racconti di vita

I racconti di chi ha cambiato vita ✌

Laos-Italia via terra: possibile?

Tornare in Italia

darinka-laosQualche anno fa, quando abitavo e gestivo il mio ristorante in Laos, uno sfortunato evento personale mi ha portata a decidere di staccare per un periodo e tornare a casa, sul lago Maggiore, per stare un po’ tranquilla con i miei genitori. 

Prenotai un volo Bangkok-Milano e, ormai pronta a partire, ricevetti un’email dall’ambasciata italiana in Thailandia. Mi comunicavano che tutti voli in partenza dalla capitale della “terra del sorriso” fossero bloccati. 

Motivo? I soliti tafferugli tra i “rossi” e i “gialli(rispettivamente il partito in favore del Re e quello in favore di Thaksin, una figura alquanto controversa nella scena politica tailandese, proprietario di una grossa compagnia dedita alle telecomunicazioni).

La mia anima tanto ansiosa di partire non poteva aspettare oltre. Decisi di dimenticarmi l’aereo e tornare in Europa via terra.

L’incubo del visto russo

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Decisi di studiare un possibile percorso in base alla facilità nel procurarmi i visti, considerata la sceltaimprovvisata.  Grazie a un centinaio di dollari ottenni immediatamente quello cinese, avendo lo Stato orientale ottimi rapporti con il Laos. 

Quelli per i Paesi dell’Asia centrale apparentemente si sarebbero potuti richiedere alle ambasciate vicino ai confini. Una volta giunta in prossimità delle terre “calde”  per i conflitti, mi sembrava più logico passare per la Russia.

 Il lasciapassare russo fu decisamente il più complicato. Me lo procurai solo perchè in Laos effettivamente vivevo, lavoravo ed avevo i documenti necessari per dimostrarlo (altrimenti le richieste possono solo partire dal Paese di provenienza). 

Inoltre  le autorità esigono una lettera che attesti l'invito da parte di qualcuno in loco, probabilmente un sistema per spillare qualche rublo in più al viaggiatore. Infatti non è necessario conoscere nessuno. Basta richiedere il documento al sito visatorussia.com e per un centinaio di dollari ne viene inviato uno tramite internet.

 
Diecimila km on the road

Nonostante tutto, nel giro di una settimana sono riuscita ad ottenere anche quello. Fu così che partii alla volta di destinazioni sconosciute, dalla stazione degli autobus di Vientiane, per un viaggio “ontheroad” di oltre 10.000  chilometri che mi portò ad esplorare alcuni angoli di questo straordinario pianeta che non mi sarei mai immaginata di solcare.

L’oppressione del popolo Uiguro

darinka-laos-6In Cina esplorai prevalentemente la zona dello Xing Jiang, la frontiera dell’estremo Occidente. Lo Xing Jiang è una regione autonoma a statuto speciale, molto ricca di risorse naturali, la cui popolazione nativa sono gli Uiguri. Arrivai in treno ad Urumqi  e trovai un “host” su Couchsurfing

Si trattava  di un bellissimo ragazzo omosessuale, uiguro, studente di medicina tradizionale cinese combinata con la contemporanea, che viveva con il suo compagno spagnolo. Spesi diversi giorni con loro in attesa che mi venisse consegnato il visto “chirghiso”; fu un periodo indimenticabile.

Un incontro speciale

La coppia era simpaticissima, socievole e aperta. Spendevamo le serate seduti ai tavolini dei locali all’aperto, nelle piazze principali, a dare frivoli giudizi estetici a tutti gli uomini che passavano. Tra una battuta e l’altra però, Arafat trovò il tempo necessario per delineare chiaramente la situazione politica della sua regione.

Il governo della Cina e la maggioranza della popolazione sono di razza Han, e stanno facendo agli Uiguri più meno quello che hanno fatto ai tibetani. Il problema è che gli Uiguri sono una popolazione nomade di origine turca e quindi non hanno un popolarissimo Dalai Lama a esportare la loro causa all’estero. Ben pochi al di fuori dei loro confini sono consapevoli dell’oppressione di tale popolo.

La triste realtà del popolo Uiguro

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Lo Xing Jiang è molto ricco in risorse naturali. Il governo popolare centrale cinese non ha nessuna intenzione diriconoscerlo indipendente, anzi facilita, grazie a grosse sovvenzioni, la popolazione Han a trasferirsi in quest’aspra terra di confine. Vogliono infatti rendere gli Uiguri una minoranza (ci passai nel 2011 e credo che a questo punto ci siano ampiamente riusciti). 

Distruggono le loro splendide case fatte d’argilla costruite in completa simbiosi con la natura circostante per costruire enormi e orribili grattacieli. Li trattano come cittadini di seconda classe e non rispettano la loro cultura. L’astio tra le due popolazioni va a ondate. Arafat, il mio fantastico couchsurfer,  mi parlò di stragi in cui solo l'anno prima gli Han, dopo una rivolta Uigurasi ,si vendicarono impiccandone centinaia nella piazza principale. 

Internet, dopo quest'episodio, fu completamente oscurato per un anno, per evitare che la notizia oltrepassasse i confini nazionali. E anche durante la mia permanenza l’accesso era limitato e controllatissimo. Arafat e Raphael, il suo simpatico fidanzato, mi chiesero infatti di non raccontare quest’episodio a nessuno finché fossi stata ospite a casa loro, o, ancora meglio,finché non avessi oltrepassato la frontiera.

In autostop fino in Kirghizistan

darinka-laos-9Dopo Urumqi mi diressi verso Kashgar, una città davvero splendida dove interi quartieri Uiguri sono rimasti ancora in piedi.  Trovai un passaggio sulla macchina di due signori inglesi che stavano viaggiando con la loro jeep da Calcutta a Londra. Mi portarono a Osh (Kirghizistan), attraversando strade invisibili completamente ricoperte di neve, a oltre 4000 metri d’altezza. 

Guidare in Cina significa avere una patente cinese, mettere una targa cinese e, nella regione dello Xing Jang, avere sempre un rappresentante governativo Han a bordo, che controlla dove effettivamente si dirigono passeggeri e conducente. Arrivati all’uscita del paese ci fecero mille domande, controllarono  computer e contenuto di tutte le nostre memory card. "Solo" per assicurarsi che le informazioni sulla situazione politica non uscissero dal paese.

Eppure eccole qui… basta solo un po’ di buona memoria…

di Darinka Montico 

Blogger, traveller e autrice di libri

 

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Walkaboutitalia: l'Italia a piedi, senza soldi, raccogliendo sogni»

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la Paz-Madrid-Singapore: tensione ad alta quota

Parto dal presupposto che personalmente odio volare.

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Detesto ritrovarmi a “nonsoquantimila” piedi da terra senza capirne la fisica, odio le turbolenze, gli sprechi di materiali per confezionare mono-porzioni di tutto, i finti sorrisi delle hostess. Potrei andare avanti per ore, ma quello che odio di più in assoluto è la sensazione di controllo opprimente imposta dagli aeroporti.

Benvenuta a Singapore

Stamattina dopo 15 ore di volo e uno stop ad Abu Dhabi, appena scesa all’aeroporto di Singapore, una scortese signorina in camice si avvicina intimandomi di fermarmi, mi alza i capelli e mi misura la febbre. Ero stanca, assonnata, palesemente sudaticcia dopo che i trenta gradi umidi t'investono all’uscita della cabina pressurizzata innaffiata d’aria condizionata. 

Sono scocciata e lei sembra non accorgersi che possa avere un cuore e un' anima, sono solo un numero da misurare. Eppure non ci riesce, avendoci provato già due volte. mi fa quindi segno di seguirla portandomi da altri due energumeni in camice che senza spiegarmi nè perché nè per come, m’infilano un termometro digitale nell’orecchio. Buongiorno e benvenuta a Singapore!

Una ninja post-moderna tra carrelli e controlli

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Al ritorno dalla Bolivia con volo: La Paz-Santa Cruz della Sierra-Madrid-Dublino. Arrivata nella capitale spagnola ho dovuto riprendere il mio bagaglio e rifare il check-in, dato che cambiavo compagnia aerea.

 Il volo in arrivo da Santa Cruz atterra con oltre un’ ora di ritardo e il tempo rimasto per raggiungere il terminale con le partenze per Dublino è ora alle strette, l’aeroporto di Madrid davvero immenso. Se non voglio perdere la coincidenza devo essere scaltra e muovermi come una ninja postmoderna tra carrelli e controlli.

Il mio bagaglio è uno dei primi a scorrere sul tapis roulant, lo prendo al volo. È uno zainone verde, non ce ne sono tanti simili in circolazione. Salto subito sull’autobus verso il terminale dove il mio volo è quasi pronto a partire, sperando che nulla vada storto. 

Se non ci sarà troppa coda al check-in dovrei farcela, sempre che non ce ne sia ulteriore ai controlli. Se sì dovrò trovare qualcuno di gentile che mi farà passare. Troppi “se”. In questi casi ho imparato che è inutile stressarmi. Io posso fare solo del mio meglio il mondo farà il resto e se è destino  lo perdachi sono io per sfidarlo?

 

Una “mula” inconsapevole

zainoSull’autobus verifico che lo zaino sia il mio, non si sa mai. A volte capita che ci siano due bagagli uguali sullo stesso volo. Di solito lo faccio appena lo ritiro, stavolta non ho avuto tempo. Ho due signore sedute davanti a me e spero che non si siano accorte di nulla quando mi cade la mandibola scoprendo che sì, è il mio zaino, eppure nella tasca che ho appena aperto c’è un astuccio che non è mio. 

Droga, penso subito. Lo apro e ci trovo diverse confezioni contenenti pastiglie differenti. Quattro tubetti pieni, etichettati come fossero farmaci. Che fare? Magari sono davvero medicine scivolate fuori dalla borsa di qualcuno e per sbaglio infilate nella mia. Sto arrivando dalla Bolivia, il paese con più alta produzione di cocaina al mondo, questa storia mi puzza troppo. Scorro le varie possibilità nella mia mente.

Se è droga probabilmente si tratta di cocaina compattata in pastiglie. Mi dicevano che capita infilino droga in borse a caso avvisando la polizia per far beccare innocenti e avere il via libera per i carichi più grandi.  

Oppure che gli addetti ai bagagli di La Paz siano d’accordo con quelli di Madrid? E qualcuno avrebbe dovuto tirarla fuori dal mio zaino prima che rientrasse nelle mie mani? Oppure c’è un GPS dentro e qualcuno sta seguendo le coordinate dell’astuccio per ritirarlo ovunque lo porterò… 

Ormai i miei pensieri diventano fantascienza; la possibilità che la polizia sappia di questo genere di traffico è reale e magari finirei solo nei casini denunciando la scoperta e… di sicuro perderei la mia coincidenza.

Decisione presa. Scendo dall’autobus e lo butto nel cestino all’entrata del terminal. Tutti i “se” sono dalla mia parte ed entro mezz’ora sono comodamente seduta sull’ultimo volo verso casa.

250x250 City
Quando la realtà supera la fantasia

Ma se tutto questo mi fosse successo dopo lo sbarco a Singapore, dove ti ricordano ogni tre passi che la pena di morte è obbligatoria per qualsiasi tipo e quantità di droga, probabilmente avrei avuto un immediato cedimento cardiaco.

Sinceramente pensavo questo tipo di storie esistessero solo nei film. Ora invece posso e mi sento vivamente in dovere di consigliare il  “sealed", ovvero il bagaglio destinato alla stiva se in uscita dalla Bolivia, o forse, da qualsiasi paese sudamericano. 

 

di Darinka Montico

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Lavori assurdi? Barista in bikini nelle miniere australiane

Riprendiamo la rubrica “lavori assurdi”! 

barista-in-bikiniDirettamente in coda ad aver fatto “l’angelo” (ovvero la massaggiatrice di teste di giocatori di poker ai casinò) c’è la skimpy. Di cosa si tratta? Fare la skimpy vuol dire, in gergo australiano, la barista in bikini. La particolarità di questo lavoro è che non si svolge sempre in un bar ma si lavora per un’agenzia che, a rotazione, ti manda in giro per i locali dell’outback situati per lo più in zone minerarie.

Le città temporanee

La ragione è molto semplice: questi luoghi dimenticati da Dio pullulano di minatori che lavorano durissimo tutto il giorno, guadagnano cifre esorbitanti e non hanno altri modi per spendere i loro denari se non al bar la sera. In queste città temporanee, la cui vita dipende solo ed esclusivamente dalla quantità dei minerali estraibili, la popolazione è quasi interamente costituita da uomini che lavorano a intermittenza di due settimane per poi prendersene altrettante di riposo a casa. Ovviamente un bar con una cameriera carina in bikini, in città fatte di soli uomini, attira molta più clientela.

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Guadagnare benissimo esplorando l’outback

 Appena sbarcai a Perth con il visto “working holiday”, che mi permetteva di lavorare per un anno in Australia, conobbi Tania, australiache mi consigliò quel lavoro e l’agenzia per cui lei stessa lavorava. (Babes Promotions) Non ci pensai su molto: il ruolo m’incuriosiva, l’agenzia pagava 35 $ australiani all’ora, spese di viaggio, vitto e alloggio, ogni settimana ti spediva in una città nuova e Tania mi aveva confidato che le mance erano addirittura più abbondanti della paga oraria. Non ero mai stata lì prima di allora e pensai fosse un ottimo modo per conoscerla e guadagnare bene.  Non avevo problemi a stare in bikini e di contro possedevo parecchia esperienza dietro al bancone di un bar, essendo figlia di baristi e quindi tre giorni dopo il mio sbarco “down under” iniziai a lavorare.

La triste realtà

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Feci quel lavoro per circa tre mesi, entrando a stretto contatto con la realtà surreale dell’outback. Bianchi dal livello culturale medio piuttosto basso, che sventrano la terra facendo buchi tanto grandi da poterli vedere da altri pianeti(il “super pit” di Kalgoorlie è profondo circa 3,6 km e largo uno e mezzo). E poi qualche aborigeno, o più che altro i loro spettri, che si aggirano ubriachi fuori dai bar in cui non li lasciano nemmeno entrare e i “bikies”. Pericolose gang di malavitosi che si aggirano tra un paese e l’altro controllando il traffico di droga e la prostituzione. Mi ero avventurata (inconsapevole) nella scenografia di “Mad Max” e appena me ne resi conto mollai il lavoro e mi trasferii a Melbourne.

Per indole non potevo certo amare la realtà che mi circondava. Ma sono comunque felice di averla vissuta e conosciuta. 

 

di Darinka Montico

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