano il suo coraggioso esempio. 

«Quando ho iniziato sapevo che le difficoltà sarebbero state tante, ma non mi sono data mai per vinta. Se c'è una cosa che posso consigliare a chi vuole perseguire i propri sogni, è mai darsi per vinti. L'importante è accettare che il fallimento più grande, non è la sconfitta, ma il non averci provato».

di Irene Caltabiano   

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