Cosa rende coinvolgente una storia?
Cosa spinge all’empatia, all’immedesimazione e infine al desiderio di rivalsa nei confronti del protagonista di un racconto? Non che l’eroe o l’eroina siano belli, simpatici o di successo. Giovani o vecchi, ribelli o pacifici.
Dunque?
Il conflitto e la speranza del lieto fine. La capacità del personaggio di affrontare i problemi, trasformare le proprie debolezze in forza e, nello stesso tempo, farne tesoro. Senza dimenticare cosa li ha resi vincenti.
Stamattina, leggendo la storia di Elisabetta Bertolini, ho capito che era diversa da quella di tante aspiranti fashion blogger. Proprio perché il successo nasce da una progressiva scalata, da difficoltà personali e dal loro superamento. Dalla trasformazione da “Godzilla”, come la chiamavano in maniera decisamente offensiva i suoi compagni di classe, a donna e imprenditrice di successo.
Quanto pesa una parola?
«A undici anni – scrive –percorrevo le file tra i banchi, fino ad arrivare al mio sentendomi inadeguata e sola. La mia colpa? Quella di pesare troppo». Centoventicinque kg nel corpo di una dodicenne. Troppi per incontrare accoglienza e benevolenza dei suoi coetanei. «Mi chiudevo in camera a piangere quando mi chiamavano “cicciona”. I ragazzini possono essere molto crudeli e, per chi, come noi, vive dall’altra parte non è facile essere un “ciccione"».
Quanto pesa una parola? Ciò che può essere una piuma per qualcuno, è un macigno per altri. Non sai mai quanto un appellativo, pronunciato in un momento di assoluta noncuranza, influenzi l’esistenza di una persona. «Avevo sedici anni e un po’ di pelle in esubero vista la mole di peso che mi ero portata addosso fino ad allora. Così la sera quando tutti dormivano scendevo in cucina e mangiavo tutto quello che potevo fino a stare male. I medici dicevano che era il compenso per le mie mancanze. Crescendo, purtroppo la perdita della mia mamma mi ha aperto gli occhi. Ho capito quanto la vita sia breve e importante per nascondere a se stessi la forza che abbiamo dentro».
Verità, spontaneità, qualità
E, come spesso accade, quando si tocca il fondo, si può solo risalire. E ciò che prima ti affossava diventa l’appiglio sul quale ricostruire e tornare alla luce. Nel 2013, dopo vari lavori come segretaria, impiegata e arredatrice, Elisabetta decide di aprire il proprio blog. Per qualche tempo è stato un diario di bordo, poi ha capito che la sua vera passione era la moda. Così nasce e si sviluppa il sito che porta il suo nome: www.elisabettabertolini.com: migliaia di follower e contenuti mai banali.
Se la passione è vera, diventa facilmente contagiosa. Infatti, dopo qualche tempo, sono arrivate le prime collaborazioni. Le aziende avevano capito che c’era del potenziale su cui investire e assieme a loro, che mi hanno dato fiducia, sono riuscita a trovare la mia giusta dimensione» Che non è certo la 90, 60, 90 ma essere una mamma di due splendide bambine e rendere il suo nome un brand, con sei persone alle sue dipendenze.
La verità e la spontaneità sono la prima regola per poter far parte del team, insieme a un pizzico di umiltà, scrive la blogger. La sezione principale del sito è dedicata alla moda. Poi anche la sezione profumi, la moda uomo, consigli su benessere e acquisti e una sezione viaggi e turismo che gestisce assieme al suo compagno, Diego Masseroni.
Dopo tanta strada, qual è il consiglio che Elisabetta dà alle aspiranti fashion blogger? «Curare i contenuti e non prendere come modello quelle persone che raccontano solo il lato bello della vita. Nessuna vita è perfetta, volerlo far sembrare è innaturale, sradica il vero essere e non permette davvero di confrontarsi. Mia mamma diceva sempre: la verità vince su tutto».
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